Ognuno è talmente certo del proprio essere reale, che la
propria esperienza sensoriale abbia costituito un individuo unico,
dotato di scopo, di significato. Sono cosi sicuri di essere qualcosa
di più di una marionetta biologica. Beh, poi esce la verità e tutti si
rendono conto che una volta tagliati i fili, tutti cadono.
Era così alto l'hype per la prima stagione di True Detective, così coinvolgenti le riflessioni sui soliloqui esistenzialisti di Rust Cohle, che a un certo punto ci è venuto il dubbio che la serie ci piacesse così tanto perché eravamo noi a essere cupi e pessimisti, e sullo schermo trovavamo una conferma ai nostri pensieri più negativi. In effetti fin dall'inizio il protagonista si presenta come un antieroe nichilista dalle tinte fosche e disilluse, il suo sguardo spietato e la sua voce roca incedono imbevuti di un pessimismo metafisico estremo, radicato in una visione tragica e disincantata dell'esistenza. Non sorprende che il personaggio di Matthew McConaughey sia stato spesso associato all'eredità filosofica di pensatori come Schopenhauer, Nietzsche e dei predecessori dell'Esistenzialismo.
La prima stagione della serie si rivela infatti un'opera stratificata di rimandi al pensiero di vari autori accomunati da una medesima weltanschauung negativa, antiprometeica e alienata. Se Hart come detto rappresenta l'umanità ordinaria ancorata a fedi e certezze borghesi, Cohle è il nichilista totale che guarda al circolo vizioso cosmico dell'esistenza con disgusto e affamata lucidità. La sua è una mente corrosiva che dissolve ogni residuo di antropocentrismo per abbracciare una prospettiva impersonale, inumana, anti-naturalistica.
Diversi sono i richiami espliciti a Nietzsche e alla sua demistificazione dei valori morali tradizionali. L'amara disillusione di Cohle di fronte al mondo richiama da vicino il concetto di nichilismo attivo, una condizione che spinge l'uomo a porsi radicali domande sul valore dell'esistenza, ora che manca la meta e non c'è più alcuna risposta soddisfacente.
In un monologo cardine, Cohle viene ritratto quasi come un'incarnazione del pensiero di Nietzsche. Dopo aver toccato il fondo nella follia, il protagonista comprende la verità abissale che la vita è solo un temporaneo e inutile intermezzo di sofferenza nell'indifferente eternità del nulla.
Il tormento è una componente fondamentale del nichilismo del personaggio, che è presentato come l'essere disincantato che ha oltrepassato l'idolatria dei valori tradizionali per confrontarsi con la verità disadorna della realtà, il nulla.
Altro aspetto in conformità col pensiero nicciano è la continua messa in discussione della civiltà e del falso progresso umano, espliciti sono i riferimenti alla natura ferina e bestiale dell'essere umano.
Eppure la filosofia di Cohle trascende anche le coordinate storiche e culturali di Nietzsche. Il suo nichilismo radicalizzato giunge a conclusioni ancor più estreme rispetto a quello di matrice ottocentesca. C'è in lui una profonda affinità con certe derive del pessimismo cosmico e delle correnti irrazionalistiche e anti-umaniste che avrebbero influenzato l'esistenzialismo ateo novecentesco.
Il riferimento più prossimo sembra essere l'esistenzialista Lev Šestov, che mette radicalmente in discussione l'idolatria della ragione e della coerenza logica in favore di una fede nell'assurdo come unica via di salvezza metafisica. Cohle sembra identificarsi con la rivolta scettica e anti-razionalista di pensatori come Šestov, contro ogni forma di sistema filosofico chiuso e coerente. Per lui, come per loro, l'unica autenticità risiede nell'abbracciare l'assurdo, l'irrazionale, l'inspiegabile dell'esistenza invece di edificare illusorie architetture di senso.
Questa sensibilità esistenzialista, unita al pessimismo cosmico, forma tutta la weltanschauung del protagonista. Il suo distacco inumano, la sua consapevolezza dell'inutilità del dolore e della morte, il suo disgusto per le ipocrisie della civiltà sono in linea con l'orrore metafisico di pensatori come Cioran, Mainländer, Zapffe, dove l'esistenza è un puro non-senso, una sciagura contro cui l'unica difesa è accettare con lucida rassegnazione l'assurdo di fondo.
