Trecentocinquantanove sono stati gli episodi censiti e riconducibili in Abruzzo a stragi ed eccidi compiuti tra il 1943 e la fine della Guerra. Oltre ventitremila i civili coinvolti impegnati in azioni di resistenza umanitaria nei territori interni e lungo il correre della Linea Gustav. Una terra al centro della lotta per la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista, una terra su cui si sono incrociate le storie dei prigionieri di guerra rinchiusi al Campo 78 di Fonte d’Amore con quelle di contadini, pastori, cittadini comuni, preti, partigiani e poeti.
Andrea Mattei ricostruisce la storia e ripercorre i sentieri che hanno segnato le scelte di uomini e donne nei giorni in cui le asprezze dell’occupazione si trasformavano in crudeltà e il desiderio di libertà dava senso alla fatica e alle speranze.
In attesa di incontrare l'autore il 24 agosto a Civitaretenga, alla Festa delle Narrazioni Popolari, pubblichiamo di seguito un estratto da In cammino per la libertà. Passi di Resistenza Umanitaria in Abruzzo pubblicato da Ediciclo editore.
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C’era un pavimento sconnesso in una camera al primo piano della mia casa d’infanzia, lassù a Pacentro. Era nascosto da un grande tappeto rosso vecchissimo, scolorito e tutto sfilacciato sui bordi. Ci camminavo in equilibrio, seguendo coi piedi i buchi e le crepe. Chiudevo gli occhi per percepire meglio i confini di quelle discontinuità, un po’ col timore che il pavimento potesse cedere da un momento all’altro, e ritrovarmi precipitato nella cucina dove mia nonna preparava la cena, un po’ attratto dal fascino di calpestare un pezzo di storia, di riconnettermi a tempi lontani. Quella era la guerra per me da bambino. Con l’avanzare del fronte, in quell’autunno del ’43, Pacentro venne sfollato per lasciar spazio ai tedeschi in ritirata e la casa della mia famiglia, una delle più grandi del paese, occupata dagli invasori per diventare base logistica del comando militare. Gli ufficiali si sistemarono al piano di sotto, con il giardino, la grande cucina alimentata a legna coi rami appesi alle pareti, il salotto col camino, il tavolo rotondo e la grande credenza piena di piatti e bicchieri; poi lo studio, le camere da letto tutte affacciate sul lungo balcone proprio di fronte alla Maiella. E naturalmente la Sala Rossa, col pianoforte e i divanetti imbottiti di raso tutt’intorno, i quadri degli avi alle pareti e una bellissima stufa di porcellana verde. Era la sala delle feste: feste da ballo, mi raccontava mia madre che da ragazza provava i valzer col corteggiatore di
turno. Immagino gli ufficiali della Wehrmacht trascorrere qui quelle serate di guerra, con un bicchiere di cognac in una mano e la sigaretta nell’altra, stravaccati sui sofà di raso rosso, e magari il caporale più istruito del battaglione seduto al pianoforte a strimpellare Lili Marleen. Al piano di sopra, dove invece alloggiavano i soldati, c’erano l’altra cucina, i salotti affrescati coi divanetti e le poltrone rigorosamente gialle, e un’infilata di camere da letto, alcune trasformate in stanze di degenza per i feriti. In una di queste si spaccava la legna per le stufe e i camini, si spaccava proprio lì, su quel pavimento, rimasto poi sfasciato per qualche decennio. E ogni tanto ci andavo a camminare, calpestarlo mi trasmetteva il senso del passato e dava corpo ai racconti di eventi lontani, e alle mie fantasie.
Spesso salivo in soffitta. Mi arrampicavo lungo una traballante scaletta di legno mangiata dai tarli fino a una piccola porta che dava accesso a un mondo straordinario.
Lassù era riposto quanto di più vecchio ci potesse essere nella casa più vecchia che avessi mai visto. Malmessi arnesi da lavoro dei contadini, ferri da stiro senza il filo elettrico, scatole piene di chiavi enormi forse per aprire il portone di qualche castello, e lo zì prete, una specie di padella per contenere la brace che, mi spiegava mia nonna, serviva a scaldare il letto nelle gelide notti d’inverno d’un tempo andato. In un grosso scatolone c’erano invece decine di dischi di musica classica: da quei fogli di cartone e pieni di bucherelli, come un prodigio architettato da chissà che mago, pare che uscissero un tempo le melodie di Bach, Beethoven e Tchaikovsky. Dentro un baule verde, grosso e tutto puntellato da borchie di acciaio, erano raccolte invece centinaia di copie della Domenica del Corriere. Passavo ore a perdermi nei mondi fantastici disegnati da Achille Beltrame e Walter Molino, incantato da quelle illustrazioni che mi facevano viaggiare in epoche incredibili, tra drammatiche scene di guerra, imprese memorabili di esploratori temerari, tragici fatti di cronaca, personaggi famosi antesignani di vip e influencer di oggi, eventi sportivi bizzarri. Ricordo una copertina del ’22 dedicata alla partenza del Gran Premio d’Italia Vetturette, con quelle buffe macchinine rosse schierate sulla linea di partenza del circuito. In un’altra, Grace Kelly e Ranieri di Monaco passeggiavano sorridenti mano nella mano nelle strade del Principato; non ancora sposati, erano «I fidanzati dell’anno». La copertina più bella era dedicata alla tragedia del Titanic, con il transatlantico che affonda nell’oceano e le scialuppe di salvataggio piene di gente disperata. Quella che non capivo aveva invece Mussolini col braccio destro alzato nel saluto fascista, circondato da una folla adorante: «Il Duce che ha salvato il mondo dalla guerra», la didascalia. Era datata ottobre 1938.
La guerra la trovai in una cassetta di legno nascosta in un angolo e coperta di polvere. A fatica riuscii a sbloccare il chiavistello arrugginito che la chiudeva. Ero convinto di aver scovato il tesoro di casa Simone, una collezione di monete d’oro o i gioielli dimenticati di qualche avo. Sollevato il coperchio trovai invece cinque strani cilindri di ferro, neri e misteriosi. Li maneggiai per un po’ con uno strano timore, poi ricordo la faccia spaventata di mia madre quando glieli mostrai.
Chiamò subito i carabinieri, presto da Sulmona arrivarono tre artificieri tutti bardati da una bizzarra uniforme. Fecero allontanare tutta la famiglia, misero con grande cautela i cinque cilindri dentro un grosso contenitore e poi, mentre lo portavano via, mi spiegarono che erano bombe in dotazione ai tedeschi ai tempi della guerra.
>> Andrea Mattei In cammino per la libertà Passi di Resistenza Umanitaria in Abruzzo, 2024, ed. Ediciclo
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