Il Libello Fallico   (prima parte)
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Il Libello Fallico (prima parte)

 

 Il Colonnello Cesare Pannacci, dopo una splendida carriera nella Guardia di Finanza, aveva deciso che era giunto il momento di regalare al mondo le competenze e le conoscenze acquisite durante gli anni di onorato servizio alla Nazione.

Era un uomo istruito, aveva frequentato ben tre istituti superiori: Liceo Scientifico, lasciato a metà del primo anno a causa di spiacevoli incomprensioni con la professoressa di storia, l’Istituto Tecnico Agrario, risultato subito incompatibile con la sua persona a causa di una fastidiosa allergia al sudore di gallina e l’Istituto Tecnico Alberghiero, terminato con successo. Tenacia e dedizione allo studio hanno aiutato il Colonnello a farsi strada nell’ambiente militare, insieme a una trascurabile parentela con un duca conte decaduto, figlio illegittimo di un prozio, amico intimo di Garibaldi. L’intento del Pannacci era quello di fornire uno zibaldone del suo pensiero, delle esperienze militari ma anche umane, e del suo mondo interiore, ricco di profondi pensieri nonché interrogativi sull’uomo moderno con tutte le sue straordinarie contraddizioni.

Decise di dedicare il primo capitolo del suo libro a un argomento di estremo interesse, strettamente legato al proprio lavoro, dunque materia che maneggiava molto bene. Lo intitolò sobriamente “Chi compie una truffa è un ricchione”. Nacquero subito delle polemiche social su questo particolare uso della metafora che naturalmente non è alla portata di tutti e facilmente può indurre l’uomo della strada a fraintendimenti. Ciò dispiacque moltissimo al Colonnello, convinto di aver semplificato il proprio linguaggio al punto tale da farsi capire da chiunque, come Gesù che riusciva addirittura a farsi comprendere da un gruppo di bifolchi illetterati senza titolo di studio. Certo, i concetti che volle esprimere erano importanti e non fu facile creare una versione che persino un giovane di sinistra con la borsa di pelle a tracolla e i sandali alla tedesca potesse capire, arroccato in una ZTL con il suo Rolex. Quella poi è gente dura di comprendonio, non avvezza alla disciplina e al lavoro, sempre in giro col telefonino in una mano e la vernice per imbrattare monumenti nell’altra. Il Colonnello sopportò le dure critiche social con stoica pazienza e con l’aiuto di pochi, coraggiosi ed elevati ministri, che per puro amore nei confronti della libertà di espressione e con le dovute distanze da certi termini usati nel libro (“truffa” ad esempio), si mostrarono solidali con lo scrittore, il nuovo Hemingway della Destra Moderata Catto-Reazionaria. Pannacci dimostrò con una logica schiacciante che gli omosessuali non sono normali e solo in un mondo al contrario si possono considerare giusti gli invertiti, i quali appunto sono al dritto solo se li guardi a rovescio, a testa in giù con il capo tra le gambe. A dimostrazione di tale impeccabile tesi, nell’opera si fanno presenti una serie di reati contro il patrimonio compiuti proprio da individui appartenenti alla razza, o famiglia, dei “contra hominid”, sottospecie appartenente alla famiglia degli esseri umani. Quindi, come è facile comprendere, se questi nostri lontani parenti, i gay, hanno il “gene della ruberia”, è molto facile e intuitiva la naturale conclusione che i sottosopra siano diversi dai normali, altrimenti sarebbero dritti, ovvio. Cosa si dice in fondo in questo capitolo se non delle ovvietà universalmente condivise? Cos’è una rosa se la chiamiamo gelsomino, cambia forse la fragranza del suo profumo?