Un'ulteriore sottesa matrice filosofica di Cohle sembra essere quella del pessimismo cosmico di Arthur Schopenhauer, con il suo radicarsi in una visione tragica e dharmico-buddhista dell'esistenza come incessante ciclo di dolore e illusione. Frequenti sono le battute di Rust che paiono richiamarsi all'idea schopenaueriana della volontà di vivere come principio irrazionale, insensato e anzi costitutivamente malvagio dell'esistenza. L'esistenza è solo un perpetuo, inutile patire da cui l'unica redenzione è il raggiungimento del nirvana, l'annullamento di ogni volontà e desiderio.
Alcuni critici hanno anche avanzato parallelismi con certe filosofie prossime al gnosticismo antico e alla sua visione negativa e dualistica dell'universo come un regno delle tenebre, un prodotto di un demiurgo malvagio e ingannatore. Alcune digressioni di Cohle evocano queste cosmogonie in cui l'esistenza è un incubo irredento dal quale occorre fuggire e risvegliarsi.
Anche il richiamo continuo della serie a culti oscuri, presenze demoniache e rituali satanici parrebbe affine a questa metafisica gnostica e neoplatonica della realtà come una prigione delle anime, un inganno ordito da forze occulte. Come se al fondo della natura umana e dell'universo vi fosse un male originario inscindibile, un demiurgo malvagio da cui il protagonista sembra voler prendere radicalmente le distanze con la sua filosofia della disillusione.
A tratti, la critica radicale di Cohle alla civiltà e all'antropocentrismo appare quasi un'istanza anti-umanista estrema, quando sembra vedere gli esseri umani come ingranaggi difettosi di un universo sregolato e fondamentalmente senza scopo, mere apparizioni transitorie destinate a dissolvere nuovamente nel nulla al pari di spugne marine o creature dei fondali abissali.
Un altro aspetto cruciale della weltanschauung nichilista della serie è il suo esplicito anticartesianesimo e la sua radicale critica al dualismo mente/corpo tipico della tradizione razionalista occidentale. Numerose sono le battute del detective che paiono evocare direttamente alcune istanze cardine della filosofia della mente contemporanea, in particolare delle correnti materialiste, funzionaliste ed eliminativiste, come pure la sua insistenza sul ridurre la coscienza a un semplice epifenomeno neuronale.
Allo stesso modo, la sua puntuale demistificazione del concetto di "io" o "sé" come pura illusione fenomenica, richiama le critiche anticartesiane di filosofi come Derek Parfit, Thomas Metzinger o lo stesso Nietzsche. Per Cohle, la nozione tradizionale di un'anima o un sé indipendente dalla materia è un mero residuo di superstizione religiosa.
Questo tipo di riduzionismo neuroscientifico radicale, unito all'anticartesianesimo e al rifiuto del dualismo anima/corpo, appare in linea con l'impianto generale anti-metafisico e disincantato della filosofia di Cohle. Il suo obiettivo sembra essere quello di disincantare e demistificare una volta per tutte il mistero della coscienza, derubricandolo a mero epifenomeno neuronale e proiezione antropocentrica.
Eppure, malgrado questo riduzionismo materialistico, la filosofia di Cohle non è esente da un'ansiosa tensione verso una qualche forma di dimensione trascendente o unificazione mistica con l'universo. Un'istanza che sembra affine a certe derive panenteistiche e orientaleggianti del romanticismo nero e dello spiritualismo naturalistico ottocentesco.
Le frequenti digressioni del detective sull'aver vagato ovunque durante gli stati di semi-coscienza o di sovraccarico sensoriale, paiono richiamare una sorta di esperienza visionaria di fusione cosmica, un'unione mistica e dissolutiva con la complessa trama dell'universo che ricorda le filosofie orientali della vacuità e la perdita dell'individualità nell'assoluto. Una volta abbandonata l'illusione cartesiana dell'identità personale, ciò che si spalanca è la possibilità di uno stato di consapevolezza superiore, un ricongiungimento con la totalità ineffabile della Natura da cui l'uomo civilizzato si è tragicamente separato.
In definitiva, attraverso il personaggio di Rust Cohle, True Detective attinge apertamente a quella ricchissima tradizione di pensiero esistenzialista, tragico e anti-naturalista che dal romanticismo giunge fino alle derive più estreme del pessimismo cosmico-filosofico. Una summa di correnti alienate e disincantate dinanzi all'horror vacui della vita, eppure consapevoli della necessità di guardare in faccia l'assurdo con lucida rassegnazione e persino una sorta di malinconica grandezza.