L'implosivo. Roberto Mandracchia alla Festa delle Narrazioni Popolari
Featured

L'implosivo. Roberto Mandracchia alla Festa delle Narrazioni Popolari



È possibile riconoscere l’uomo anche tra le pieghe più feroci della violenza e dell’illegalità? Roberto Mandracchia pesca a piene mani nelle storie bibliche e offre un percorso narrativo che con umorismo e crudezza indaga a fondo la natura umana mostrandoci quanto sia possibile abitare contemporaneamente il bene e il male e quanto semplice sia passare - e ripassare - il confine tra immoralità e purezza.
In attesa di incontrare l’autore il 22 agosto, giorno di apertura della Festa delle Narrazioni Popolari a Civitaretenga, pubblichiamo di seguito un estratto da L’implosivo, pubblicato da Minimum Fax.

***

Quella stessa notte, mi svegliai all’improvviso con il cuore furioso. Tesi le orecchie ma non si sentiva niente, tranne il ronzio del frigorifero e il solito verso di un chiù che veniva da Fuori.
Accesi la lampada sul comodino e a poco a poco riuscii a calmarmi, anche se di dormire non se ne poteva più parlare. Andai a pisciare stringendo i denti, poi tornai nella stanza da letto, presi la stufetta e la portai in bagno. La lasciai accesa per riscaldare l’ambiente. Giusto qualche minuto, tanto la stanza non era molto grande; nessuna delle tre stanze dove vivevo lo era.
In bagno, mi tolsi il pigiama e entrai dentro la vasca per farmi una doccia. Di solito, stare sotto l’acqua mi aiutava a pensare e in quel momento ne avevo proprio di bisogno.
Perché non sentivo più arrivare la jeep di Ninnì Bisaccia? Perché non sentivo più manco il motore con la tosse di Lallo Cutrò? Erano in pericolo? Ero in pericolo anch’io? Dovevo lasciare quella casa? Ma per dove? Avevamo scelto bene il posto: chilometri e chilometri di campagna e alla mia età, con i problemi di salute che avevo, e con la mia reputazione, non potevo certo mettermi a camminare per arrivare al paese, che comunque non era vicino e chissà poi in quale direzione. Con tre ergastoli in contumacia sulla testa non era una bella cosa; avevo pure fatto dire al mio avvocato che ero morto da un pezzo. Certo, di me, le guardie avevano solo una foto di quarantacinque anni prima con una faccia che forse manco io mi ricordavo di avere avuto. Però sapevo che la storia che ero morto non tutti se l’erano bevuta e sapevo che alla Polizia d’oggi c’avevano certi aggeggi nei computer che potevano far invecchiare le facce nella foto per farsene un’idea. No, andarmene in giro non era un rischio che potevo correre. E telefonini, per sicurezza, non ne avevo mai posseduti.
Ma cos’era successo? Forse Ninnì Bisaccia non era riuscito finora a venire perché era malato? Ma lo conoscevo bene e in trenta e passa anni non gli era mai venuto qualcosa, fosse pure un raffreddore o un’allergia. Certo non potevo escludere che la Natura avesse potuto riscuotere il suo debito con lui tutto in un unico saldo, ma allora Lallo Cutrò? Forse le guardie li avevano pigliati. Potevano parlare e dire chi ero e dove stavo? Ninnì Bisaccia lo escludevo, ma l’altro? Oppure le guardie non li avevano pigliati, ma li stavano tenendo d’occhio e uno dei due se n’era accorto. E stavano solo aspettando per capire come dovevano muoversi. Però non era sospetto che Lallo Cutrò abbandonasse terra e animale per tutti questi giorni? E perché Ninnì Bisaccia non aveva fatto in modo di trovare qualcun altro di fidato? Ed Egle? Aveva capito tutto quello che mi stava succedendo?
Dalla nebbia di vapore nella stanza e dai palmi delle mie mani capii che la doccia era durata anche troppo. Uscii dalla vasca più confuso di prima. Forse perché faceva un caldo di inferno, mi venne un giramento di testa e mi appoggiai con le mani al lavandino. Mi guardai allo specchio che via via si andava disappannando come la mia vista: ero tutto nudo e flaccido e rugoso, la pelle pallida perché non conosceva più il sole, i pochi capelli bianchi appiattiti sul cranio, gli occhi arrossati.
«Cazzo, Carmine Stanga, sei vìecchiu da fare schifo», dissi a me stesso.
Ma la testa mi camminava ancora e quella aveva appena deciso di tenere duro fino a quando là Fuori, quel posto che non mi vedeva da decenni, le cose non si sarebbero sistemate. O non sarebbero peggiorate del tutto.
Allora, col cuore meno pesante, mi asciugai e indossai la biancheria pulita, una tuta felpata grigia e la vestaglia di pile rossa. Mi strinsi di nuovo l’orologio al polso e vidi che si erano fatte le sei di mattina. Spensi la lampada accanto al letto, recuperai la stufetta dal bagno e mi spostai in cucina.
Mentre il profumo del caffè riempiva la stanza, feci colazione con i biscotti e il miele di Minico Costante e pensai a una storia che avevo letto nella Bibbia.
Raccontava di Sansone e della carcassa di un leone che lui stesso aveva ucciso tempo prima. Un giorno, passando per caso dallo stesso posto, l’uomo si era accorto che dentro i resti della bestia c’erano delle api e c’era del miele, tanto buono da portarlo ai genitori, senza dire da dove proveniva. Poi aveva sfidato gli uomini di una tribù nemica, la stessa di cui faceva parte la moglie appena sposata, con un indovinello su cos’era il forte dal quale usciva il dolce. Tutti si disperavano per trovare la risposta, compresa la moglie che cominciò a tormentarlo finché Sansone non ebbe pietà di lei e dei suoi pianti continui e allora si decise a rivelarle la soluzione. Ma ignorava che gli uomini della tribù nemica avevano minacciato di morte la donna se questa non si faceva dire dal marito che c’entrava il forte con il dolce e quindi lei, una volta ottenuta la risposta, corse a suggerirla. Quando gli uomini tutti soddisfatti andarono da Sansone recitando la soluzione dello strano indovinello, che il forte era il leone e il dolce era il miele, quello capì che la moglie aveva tradito la sua fiducia e la scacciò, dopo aver ammazzato tutti quegli uomini abbastanza di merda.

