La Ciociaria è un posto estremo; ospitale, segreto, crudamente punk. Ci nascono alcuni esseri mitologici. E questi miti, quasi fosse una tragedia, pare sia condannata a beccarli tutti io. E da qualcuno di loro le ho pure beccate. (Ho una foto nella libreria del cellulare che non mostro mai a nessuno, la tengo per monito: il viso tumefatto, gli occhi gonfi sparsi a casaccio.) Così, quando mi ha detto che è di Sora, un brivido mi ha attraversato i popliti.
Bello era bello. Non la vostra bellezza, era bello d’un fascino nativo, primigenio. Capelli corvini corti, impenetrabili, dilatatori di legno ai lobi, occhi scuri di taglio orientale, denti storti da zucca di Halloween, trasandato. Un tatuaggio maori che gli spuntava dal collo della maglietta, lambiva l’orecchio sinistro e si perdeva dentro all’irto cuoio capelluto. Figo come pochi; sempre per me, sia chiaro, che li cerco e trovo fatti con lo stampino.
E guarda caso, di queste stampe, se ne producono di uniche proprio in Ciociaria. È venuto al bancone per ordinare da bere; di tanto spazio libero si è messo appositamente al mio fianco. Si è voltato subito a guardarmi e ha detto: ciao. I suoi denti sbeccati è come se m’avessero morso il labbro, ho sentito in bocca il sapore del sangue. Abbiamo attaccato a parlare. Poi, di colpo, ha detto il suo nome; un nome malvagio per me, rituale: Mirko. Ho sorriso/Volevo urlare. Non ci siamo detti nulla di nulla. Illusioni, lustrini, nei, cotillon. Cercavamo feeling nelle virgole, nelle pause. A un tratto ha affermato: non ti avevo mai vista, sei molto, molto strana; tu attrai.
Era promettente. Molto. Volevo già scoprire la fine e l’inizio del tatuaggio. Rasargli i capelli la domenica mattina. Era lo stampino mitologico ciociaro. E come un bicchiere vuoto sul bancone, un colpo di spugna, sparisce. Lontano nel nulla il sorriso sbeccato. Via; non so come. Attendo. Ordino un’altra birra.
Lo scorgo dieci minuti dopo alla porta d’ingresso, figo, trionfale, sfacciato, il mio mito ciociaro. È mano nella mano con una tizia dai capelli verde smeraldo. Mi sono passati accanto, mi hanno superata. Mirko ha sorriso, sghembo, nell’ultimo momento possibile per la mia coda dell’occhio. Una fitta, ancora, al labbro inferiore. Lei, smeraldo, sembrava proprio incazzata.