Nelle scorse settimane è arrivato in redazione un racconto, un racconto dove Barbie (o, immaginiamo, più plausibilmente Margot Robbie) interpreta il ruolo di Oppenheimer all'interno del progetto Manhattan, in una trama che porta inevitabilmente alla creazione della bomba atomica.
Il racconto in sé non va oltre lo spunto, però ci dà l'occasione per riflettere su due film molto diversi che si sono ritrovati assai interconnessi in questa estate che sta andando a finire. Usciti nello stesso giorno (negli Stati Uniti) sono diventati sin dall'annuncio oggetti di battute, meme, fotomontaggi e condivisioni social, a un livello probabilmente mai visto sinora nel campo dell'entertainment. Senza dubbio una grande mossa di marketing, che ha portato le due opere a trionfare al botteghino. Scelta dunque più che azzeccata e di cui alla fine si è giovato in proporzione soprattutto il film di Christopher Nolan, visto che Barbie avrebbe accumulato montagne di stampa e social engagement in qualsiasi momento fosse uscito.
Le due opere, pur condividendo una certa tendenza alla perfezione estetica, sembrano appartenere a poli opposti in termini di contenuto e tono, e probabilmente proprio questa divergenza ha stimolato e moltiplicato le dinamiche di interazione social, fino al punto da arrivare a proporci una nuova definizione di esperienza cinematografica. Nonostante le loro differenze infatti, entrambi i film sono stati e sono tuttora catapultati nello stesso contesto di discussione, dimostrando come la distinzione tra produzioni diverse diventi meno rilevante rispetto alle community digitali e alle discussioni online che vanno per la maggiore.
Il parallelismo onnipresente di questi mesi a riguardo delle due pellicole rappresenta dunque un'evoluzione sostanziale nel significante artistico contemporaneo, dove l'attenzione della critica e del pubblico si sposta sempre più dalle trame dei film alle interazioni che si sviluppano intorno a essi, soprattutto nei contesti dei social media. In un'epoca in cui la condivisione istantanea delle opinioni è ormai dilagante, il cinema non è più solo uno spettacolo proiettato sul grande schermo, ma un fenomeno sociale e culturale in continua mutazione costretto a inseguire i trend topic del momento.
E se è vero che già Adorno sottolineava come l'industria culturale fonde cultura e réclame senza che possano essere distinte l'una dall'altra, è pure vero che è la prima volta che assistiamo a un'operazione di marketing così piena e ridondante, a un cambio netto di paradigma che ha il potere di ridefinire il valore stesso di un'opera. Oltre al suo contenuto intrinseco, un film è ora giudicato anche in base alla sua capacità di generare coinvolgimento e dinamiche sociali, fino a rivelare allora il concetto di post-cinema, dove l'opera si va a slegare dall'opera stessa per diventare un argomento di consumo che si espande nelle infinite possibilità di interazione online.
Si potrebbe dire, in un'accezione positiva di questo fenomeno, che ciò riflette il potere delle connessioni digitali nell'arricchire e trasformare l'esperienza cinematografica per le generazioni più giovani. Non si tratterebbe più solo di consumare passivamente uno spettacolo sul grande schermo, ma di impegnarsi attivamente in una rete globale di conversazioni e scambi persino creativi, rappresentando dunque una nuova fase nell'evoluzione della settima arte.
Questo perché l'hype si estende alla fase precedente all'uscita del film, finendo per trascendere l'uscita stessa del film, generando attenzione e coinvolgimento molto prima che questo appaia sul grande schermo, dando luogo a una forma di coinvolgimento pregresso. Gli spettatori ancora solo potenziali diventano così creatori del dibattito, influenzando la narrazione dello spettacolo ancor prima di vederlo. L'anticipato coinvolgimento finisce per spostare l'attenzione dalla trama stessa a ciò che l'opera potrebbe rappresentare, non solo a livello cinematografico, creando un nuovo strato di significato all'interno della fruizione.
L'anticipazione digitale dunque non solo genera un contesto di partecipazione social senza precedenti, ma modella la narrazione stessa del film, soprattutto quando è il mondo intero a guardare la stessa opera, come quando è il mondo intero a comprare gli stessi prodotti o a mangiare nelle stesse catene di food&beverage (e forse non è un caso che a segnare questa stagione di trionfo per il grande schermo sia, pur con tutti i distinguo che si possono fare per un film che almeno nelle intenzioni vorrebbe proporre una lettura complessa di quel che appare, una pellicola finanziata dalla casa produttrice di uno dei giocattoli più venduti della storia).
Di conseguenza l'opera rimane un punto di partenza e un punto di convergenza per queste interazioni, ma non è più l'unico aspetto che determina il valore e il significato dell'esperienza. L'attenzione non è più esclusivamente focalizzata sul film come lavoro autonomo, ma si estende anche alle discussioni e alle connessioni che si sviluppano intorno a esso. Forse la pellicola in sé non perde importanza, ma il suo impatto e la sua risonanza sono modellati dalle dinamiche online che la circondano. Questa nuova prospettiva, se non implica che la materia del film diventi irrilevante, suggerisce almeno che il film stesso non è più l'unico aspetto capace di definire la fruizione cinematografica.
Questa trasformazione solleva dubbi sulla centralità della creazione artistica, e sottolinea sul medio periodo il pericolo di una crescente indifferenza nei confronti del suo significato intrinseco, destinato a perdere terreno di fronte alle dinamiche digitali che lo assediano. L'effetto finale vedrà il contenuto del film relegato in secondo piano, una riduzione dell'opera in categorie, stereotipi e semplificazioni, solo per aderire meglio alle dinamiche delle discussioni online, quando non addirittura un mero pretesto per le interazioni digitali.