Trascorsi la mattinata seduto al tavolo da lavoro, ma non feci assolutamente niente. Mi misi a guardare le santine che avevo attaccato con lo scotch in giro per la stanza, così come avevo fatto anche con la camera da letto, fino a quando non ne imparai a memoria l’esatta disposizione: la Madonna di Fatima e Padre Pio ai lati del cucinino incrostato di macchie di sugo; il Sacro Cuore di Gesù bloccato da una calamita sullo sportello del frigo; le sante Rosalia, Lucia e Agata in fila poco sopra il divano mezzo scassato; il Crocifisso Nero di Sintari, la beata Nunziatella Levo, il San Giuseppe col Gesù Bambino in braccio e il Sant’Antonio di Padova sugli sportelli della credenza e alla fine la mia preferita, il San Giorgio a cavallo che con la lancia infilzava il drago, sulla porta di casa di poco sotto lo spioncino, vicino al ramoscello d’ulivo dalle foglie ormai secche.
Poi mi alzai, andai in bagno e dopo in camera da letto. Presi la pistola, che era una calibro 38, ne controllai il tamburo dove c’erano tutti e sei i proiettili e la rimisi sotto al cuscino.

>> Roberto Mandracchia, L’implosivo, 2024, Minimum Fax
>>Festa delle Narrazioni Popolari – leggi il comunicato stampa 

Related Articles