Corso Trieste. Piotta alla Festa delle Narrazioni Popolari
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Corso Trieste. Piotta alla Festa delle Narrazioni Popolari

La storia di una generazione di romani e del quartiere in cui le loro storie hanno avuto inizio. La storia di una nostalgia, di una perdita, di una città e di due fratelli attratti da assonanze intime e impreviste, da un legame destinato a superare il tempo e la sua fine. Piotta torna con un nuovo disco e un libro scritto insieme al fratello scomparso. In attesa di incontrare l'autore il 22 agosto a Civitaretenga, alla Festa delle Narrazioni Popolari, pubblichiamo di seguito un estratto da Corso Trieste, edito da La Nave di Teseo.

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La parte di Villa Ada oltre quella rete metallica a noi sembra come quell'immensa giungla nei libri di Salgari. Attraversandola tutti i giorni cominciamo a vedere poliziotti a piedi, a cavallo o a bordo di Jeep. Scopriamo nuovi sentieri, grotte e una strana galleria larga e profonda che si perde nell'oscurità, che qualcuno dice essere un bunker della Seconda Guerra Mondiale. Proviamo a entrare più di una volta con gli accendini, e ogni volta ne usciamo pieni di grosse bolle, punture di tafani e zanzare. Ma continuiamo a entrare, ogni volta sempre più a fondo. La parte interna di questa giungla metropolitana è fatta di sentieri tra la vegetazione, discese ardite, poi salite faticose tra gli arbusti, poi di nuovo dirupi scoscesi, e indine piccole valli. Un giorno, risalendo tra una macchia fitta di alberi, vediamo in lontananza un pianoro e della gente, seduta fra grandi tronchi abbattuti. Sono tutti vestiti con fogge strane, i capelli lunghi legati sopra la testa, gilet e stivali di pelle come cowboy, e hanno con sé grandi tmburi. Li percuotono, danzano e cantano come fosse un rituale.Hanno acceso anche piccoli braceri. Li osserviamo restando nascosti tra la macchia, in silenzio. Spezziamo dei rami per sbaglio provocando fruscii, qualcuno di loro ci scorge. restiamo immobili. Uno si alza dal gruppo, guarda dalla nostra parte, poi confabula con quelli vicini. Tutti insieme si tirano su in piedi e prendono in mano dei grossi archi. Caricano le frecce, e uno, basso e con il gilet rosso, indica dalla nostra parte. Poi all'improvviso tirano le frecce, che si scagliano a pioggia sopra le nostre teste, saranno una decina. Attraversano il fogliame e precipitano a terra, a pochi metri da dove siamo acquattati. Un paio si conficcano nelle cortecce dei grandi alberi accanto a noi, e ora che le vediamo da vicino sono frecce vere e proprie. Fuggiamo di corsa scivolando per quei dirupi e attaccandoci ai rami lungo le risalite senza fermarci un attimo, fino a tornare alla rete che divide la zona interdetta al pubblico da quella aperta, scavalcandola al contrario. Abbiamo gambe e braccia piene di ferite provocate dai rovi in corsa, è estate, siamo con i pantaloni e le maniche corte. Tiriamo il fiato accasciandoci vicino a qualcuno degli altri gruppi seduti sul pratone. Sono ragazzi più grandi e uno ci chiede che cosa sta succedendo. 
Raccontiamo di quell'incontro incredibile.
"È il gruppo degli indiani, stanno sempre accampati laggiù."
"Indiani?" chiediamo noi stupiti.
"Indiani metropolitani. Non li conoscete?"

>> Fabio Zanello, Tommaso "Piotta" Zanello - Corso Trieste - 2024 - La nave di Teseo

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