«Pannacci ha scritto cose forti ma sessanta milioni di italiani la pensano come lui», commentava in ogni intervista o dichiarazione pubblica il segretario del Partito per l’Autonomia di Milano Capitale (AMC). Spacciati era un orsone con un facciotto pieno, occhi piccolissimi che si perdevano sotto sopracciglia folte, una fronte breve e timidissima sotto setole grigie al posto dei capelli. Il più grande difensore di Pannacci e delle sue idee, nonché alleato del primo partito al Governo “Italia Desta”, aspirante presidente del consiglio, Spacciati fu trombato in almeno due legislature. Era una di quelle persone che arriva seconda da una vita e più combatte per riscattarsi, più diventa goffamente cattiva, come i personaggi dei cartoni giapponesi che finiscono in mutande alla fine di ogni episodio. Sperava stavolta di poter dare una spallata al leader di Italia Desta, Gianbruno Peperoni, appoggiando il libro di Pannacci, pieno di quel buon senso che un partito di maggioranza inevitabilmente perde quando si trova a governare. Ciò accade per paura di esagerare, di compromettere i rapporti con gli altri leader europei pieni di vizi, idolatri di fantocci pagani portati in ostensione durante le vergognose processioni del gay pride e ideatori del temibile “pensiero unico” (che è sempre quello degli altri).

Sessanta milioni di italiani. Pure mia nipote che ha due anni e mezzo, persino il feto nel grembo materno frutto di naturalissima copula con marito sposato in chiesa, sessione fotografica e banchetto da trenta mila euro, addirittura lo spirito del nonno defunto ma ancora non tumulato, e se serve pure il richiedente asilo iraniano che è un po’ scuro ma potrebbe passare per un napoletano abbronzato: tutti gli italiani che potete immaginare la pensavano esattamente come Pannacci e questa era la linea che Spacciati avrebbe portato avanti per difendere il libro del Colonnello. In effetti i social erano pieni di account che sosteneva le tesi elaborate nel libro “Il Libello Fallico”, soprattutto da quando quelli più importanti erano stati comprati in blocco da un imprenditore balneare, arricchito acquistando legalmente ogni centimetro di arenile italiano, privatizzato al fine di impedire alla lobby cinese di subentrare nell’affare delle concessioni: una sorta di titolo nobiliare spettante per diritto di nascita a poche famiglie di sangue italico puro.

Il magnate Casavecchia aveva comprato Facebook e Twitter cambiandone le condizioni di utilizzo e permettendone di fatto l’uso solo a chi avesse comprato la spunta verde di identificazione, quella che sancisce l’autorevolezza dell’account e permette una visibilità schiacciante rispetto a chi non paga e viene quindi relegato all’irrilevanza. I primi a comprare la spunta furono le grandi organizzazioni del benessere, ovvero i siti che ti spiegano la verità sui vaccini al polonio, poi arrivarono i giornalisti che svelavano che un dittatore è solo una vittima di maldicenze e di una cattiva nomea, e poi i politici che spiegavano che il migrante lasciava il proprio paese in guerra portando con sé telefonini di ultima generazione, per fare il turista fighetto su tiktok. Seguirono tutti i difensori della libertà di espressione e gli eroi della resistenza contro i censori di Sinistra, i quali, invece di bruciare i libri non aderenti al pensiero unico, metodo consono e collaudato, si permettevano di leggerli e di puntualizzare ogni trascurabile errore grammaticale, usando commenti impropriamente canzonatori.

Davanti all’evidenza scientifica che tutti gli italiani la pensavano come Pannacci, ogni commento di critica sui concetti espressi nel pregiato libro era inopportuno, eversivo, terroristico persino. La violenza espressa dai giornalisti dissidenti che leggevano l’opera e ne sottolineavano gli strafalcioni esprimeva un intollerabile tentativo di censura, inammissibile in una nazione governata da una coalizione di destra, garanzia di libertà, non a caso rappresentata da una sempiterna fiamma, simbolo di ardore per la cultura e la libertà di espressione.

Gli indomiti ministri della maggioranza non si fecero fermare neanche dalla mancanza di spazio concessa loro dalla tv di stato, sempre più intasata di programmi di intrattenimento condotti da amici del PdC e ID, scelti attraverso casting severissimi, a scapito dei tg, ridotti e concentrati, con poco tempo dedicato alle interviste senza domande. C’era bisogno di fare spazio a vecchi tromboni, rigenerati come cellulari, da gratificare con talk e gameshow dopo aver dichiarato che il fantastico presidente Peperoni è il migliore, preferito persino da chi era stato fervente testimonial della Sinistra per tutta la vita (lavorativa precedente).

