Da collezione
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Da collezione

Il primo appuntamento fu una passeggiata in centro. I presupposti c’erano: una decina di giorni d’intense chat notturne. E la serata trascorse lieta. Stettero appartati come profughi. I rumori della movida orientarono i loro passi verso direzioni diametralmente opposte. Viali periferici, vicoli bui, parcheggi, parchi giochi spettrali furono gli unici luoghi della città dove echeggiarono le loro prime parole parlate.
E quasi per l’intero tempo insieme parlarono di malattie, allergie, fobie, paturnie psicologiche, dubbi esistenziali.
Si confessarono di tutto. Fu come un gioco, figurine da collezionare. Ce l’ho, di queste ne ho due, questa mi manca. Una sfida che non avvampò in passione. Ognuno a casa sua sereno di avere in rubrica il numero di cellulare dell’altro.
Lui era felice di aver giocato. Lei, invece, ebbe un senso di sollievo provato di rado. Quel ragazzo era una goccia d’acqua su Marte.
Poi una nuova uscita, un aperitivo, una cena al ristorante. Le allergie diventarono un menù ridotto all’osso, le fobie una serie di fughe in bagno, le paturnie un bacio in auto tra tremori e due grosse lacrime. I dubbi rimasero solo in mano a lui, come spilli.
È una fitta trama di limiti autoimposti, pensò lasciandola scendere davanti al portone di casa.
Guardò il futuro e vide file in corridoi bianchi, serate sul divano davanti a Chi l’ha visto?, infinite conversazioni d’ovatta, e anche un figlio sbilenco.
Non rispose più a un solo messaggio. Neanche a quello della buonanotte, di quella stessa notte.

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