Emilio Salgari, inventore del teletrasporto schiacciato da clausole capestri (Verona, 21 agosto 1862; Torino, 25 aprile 1911)
Nato da una famiglia di osti, passato alla storia con l’accento sbagliato, Salgari si trovò in vita a costruire portali per il teletrasporto di massa senza riuscire a trarre grandi ricavi dalla sua invenzione.
Allievo di un istituto tecnico nautico, solcò il mare Adriatico una sola volta e per poche ore. Sceso a terra, scombussolato dal mar di mare, arginò la nausea con l’ingegno e lo studio minuzioso di storie, abitudini e costumi e finì col traghettare su e giù per le Indie, e anche oltre, un intero bastimento di generazioni.
Lavorò come correttore di bozze fino al suo ventunesimo compleanno, fino a quando, tra il 1883 e il 1884, solcò il mare dell’editoria pubblicando a puntate La tigre della Malesia. Su quel trampolino prese la rincorsa e si tuffò nella scrittura senza davvero riuscire a uscirne mai più.
Studiava sodo dietro le pagine, senza badare troppo a chi credeva d’insultarlo additandolo come romanziere popolare e d’appendice.
A lui, piaceva scrivere e, mentre pubblicava, i suoi personaggi lo superavano in fama ma soprattutto in ricchezze perché, se quelli scoprivano e si litigavano perle e tesori, lui brigava con i conti e le spese.
Traslocava spesso e, con lui, la moglie e i suoi quattro figli. Negli anni d’oro della sua maturità̀, tra Genova e Torino, lavorò per numerosi editori, grandi e piccoli, fino a quattro contemporaneamente per riuscire a mettere insieme l’affitto. Nei fatti, il moltiplicarsi delle clausole contrattuali, le strategie in voga per beneficiare delle alte tirature, gli stratagemmi per evitare o contenere le perdite continuarono insieme a fare da sfondo al mare delle sue storie e a spingerlo a moltiplicare pagine di cannonate, arrembaggi e duelli.
Nel frattempo, iniziò ad affezionarsi agli illustratori e ne vennero fuori delle narrazioni sontuose: in quel periodo, perfino la Regina Margherita ci tenne a complimentarsi con lui. Sarebbe stata una vita agiata se fosse riuscito a cavare qualcosa da quelle edizioni così belle e colorate, ma Emilio continuava ad essere un uomo capace di andare al di là dell’orizzonte senza spostarsi da un marciapiede, del tutto inetto a fermarsi e contrattare un compenso adeguato. Di quel periodo si ricorda che iniziò, per galanteria, a dedicare alla Regina ogni prima copia di tutti i volumi e che Il Corsaro nero, del 1899 fu un vero e proprio boom editoriale. Da allora, pubblicherà̀, almeno un titolo all’anno.
Nella sua mente, prima che il cinema potesse inventarsi sequel e prequel, i personaggi si rincorrevano da un volume all’altro, crescevano, morivano, si innamoravano, si separavano e si cercavano. La Terra sembrava un luogo immaginario, una scusa per poter inventare intrecci, relazioni, amici e nemici. Il linguaggio registrava le forme della realtà̀ e riproduceva nei dialoghi lo svolgersi dei fatti, così come avvenivano. A emergere erano personaggi eccezionali, eccessi di cattiveria, bontà̀, bellezza o lealtà̀. Ideali e nuovi miti raccontati a puntate. Fantastico e reale, reale e ideale. E, in questa altalena, si trovò lui stesso a trasformarsi in eroe. Nella corrispondenza privata, amava firmarsi capitano, cavaliere e tanto altro.
Lo stesso, ma con risultati poco lusinghieri, cercheranno di fare il figlio e tutti i curatori dei cinquantotto falsi volumi lanciati sul mercato per sfruttare il nome di Salgari. Lui non lo avrebbe immaginato, né mai lo avrebbe saputo essendo questo avvenuto dopo la sua morte, ma di certo avrebbe preteso maggiori dettagli, sciabole più affilate e soprattutto storie migliori.
In vita era contento ma non troppo: i soldi servivano ma gli venne imposto di non saturare il mercato e inflazionare il suo nome. Prese a pubblicare con degli pseudonimi – almeno quattro accreditati – producendo circa due dozzine di titoli in cui le trame si assomigliavano tutte. Ai lettori piacevano e gli editori vendevano e spendevano meno per i diritti d’autore.
E avrebbe continuato così fino a quando il barile del suo immaginario lo avrebbe aiutato, ma avvenne che uno degli editori che lo aveva sotto contratto pretese una qualche novità̀. E Salgari allora guardò oltre il mare, oltre il tempo e chiese aiuto alla fantascienza.
Era l’epoca in cui i debiti mordevano, ma ancora lui credeva fermamente che la fantasia fosse un ponte capace di far sognare insieme chi scrive e chi legge, così diede in pubblicazione Le meraviglie del duemila. A turbarlo, dopo quella prova, fu il confronto a suo sfavore con Verne (figlio) che aveva già̀ pubblicato La giornata di un giornalista americano nel 2889. Le biografie ufficiali riportano che Salgari sembra lamentarsene ma evidentemente non tanto da cambiare strada. Continua a studiare incessantemente dizionari e atlanti e torna alle sue storie.
Ma la fatica di vivere scrivendo iniziò a diventare insostenibile; si sentiva schiacciato tra la produzione, le consegne, il numero di cartelle e la sua dedizione quasi ossessiva allo studio, ai dettagli, alle carte geografiche.
Si trovò incastrato in una vita miserrima. I soldi non bastavano mai. Gli editori pagavano, ma i contratti raccontano di compensi fissi, piuttosto irrisori. Raccontano di penali da pagare ad ogni passaggio o collaborazione con qualcun altro e di bonus non previsti per le alte tirature. Per di più̀, gli pseudonimi non rendevano bene quanto il suo vero nome ma gli imponevano la stessa fatica compositiva.
Quando Ida la moglie si ammalò, più̀ seriamente, Salgari non poté permettersi neanche il corrispettivo per il ricovero. La questione finanziaria divenne allora centrale e insopportabile.
La prima volta tentò di suicidarsi a quarantasette anni, nel 1909, gettandosi su una spada: contava venticinque romanzi pubblicati con Bemporad, ottantasette testi editi e un mare di appunti e canovacci.
Salvato dalla figlia, dopo due anni, nel 1911, decise di prepararsi alla morte con più accuratezza. Scrisse lettere ai figli, agli editori e ai giornali. Indicò il punto in cui poter cercare il suo corpo morto. Si recò nella radura del Colle del Lauro in compagnia di un rasoio. Morì dissanguato accusando gli editori per cui aveva lavorato.
Il freddo di quella morte non sembrò congelare i colpevoli.
Mentre tutti i giornali dell’epoca erano impegnati a celebrare i lavori per l’Esposizione Universale, al funerale, si racconta, parteciparono per lo più̀ bambini e ragazzi con i libri sotto il braccio.
Era con loro che risorse la prima volta. Poco più di mezzo secolo dopo, nel 1953, Soldati lo riportò in vita, al cinema, con Jolanda la figlia del Corsaro Nero e dieci anni dopo, in televisione, nel 1963 con Sandokan, Emilio era, di nuovo, vivo, a puntate e, a quel punto, definitivamente immortale, oltre lo spazio, oltre il tempo, oltre le clausole che lo schiacciarono.
La narrazione per immagini è un collage digitale di Linda Sorrenti, in arte lapidalagallina. Su Instagram lapidalagallina_0.2