Vendere il nulla

Vendere il nulla

 

Non so esattamente come sia successo, ma mi ritrovo seduto in una sala riunioni con l'aria condizionata al massimo e una decina di persone che mi fissano come se fossi appena atterrato da Marte. Il che, considerando il mio stato mentale attuale, potrebbe anche essere vero.

"Allora, Matteo," dice il tizio con la cravatta più costosa della stanza, "ci illustri pure la sua idea per la nuova campagna."

Ah, giusto. Sono qui per quello. Marketing. Quella cosa per cui mi pagano, teoricamente. Mi schiarisco la voce, cercando di guadagnare quei preziosi secondi che mi servono per inventarmi qualcosa di vagamente sensato.

"Beh, vedete..." inizio, sperando che il cervello si metta in moto prima della bocca. "L'idea è semplice ma rivoluzionaria."

Pausa a effetto. Non che abbia davvero un'idea, ma so che le pause a effetto fanno sempre la loro figura.

"Venderemo... l'invisibile!"

Il silenzio che segue è così denso che potrei tagliarlo con un coltello e servirmelo su un piatto. Se avessi un coltello. O un piatto. O la minima idea di quello che devo aggiungere all'affermazione, terminati i pochi secondi di costernazione generale.

"L'invisibile?" domanda la tipa con gli occhiali che sembra uscita da un catalogo di mobili svedesi. "Intende dire che faremo una campagna basata su... niente?"

"Esattamente!" esclamo, fingendo un entusiasmo che non provo da almeno l'ultima volta che ho vinto una multipla al centro scommesse sotto casa. "Pensateci: cosa c'è di più desiderabile di ciò che non si può vedere?"

Il tizio con la cravatta costosa si sporge in avanti, improvvisamente interessato. "Continui, Matteo. Sono curioso di sentire dove vuole arrivare."

Dove voglio arrivare? Bella domanda. Se lo sapessi, probabilmente non sarei qui a inventare progetti per prodotti che non esistono. Ma tant'è, ormai sono in ballo e devo ballare. Anche se il mio ballo assomiglia più a una crisi epilettica che a un valzer.

"Vedete," continuo, sentendomi come un prestigiatore che deve tirare fuori un coniglio da un cappello vuoto, "il nostro prodotto sarà l'assenza stessa di prodotto. Venderemo l'idea che possedere qualcosa di invisibile sia il massimo del lusso."

"Ma come si fa a vendere qualcosa che non esiste?" chiede uno con una camicia così stirata che sembra gli abbiano fatto la plastificazione addosso.

"Ah, questa è la vera bellezza del piano!" esclamo, chiedendomi se per caso non mi sia fumato il cervello insieme all'ultima canna. "Non vendiamo un oggetto, vendiamo un'esperienza. L'esperienza di possedere qualcosa che nessun altro può vedere o toccare."

Mi fermo un attimo, colpito da un'illuminazione. O forse è solo l'inizio dell'emicrania. "Pensateci: qual è la cosa che tutti vogliono ma nessuno ammette di desiderare? L'esclusività. E cosa c'è di più esclusivo di qualcosa che solo tu puoi possedere, perché solo tu sai che esiste?"

Per alcuni secondi nella stanza tutti mi osservano silenziosi, poi il tizio con la cravatta costosa si alza in piedi, un sorriso da squalo stampato in faccia. "Matteo, sei un fottuto genio!"

Io annuisco saggiamente, cercando di non mostrare lo shock per essere stato appena definito genio da qualcuno che non sia mia madre. E anche lei, l'ultima volta che l'ha detto, voleva solo essere sarcastica.

"Immaginate," continuo, ormai in preda a una sorta di delirio creativo, "spot televisivi dove le persone interagiscono con oggetti invisibili. Cartelloni pubblicitari completamente bianchi con solo il nostro logo. Influencer che postano foto di se stessi che usano il nostro prodotto... il nostro prodotto invisibile."

La sala riunioni esplode in un brusio eccitato. Ho appena proposto di vendere letteralmente il nulla, e questi squali pazzoidi sembrano adorare l'idea. Come quasi sempre, nessuno sa davvero se sia davvero una trovata geniale o una stronzata epocale, del resto si tratta di due categorie separate da un filo sottile. Ma si percepisce un odore di denaro che molti possono sentire, forse. In ogni caso mi chiedo se non sia finito in qualche episodio particolarmente surreale di una di quelle serie che non vedo mai per intero perché mi addormento puntualmente davanti alla tv.

"Ma come faremo a... produrre questi oggetti invisibili?" chiede timidamente la tipa con gli occhiali da catalogo svedese.

Una domanda sensata, se volessimo affrontare la realtà attraverso banali questioni pratiche. Così alzo un sopracciglio, cercando di apparire il più possibile sicuro, come se sapessi esattamente quello che sto dicendo. "Produrre? Oh no, cara mia. Noi non produciamo nulla. Questo è il bello. Zero costi di produzione, zero problemi di magazzino, zero resi. Il cliente ordina il suo oggetto invisibile, noi gli mandiamo una bellissima confezione vuota, et voilà! Il prodotto è venduto."

"Ma... ma... è davvero geniale!" esclama il tizio dalla camicia plastificata. "Potremmo persino creare una linea ancora più esclusiva di oggetti invisibili personalizzati!"

