2019 – ACQUA FRIZZANTE
Passano gli anni, si susseguono altri appuntamenti, altri Saloni, altri libri, arrivano i figli, gli impegni di lavoro, le bollette da pagare. Ma si va avanti lo stesso, bisogna ricalibrarsi sul presente, bisogna sempre ricalibrarsi sul presente, guardando al futuro e senza mai scordare il passato, guardando dentro e fuori di noi, in perenne ricerca.
E così ci ritroviamo con il sole che sta tramontando su una filosofica Torino, il fiume come bussola, quando valichiamo la soglia del nostro quartier generale temporaneo. Un appartamento anonimo in un palazzo anonimo, eppure destinato a diventare l'epicentro di un terremoto culturale, il nostro. Per arrivare agli altri, dobbiamo prima prendere coscienza di noi stessi.
Senza perdere tempo ci mettiamo all'opera, tavoli e sedie vengono spinti contro le pareti, tappeti arrotolati e ammucchiati in un angolo. Il salotto si trasforma in un set improvvisato, un palcoscenico grezzo ma vibrante di potenzialità. Al centro della stanza, come un totem tecnologico, troneggia la webcam, il suo occhio impassibile è pronto a catturare e trasmettere al mondo la nostra trasferta letteraria.
L'aria è elettrica, carica di aspettative e di quella tensione creativa che precede i grandi eventi. Ci muoviamo con l'efficienza di una squadra ben rodata, ognuno al suo posto, ognuno consapevole del proprio ruolo in questa guerriglia culturale. Qualcuno sistema le luci, un altro controlla la connessione internet. C'è chi prepara i libri, impilando volumi consumati dall'amore e dall'uso accanto a quelli freschi di stampa.
E poi, finalmente, iniziamo. Le prime parole vibrano nell'aria, rimbalzano sulle pareti spoglie, si insinuano negli interstizi del silenzio. Leggiamo di autori dimenticati, di voci soffocate dal mainstream, di geni incompresi e profeti inascoltati. Ogni frase è un colpo, ogni pausa un momento di raccoglimento prima di sferrare il prossimo attacco.
L'acqua bagna i palati, le bollicine che frizzano sulle nostre lingue sono come piccole esplosioni di lucidità. Beviamo avidamente, come se quel liquido potesse purificarci, renderci degni messaggeri di una verità troppo a lungo taciuta.
Il tempo perde consistenza, si dilata e si contrae seguendo il ritmo delle nostre voci, non sappiamo più da quanto stiamo leggendo, né quanto ancora andremo avanti, sappiamo solo che non possiamo e non dobbiamo fermarci.
A un certo punto, alzo lo sguardo dal libro e mi accorgo che la stanza si è riempita. Volti sconosciuti ci circondano, occhi spalancati dallo stupore e dalla meraviglia. Non li abbiamo sentiti entrare, non abbiamo idea di come abbiano trovato questo luogo. Eppure sono qui, parte integrante di questo momento magico.
Continuiamo a leggere, a bere, a esistere in questa bolla fuori dal tempo e dallo spazio.
E poi, all'improvviso, sentiamo il bisogno di aria, di movimento, di portare questa energia nelle strade di Torino. Ci alziamo come un sol uomo, lasciando i libri aperti, la webcam accesa, i nostri ospiti inattesi immersi in una trance estatica.
La notte ci avvolge come un mantello mentre usciamo dal palazzo, con l'aria fresca che ci colpisce come uno schiaffo, risvegliando sensi intorpiditi dalle ore passate in quella stanza surriscaldata di parole e emozioni. Camminiamo senza meta, guidati solo dall'istinto e dalla sete, dalle luci che ci appaiono così accese.
I nostri passi ci portano inevitabilmente verso il Po. Il fiume scorre placido, indifferente al fermento culturale che agita la città in quei giorni, più in generale indifferente agli esseri umani e alle loro pulsioni. Ci sediamo sui muretti, le gambe penzoloni sopra l'acqua nera. Birre vengono aperte con un sibilo che sembra un sospiro di sollievo.
Beviamo in silenzio, lasciando che l'alcol sciolga le ultime resistenze, e poi, come un fiume in piena, le parole tornano a scorrere. Ma non sono più le parole degli altri, questa volta. Sono le nostre, segreti, confessioni, sogni mai rivelati emergono dalle profondità delle nostre anime, liberati dalla catarsi letteraria appena vissuta e dall'effetto disinibente di quell'acqua che pare infinita.
Ogni passante diventa oggetto del nostro scrutinio paranoico. Amico o nemico? Alleato o spia? Li osserviamo con occhi febbricitanti, pronti a difendere il nostro spazio, il nostro momento. Ma nessuno si avvicina. Siamo soli con le nostre verità, i nostri dubbi, le nostre speranze.
Il cielo inizia a schiarirsi quando decidiamo di tornare alla base. Camminiamo barcollanti, sostenendoci a vicenda, uniti non solo fisicamente ma da un legame che va oltre le parole, oltre la letteratura stessa.
Rientriamo nell'appartamento come ladri, cercando di non fare rumore. Ma è uno sforzo inutile, la stanza è vuota, i nostri ospiti misteriosi svaniti come se non fossero mai esistiti. Solo i libri aperti e le bottiglie vuote testimoniano che quanto abbiamo vissuto non è stato un sogno.
E poi vediamo la luce rossa della webcam, ancora accesa, ore e ore di streaming, qualcuno ci ha visto uscire, qualcuno ha assistito al vuoto lasciato dalla nostra assenza?