Il colonnello Pannacci aveva certamente scelto argomenti e tesi eccessivamente importanti e non alla portata di tutti. Nonostante il fatto che i concetti espressi fossero universalmente condivisi e accettabili, gli si opponeva una critica così feroce e intimidatoria da indurlo a considerare seriamente l’offerta di una candidatura in diversi movimenti politici, persino nel partito di Spacciati. Ogni giorno la sua voce libera tentava faticosamente di farsi strada attraverso i quotidiani di ogni schieramento politico, Vanity Affair e anche Cavalli e Segugi, i quali lo intervistavano per indurlo a cadere in fallo sulle varie tematiche così ben espresse e approfondite nel suo libro. Era terribilmente stancante organizzare la propria agenda, cercando di non perdere una sola ospitata tv: concorrente di gameshow , esperto di makeup nei programmi factual, opinionista del Grande Bordello, presentatore per una sera dei Filmissimi di Canale4, tutto ciò per cercare di contrastare una censura opprimente. Lo si vedeva, sentiva e leggeva ovunque “perché censurato”, come non mancava mai di ricordare, e dunque, nella necessità di spiegare bene i concetti fraintesi, decontestualizzati e erroneamente riportati.

Quando poi i media si concentrarono sul capitolo riguardante i reati di genere, la situazione divenne ancora più tesa e le vendite del libro del Colonnello ebbero un’impennata nelle vendite, a testimonianza del fatto che il best seller stesse pian piano sostituendo la Bibbia sui comodini dei bravi cristiani italiani. Il libro fu originariamente autoprodotto perché tutte le case editrici alle quali era stato inviato il manoscritto, avevano mostrato una cecità gravissima nei confronti dell’opera, giudicata soltanto per i numerosi errori grammaticali, la consecutio sbagliata e la sintassi traballante, senza considerare l’importanza dei concetti espressi. Avrebbero potuto trattare il libro come una caccia al tesoro, dove il tesoro era appunto il senso di una frase.

Spesso gli editori sono miopi e capiscono quanto valga un autore solo quando comincia a vendere autonomamente su Amazon. Questo è successo al Colonnello, che in poche settimane riuscì a vendere talmente tante copie da suscitare l’interesse di Ventennio Editore, nota casa editrice liberal progressista, che dichiarò alla stampa di aver accettato l’opera perché “scritta in un italiano creativo e divertente”, con un uso spregiudicato di lettere H, appositamente piazzate in ordine sparso per dare quel senso di comunione col lettore di riferimento, quello che abitualmente non legge libri e se ne fa un vanto. Effettivamente “Il Libello Fallico” ebbe il pregio di movimentare il mercato dell’editoria raggiungendo un pubblico impossibile, quello dei non-lettori. L’unico precedente fu quello del best seller “Tutti i motivi per i quali provare rispetto per il ministro Spacciati”: 265 pagine vuote, totalmente bianche, che gli acquirenti trovarono normali, in quanto non avvezzi a sfogliare libri e refrattari a ogni sessione di lettura non-social superiore ai due minuti. Ci vollero tre settimane prima che qualcuno, per un puro caso, si accorgesse dello scherzo. Si narra che durante una serata davanti alla playstation, un orgoglioso acquirente che utilizzava il libro come vassoio per appoggiare lo sprizzino, tirò una gomitata inconsulta, aprì accidentalmente il volume e guardando le pagine bianche fu investito dal dubbio. Il misterioso acquirente ebbe bisogno di settimane per documentarsi sull’effettivo utilizzo dei supporti cartacei e di come si presentino normalmente. Scritti ad esempio.

Il libro dell’ottimo Pannacci partiva già da una situazione privilegiata, i concetti più importanti erano noti al pubblico dei non-leggenti per merito dei dibattiti social e in tv: potremmo dire che chi lo comprava “arrivava già letto”, anche se la casa editrice Il Ventennio fece un’impercettibile opera di editing prima di pubblicarlo, una epurazione di bestemmie (che pure regalavano un ritmo interessante all’opera), sistemazione delle concordanze, correzione delle doppie in esubero o mancanti e infine un taglio delle dichiarazioni che avrebbero potuto procurare fastidiose denunce o faziose querele da parte di sti cazzo de froci, ste rompicoglioni de femministe, sti quattro oltranzisti dei diritti de ‘na manciata de poracci con le pezze al culo. Da 378 pagine si dovette ridurre il libro a 120. Una mattanza. Il prezzo da pagare per sopravvivere al pensiero unico, alle toghe rosse, Fedez e Maria De Filippi.

