Il 5 dicembre 1943 l’avv. Ettore Troilo si reca con un drappello di uomini a Casoli, avamposto del comando alleato. L’obiettivo è chiedere il permesso di creare un gruppo civile di volontari per liberare i paesi della Valle dell’Aventino dall’occupazione nazifascista. È uno dei momenti fondativi della Brigata Maiella, di cui Troilo diverrà comandante.
Piena fiducia
La neve s’attacca persino sulla canna dei vecchi Carcano che portiamo in spalla. Su a Casoli, hanno respinto di nuovo le nostre istanze. Vermi siamo ai loro occhi, infingardi voltagabbana. Così, su consiglio del maggiore Forman, torniamo al quartier generale alleato in contrada Taverna Nova.
Sono afflitto. Lo siamo tutti, ma non possiamo demordere. Il minimo che dobbiamo pretendere sono degni armamenti, come si dice abbiano dato ai guerriglieri di Civitella. Perché a loro sì e a noi no? Perché? Anche se nessuna delle nostre donne è nata in Inghilterra, perché non dovremmo avere lo stesso diritto di difendere Torricella? Certo, non aspetteremo inerti che si ripeta una devastazione come a Gesso!
Camminiamo in fila indiana. Ci scortano due neozelandesi. Il silenzio che ci ammanta è fatto di cristalli di neve e lacrime sopite di colpa. Non ci fosse questo manto immacolato, forse udiremmo spari, grida correre lungo la valle.
Gli inglesi conoscono il mio passato, e però in me non c’è rivalsa, nessun secondo fine. Quel che sarà dell’Italia ora non conta. Conta solo ricacciare gli invasori dalla nostra terra, salvare madri, vecchi e bambini, e quegli uomini in fuga che saranno il sudore della rinascita. Conta il riscatto morale e materiale della Patria per distruggere ogni residuo di fascismo. Nella Valle dell’Aventino come in quella Peligna, nel Capoluogo come in tutto l’Abruzzo, e oltre, se necessario.
Faremo tutto ciò che serve, questo deve comprendere il comando alleato. Smineremo strade, ricostruiremo ponti, andremo in avamposto tra le file nemiche, marceremo su ogni traja e ogni sentiero che fu dei nostri avi per liberare la Montagna Madre dai tedeschi. O, pure, distribuiremo derrate alimentari, guideremo gli sfollati nelle retrovie, puliremo perfino il fango dai loro scarponi! Tutto pur di dimostrare che gli uomini della Maiella meritano piena fiducia!
La neve s’infittisce. Come destino, non riusciamo a vedere cosa ci attende. Ancora un diniego, o finalmente un aperto sorriso? Sino a che non udiamo delle voci, concitate, italiane miste a inglesi. E un grido che c’intima di fermarci: «Stop right there! Halt!»
Sono i due uomini di scorta a rispondere in nostra vece. Così, ci avviciniamo cautamente al drappello raccolto davanti al portone. Altri civili – un altro moto spontaneo di popolo – stanno trattando con le guardie l’ingresso al palazzo.
Nessun privilegio, solo il diritto siamo qui a reclamare: il diritto di prender parte alla storia. Il diritto di costituirci corpo di liberazione al cospetto della Montagna Madre, che di lassù, oltre la coltre bianca che l’avvolge, ci osserva, e ci giudica.
Non possiamo, non posso fallire.