"Esatto!" confermo, chiedendomi se per caso non siamo finiti tutti in una dimensione parallela dove la logica non esiste più. "Il cliente ci dice che forma e dimensioni vuole per il suo oggetto invisibile, e noi gli mandiamo un certificato di autenticità con tutte le specifiche. Potremmo persino offrire un servizio di manutenzione per questi oggetti, una sorta di aggiornamento."

Il tizio con la cravatta costosa sta praticamente contando i soldi nel suo cervello. "Matteo, questo cambierà il mondo del marketing! Dobbiamo metterci al lavoro immediatamente. Voglio una bozza di campagna entro domani!"

Esco dalla sala riunioni in uno stato di trance, mentre tutti si complimentano con me. Ho appena convinto un'intera stanza di professionisti del retail a vendere letteralmente il nulla, e loro non solo ci sono cascati, ma sono entusiasti all'idea.

Mentre cammino verso il mio cubicolo - perché sì, nonostante sia appena stato definito un genio, il mio spazio di lavoro è ancora un cubicolo grande quanto un armadio per le scope - mi chiedo se non sia il caso di smettere di fumare cose strane prima delle riunioni importanti. O forse dovrei fumare di più.

Mi siedo alla scrivania, accendendo il computer con la stessa energia di chi sta per affrontare un plotone d'esecuzione. Ho ventiquattr'ore per trasformare la mia allucinazione collettiva in una concreta campagna di marketing. O perlomeno il più concreta possibile considerando che stiamo parlando di vendere l'invisibile.

Apro un nuovo documento e fisso lo schermo bianco. Mai prima d'ora un foglio vuoto è stato così appropriato per un progetto. Sto letteralmente creando qualcosa dal nulla. Se non è questa l'essenza del commercio, non so cosa lo sia.

Dopo un'ora a fissare lo schermo, intervallata da frequenti pause per controllare i social media e chiedermi dove ho sbagliato nella vita, decido che ho bisogno di ispirazione. O di una lobotomia. Al momento, entrambe le opzioni sembrano ugualmente allettanti.

Mi alzo e mi dirigo verso la macchinetta del caffè, tempio sacro di ogni ufficio che si rispetti. Lì trovo Giulia, la stagista che tutti fingono di non notare mentre sbavano dietro al suo talento, chiamiamolo così.

"Ehi Matteo," mi saluta con un sorriso che farebbe sciogliere un iceberg. E considerando il riscaldamento globale, non è poi così difficile.

"Ciao Giulia," rispondo, cercando di non fissare il suo talento. "Come va?"

"Oh, bene! Ho sentito che la tua idea per la nuova campagna ha fatto impazzire tutti! Dev'essere fantastico lavorare a qualcosa di così innovativo!"

Fantastico. Certo. Come un calcio nei denti.

"Sì, beh, sai com'è," borbotto, prendendo dallo sportellino quello che la società responsabile delle macchinette osa chiamare caffè. "A volte le idee migliori arrivano quando meno te lo aspetti."

"Davvero?" chiede lei, gli occhi verdi che brillano di ammirazione. O forse è solo il riflesso delle luci al neon. "E come fai a trovare l'ispirazione?"

Per un attimo sono tentato di dirle la verità. Che la mia grande idea è nata da una combinazione di hangover, mancanza di sonno, disperazione e possibili danni cerebrali. Ma poi mi rendo conto che questo potrebbe minare la mia immagine di genio creativo. E dato che è l'unica cosa che al momento mi separa dal diventare un senzatetto, decido di bluffare.

"Beh, vedi Giulia, il segreto è..." rifletto mentre fisso il suo talento. "Il vero segreto è osservare. Osservare il mondo intorno a te e vedere ciò che gli altri non vedono."

"Wow," sussurra lei, pendendo dalle mie labbra, anche se per un attimo vengo sorpreso dal sospetto che mi stia prendendo in giro. "E cosa vedi tu, Matteo?"

"Io vedo..." faccio una pausa drammatica, sperando che mi venga in mente qualcosa di intelligente. "Io vedo le possibilità nascoste nelle cose di tutti i giorni. Come questo caffè, per esempio."

Alzo la tazzina di plastica, guardandola come se contenesse i segreti dell'universo invece di un liquido che assomiglia più allo scarto di lavorazione degli oli industriali che a una bevanda.

"Questo non è solo caffè. È un portale verso terre lontane, un catalizzatore dei momenti della storia dell'uomo e della natura. Ogni sorso è un'opportunità per vedere il mondo in modo diverso."

Giulia mi guarda come se le avessi appena rivelato il significato dell'esistenza, così io cerco di mantenere un'espressione saggia e misteriosa, mentre dentro di me sto calcolando le possibilità di accedere al suo talento grazie alla mia molto fantomatica genialità.

"È incredibile, Matteo," dice lei. "Vorrei poter vedere il mondo come lo vedi tu."

"Un giorno ci riuscirai, Giulia," rispondo, sentendomi contemporaneamente come un guru new age e un imbroglione di prima categoria. "Basta aprire gli occhi e afferrare la differenza fra vedere e guardare."

Con questa perla di saggezza, mi congedo e torno al mio cubicolo, chiedendomi se non sia il caso di cambiare carriera. Magari potrei diventare un motivatore. O un venditore di pelli di serpente. A questo punto, la differenza sembra minima.

Seduto di nuovo alla mia scrivania, fisso lo schermo ancora bianco del computer. La conversazione con Giulia mi ha dato un'idea. Probabilmente non una buona idea ma, come si dice, a caval donato non si guarda in bocca. Soprattutto se il cavallo è invisibile.

 

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