Inizialmente fu difficile far capire agli italiani che il capitolo dedicato agli stupri e alle riflessioni sulle cause sociali e psicologiche alla base di tali comportamenti, era un prezioso dispensario di valutazioni ponderate, considerazioni etiche di spessore, derivanti da un importante periodo di riflessione e studio. Molte donne, evidentemente fuorviate dal pensiero unico, secondo il quale alla base di un rapporto sessuale debba esserci il consenso di tutti i partecipanti, si sentirono addirittura un po’ offese dal capitolo intitolato “Fattucchiere ubriache”. Il Colonnello spiegava ciò che tutti pensano e nessuno ha il coraggio di dire per paura di essere etichettato in maniera negativa. Era assolutamente impossibile trovare in rete o nei bar qualcuno che esprimesse tali concetti: la donna, o anche detta femmina, è incline ad adoperare le sue arti seduttorie per ottenere piacere e ricchezza economica. Si parte con una rosa, poi cena, cinemino, balera e un uomo si ritrova nella condizione di aver speso i propri denari, dopo essere stato indotto a pensare che la donna, o anche detta femmina, abbia intenzione di aprirgli il proprio fiore segreto. Tutto ciò, avverte Pannacci, potrebbe non concretizzarsi perché la donna, o anche detta femmina, è una fattucchiera, sangue del sangue di Salem, ereditiera di arti magiche usate per ingannare l’uomo, al quale si suggerisce saggiamente di consumare il rapporto sessuale con la sua favorita prima del cinemino. Rimpiangiamo amaramente la civiltà degli anni in cui la caccia alle streghe era legale e perfettamente produttiva, adesso invece il mondo è proprio al contrario, addirittura si legifera per condannare la vittima (lui) e non l’aggressore (essa).

Attenzione inoltre all’uso dell’alcol che la donna, o anche detta femmina, utilizza come elisir di potenziamento delle proprie doti seduttorie: se ne ingurgita in quantità sufficiente, ella potrà sprigionare un maggior quantitativo di “ormoni esca” atti a far perdere i sensi all’uomo riluttante, oggetto dei suoi malvagi piani. Egli verrebbe indotto da una sostanza secreta dalla donna, o anche detta femmina, a consumare con lei un rapporto violento, durante quale è l’uomo, suo malgrado, a dover essere brusco contro la sua propria medesima volontà. Essa ha voluto quel tipo di rapporto, lo ha progettato e messo in atto proprio per poter essere oggetto di gratificante e piacevole violenza, a seguito della quale, a causa di leggi retrograde e oscurantiste (che andrebbero cambiate con urgenza), la donna, o anche detta femmina, ha addirittura facoltà di denunziare la sua vittima, che è l’uomo. Sebbene poi un bravo avvocato riesca a ripulire la vittima, il pover’uomo, portandolo in tribunale con un nuovo taglio di capelli e un ottimo completo di Armandi, oltre a una lettera di scuse appiccicose alla vittima e una faccia dipinta di contrizione, questo rischia comunque di essere accusato di aggressione sessuale. Capite? È la legge che andrebbe cambiata. Sarebbe necessario inoltre togliere alle donne, o anche dette femmine, la possibilità di accedere all’arma dell’alcol: “mi ha fatto bere, chissà cosa mi ha sciolto nel bicchiere, dopo aver bevuto ho perso i sensi” (dichiarazioni vere). Per le menti semplici, quelle che hanno sete di sapere ma ancora poca dimestichezza con i libri impegnativi, Pannacci banalizzò il concetto con una chiusa sintetica quanto efficace: l’alcol deve essere vietato alle donne. Quando un collaboratore, addetto alla lettura di libri e quotidiani e al relativo riassunto di essi, comunicò a Spacciati questa sobria conclusione, il Ministro ebbe un commosso orgasmo al grido di “eureka!”.

 

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