Giulia solleva in alto il lenzuolo e lo riadagia sul materasso. Anche oggi Stefano non si è rifatto il letto, tocca farlo a lei, nonostante quel mattino gliel’abbia ricordato più di una volta.
Mentre rimbocca le coperte, la sua mente vaga tra pensieri scollegati. Suo figlio che non la sta a sentire, la vasca da bagno che deve pulire meglio, un bisticcio che ha avuto con una collega durante la mattina. Continua a rimuginare finché un odore acre non la riporta alla realtà, provocandole un sussulto. La donna lascia la trapunta di Spider Man e corre in cucina, pur sapendo che non farà in tempo.
Come ha fatto a dimenticare di mettere il timer?
Quando apre il forno, il calore la investe insieme all’odore di bruciato. Bozzi neri sono spuntati sui dolcetti e la marmellata è colata fuori dall’impasto, raggrumandosi in strani crateri. Quella vista l’abbatte. Il cibo bruciato è qualcosa di sbagliato, un segnale di disordine, d’incuria.
Estrae la teglia con una presina, la appoggia sui fornelli. Si trattiene dall'imprecare. Non ce n'è una che sia andata per il verso giusto, oggi. Non è riuscita nemmeno a preparare la merenda per quando Stefano tornerà da scuola!
Lascia in sospeso quel disastro e torna nella cameretta, per terminare ciò che stava facendo. Dalla finestra, che ha lasciato aperta per cambiare l’aria, si vede un piccolo stormo procedere in una pittoresca formazione a V.
Riprende in mano la trapunta, finisce di rifare il letto. Si osserva riflessa nello specchio sopra alla scrivania del figlio. Ha le occhiaie, la faccia tesa. Le serve tempo per sé stessa, cure per il suo aspetto.
Sono le tre. Tra poco Stefano arriverà, il tragitto da scuola a casa dura pochi minuti. Cinque, più o meno, ma anche di più, se si ferma al chioschetto dei gelati. Di certo lo farà: ora che sta per compiere dieci anni, ha sempre fame.
Stamattina, tra una cosa e l’altra – il latte, il caffè, truccarsi per l’ufficio, controllare che Stefano si sia ricordato di mettere i libri nello zaino – non è riuscita nemmeno a rifargli il letto.
Un attimo: stamattina ha messo fuori l’immondizia?
Un’altra cosa che si è dimenticata. Forse è ancora in tempo, a volte il camion dell’indifferenziata passa più tardi. Torna in cucina, si sforza d’ignorare l’odore di bruciato, afferra il bidone, apre la porta e scende in fretta tre rampe di scale.
I bidoni dei condomini sono ancora in strada, il camion non è ancora passato. Bene, almeno una cosa che le è riuscita, oggi!
Piazza il contenitore accanto agli altri e risale le scale. Ricambia il saluto di Sandra, che abita a due porte di distanza dalla sua. A quell’ora sta sul ballatoio a fumare, aspetta sua figlia Cristina, più piccola di Stefano di due anni. Giocavano sempre insieme fino a qualche tempo fa, poi si sono allontanati.
Raggiunge il portone, infila la chiave nella porta, spinge.
E a quel punto, lo vede.
Dietro al vaso dei lupini – un progetto di scienze di cui dovrebbe occuparsi Stefano, ma che ha finito per diventare un’altra cosa a cui deve pensare lei – c’è qualcosa, un piccolo corpo striato. Piega la testa per guardare meglio. È un animaletto grande come il suo avambraccio, sottile, con le zampe corte e il pelo cotonoso. Cos’è? Non un gatto, è troppo piccolo e… piatto. La creatura sta acquattata dietro al vaso, un involucro di pelo che termina in un muso stretto e appuntito, lo sguardo fisso sul portone di casa.
Che ci fa lì? Sarà scappato a qualcuno, pensa Giulia, ma a chi? Che l’anziana del piano di sopra, oltre ai gatti, abbia adottato anche quest’altro animale?
