2020 - PANDEMIA
Il vecchio pub nel quartiere universitario, un tempo porto sicuro nelle tempestose notti di studio e sbronze. Ora, anni dopo, ci torniamo, non più come studenti, ma come agitatori culturali. Il locale è cambiato, eppure è rimasto uguale. Un paradosso, proprio come piace a noi.
Varchiamo la soglia e veniamo investiti da un'ondata di straniamento, le pareti sono ancora tappezzate di cimeli sportivi americani, poster di finali yankee, maglie delle leghe professionistiche d'oltreoceano, ma dietro il bancone ora c'è una signora cinese di mezza età che ci sorride con cortesia. È uno scontro di culture che ci fa girare la testa, un collage vivente che sembra uscito da un romanzo postmoderno.
La luce è fioca, quasi complice, perfetta per le nostre riunioni pomeridiane, quando vogliamo discutere dei nostri progetti lontano da occhi e orecchie indiscrete. La penombra avvolge le nostre parole, le protegge, le nutre come un utero culturale.
Ordiniamo da bere e da mangiare, più per abitudine che per fame. La signora cinese annuisce e si dirige verso un enorme congelatore che troneggia in un angolo. Ne estrae pacchetti di cibo surgelato che finiscono dritti nel microonde. In pochi minuti, i piatti "tipici" della cucina sia italiana che americana arrivano al nostro tavolo. Sono sapori che ricordano vagamente quelli di un tempo, ma con una nota di estraneità che non riusciamo a definire.
Mangiamo e beviamo, ma soprattutto parliamo, discutiamo dei nostri prossimi progetti, e mentre le nostre idee si mescolano al fumo delle sigarette e al vapore del cibo appena scongelato, non possiamo fare a meno di notare la bizzarra fusione di culture, e qualcuno propone di organizzare la prossima riunione nella tavola calda dell'aeroporto di Fiumicino. L'idea viene accolta con entusiasmo. Perché no? In fondo, cosa c'è di più TerraNullius che andare ad occupare un non-luogo per eccellenza, un limbo tra partenze e arrivi?
Ma c'è qualcosa nell'aria, una tensione sottile che non riusciamo a ignorare, voci di una nuova malattia, di un virus che si sta diffondendo in tutto il mondo. All'inizio sono solo sussurri, poi diventano titoli di giornale, poi allarmi sempre più insistenti.
Continuiamo a incontrarci nel pub, settimana dopo settimana, ma i nostri discorsi iniziano a essere punteggiati da notizie preoccupanti. L'ultima volta che ci ritroviamo, l'atmosfera è surreale, la signora cinese dietro il bancone sembra più silenziosa del solito, i clienti ancora più prossimi allo zero del solito, sparsi qua e là nella grande sala come naufraghi su un'isola deserta.
Usciamo dal pub quella sera con un senso di malinconia che non riusciamo a scacciare, immaginiamo già che nei giorni successivi le notizie si faranno sempre più allarmanti, le misure del governo più drastiche, tuttò dovrà chiudere, tutti dovremo restare a casa.
Nei mesi di isolamento che seguono, impariamo a fare le nostre riunioni via internet, attraverso app e webcam, ognuno con il suo bicchiere sulla scrivania, ma non è la stessa cosa. Eppure non si può fare diversamente.
La vita che conoscevamo sembra all'improvviso lontanissima, un'epoca in cui potevamo incontrarci liberamente, in cui la vicinanza fisica non era un pericolo ma una gioia.
Ma noi non siamo tipi che si lasciano abbattere facilmente, così finiamo a scrivere e inviare solo fra di noi un foglio quotidiano, una rivista che non si sa bene perché nasce ma va avanti con l'impegno di tutti per mesi. Anche se non può essere portata fuori nelle strade.
Ma non è poi troppo importante, una diffusione massiccia o uno scambio carbonara non devono fare la differenza, perché TerraNullius prende i luoghi dimenticati, i non-luoghi, gli spazi di confine, e li trasforma in fucine di creatività. Si nutre delle contraddizioni del mondo e le usa come carburante per le sue idee. Prende il caos e ne fa arte.
E anche se per ora siamo confinati nelle nostre case, sappiamo che le nostre parole e i nostri progetti sono il segno nella volontà ostinata volontà di continuare a creare e a sovvertire.
Così, mentre il mondo là fuori cambia in modi che non avremmo mai potuto immaginare, mentre si fanno file interminabili a debita distanza davanti ai supermercati, mentre si cerca di accaparrarsi l'ultimo rotolo di carta igienica, noi continuiamo a fare ciò che sappiamo fare meglio. Raccontiamo storie. Creiamo mondi. Immaginiamo futuri.