Neve rossa
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Neve rossa

Era bello vederli divertirsi, anche se si bronzavano, se si sballavano, anche se qualche volta esageravano e creavano problemi. La vista dei miei bicipiti, però, li placava, quei ragazzi. La neve rossa no, la neve rossa non avrei mai voluto vederla. Dopo un paio di settimane ho dovuto cambiare lavoro. Da allora mi è rimasta in testa. Anche oggi, quando vedo altri giovani divertirsi ed esagerare, la neve rossa è ancora qui, pure se la responsabilità delle loro acerbe o terribile azioni, ormai, non è più mia. Ero un buttafuori – 193 cm per 118 kg –, ora monto pavimenti in gres porcellanato.

Alle tre di notte, in una discoteca di periferia, rimane poca gente. Noti tutto, gli sguardi, le strategie, le ultime avance disperate, i pochi approcci fortunati. Lei andava alla ricerca del suo cellulare da un pezzo, aveva chiesto anche a me. Pareva solo in una serata storta. Lui era teso, fremeva. Da quando era arrivato, l’avevo visto intrallazzare ovunque. Ora cercava una felice chiusura.
Quando si sono incrociati, ho pensato che avrebbe potuto darle una mano e che due ricerche si sarebbero risolte l’una nell’altra. Infatti, poco dopo mi sono passati sotto il naso e sono usciti nella notte gelida. Un fugace momento di calore nel gelo d’un febbraio a meno dieci, ho pensato. Ma tempo quattro, cinque canzoni, lui era già dentro.
La sua espressione, oggi posso dirlo, pareva gres porcellanato effetto legno: impeccabile, freddo, finto. Attorno a lui, gli amici iniziarono ad agitarsi, invece. I loro volti, prima preoccupati, diventarono spaventati, guardando la sua camicia bianca non più immacolata.
Non andai verso di loro, d’istinto uscii dalla discoteca. Era nevicato, a terra c’era una ventina di centimetri. Più che freddo, c’era silenzio: non un’auto, non una persona, persino la musica giungeva ovattata. Cadevano infinitesimali scaglie di ghiaccio, era polvere controluce.
Ricordo i passi incerti, eppure era come se sapessi dove andare. Infatti, le prime gocce mi vennero presto incontro.
La trovai accasciata sulla neve in una pozza di sangue. Pareva sventrata, sventrata dove solo l’amore… dove solo il frutto dell’amore dovrebbe… Era svenuta, ma era viva.
Il resto della storia finì sulla cronaca locale dell’epoca: un’accozzaglia di parole che mai riusciranno a spiegare la violenza di quel Rorschach purpureo. Non è di loro interesse.

Ero un buttafuori, ora monto pavimenti in gres. Quando capitano mattonelle rosse, mi rifiuto di lavorare. Quando capitano mattonelle rosse, non già l’amore ma l’umanità, penso che l’umanità non sia capace di esistere. Soprattutto oggi che la mia bambina si affaccia al mondo con un candore così simile a quella neve.

 

 

Foto Daniele Mancini

Scatto di Andrea Mancini

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