Distratta da quella presenza inaspettata, non si rende conto di aver socchiuso la porta. Se ne accorge solo quando l’animaletto, scattando come se qualcosa l’avesse morso, si solleva sulle zampette e si lancia all’interno.
Giulia resta di stucco per tre secondi prima di ritrovarsi a compiere azioni sgraziate che non le sembrano rispondere alla sua volontà, ma piuttosto a un qualche istinto atavico. Perché il modo in cui si getta all’inseguimento dell’animale, correndo con le braccia in avanti e gridando, le ricorda quello con cui sua nonna, nella vecchia cascina in cui abitava, scacciava i gatti che balzavano sui tavoli per rubare cibo dai piatti.
“Fermo! Fermo! Via di lì!”
L’animale si arrampica frenetico sul divano, vira verso le tende, si avvoltola nel tessuto, sguscia da sotto la stoffa in direzione del terrazzo, poi ci ripensa e torna indietro, si dirige verso la cucina.
Ma che animale è? Il corpo è coperto di pelo rossiccio striato, ed è dotato della capacità di assottigliarsi e penetrare in fessure strettissime.
“Fermati, dio santo, fermati!”
Il piccoletto arriva in cucina.
Come se l’avesse udita, si arresta. Si solleva su due zampe, annusa forte l’aria. Sembra aver sentito l’odore dei dolci, un misto di zucchero e bruciato. Si protende verso il forno, e Giulia si accovaccia, gattona per terra, cerca di occupare più spazio possibile per impedirgli di fuggire.
“Oh, eccoti, finalmente.”
Allunga le mani. Si sorprende quando la bestiola si lascia catturare. Il corpicino pulsa caldissimo, ma allo stesso tempo è talmente leggero da sembrare vuoto. Tra le sue dita non occupa molto spazio. E se la mordesse?
Giulia stringe forte l’animaletto. Ecco, così non può muoversi, non riuscirà a scappare.
Un lampo le attraversa la mente. Un furetto! Ecco cos’è. Li ha visti in un documentario alla televisione.
È piccolo e soffice, ma non le trasmette affatto l’impressione di avere un buon carattere. Non le piace, odora di selvatico, di muschio. E le ricorda davvero troppo un ratto appiattito.
Allenta la presa per accarezzargli la testa. A differenza del corpo, il pelo del muso è bianco. La bestiola distende il collo. Ora sembra più tranquilla. È il momento giusto per rimetterla fuori, prima che arrivi Stefano e la implori di tenerla…
Si rialza, ma quel semplice movimento è sufficiente perché lui torni di nuovo ad agitarsi. Si divincola dalla presa – il pelo è scivoloso come seta –, cade sbattendo un fianco sul pavimento.
“Ahi”, si lamenta.
Giulia resta impietrita. Ha detto ahi?
No, deve averlo solo immaginato. È stanca, ha sentito male.
Agita la mano nella sua direzione.
“Via! Via!”
Il furetto inarca la schiena, mostra i denti. Pare ridere, maligno, di lei. Poi fugge via, lasciandosi dietro una scia di liquido giallognolo.
“Hiiiiii”, strepita, mentre si lancia fuori dalla cucina.
Lei ha la sensazione di guardarsi da fuori, di vedersi con le braccia aperte in un appello disperato, la faccia esterrefatta. Nell’aria si spande un odore pungente. Quel maledetto animale le ha pisciato sul pavimento!
La realizzazione viene accompagnata da uno schianto, qualcosa di fragile che si è appena infranto sul pavimento. Giulia si sporge sul corridoio, in tempo per scorgere il furetto che, sull’altro lato del disimpegno, sfreccia sopra al tavolo di legno massello in soggiorno, trascinandosi dietro il centrino ricamato che lo adorna.
Sulle mattonelle sono sparsi i cocci della lampada di cristallo che ha comprato quando è stata a Praga la scorsa primavera. L’aveva scelta per le finiture delicate, per come nella vetrina del negozio risaltava in mezzo a calici e altri ninnoli, immaginandola nel suo salotto per molti anni. Ora è una cascata di coriandoli luccicanti.
Giulia serra la mano intorno allo stipite della porta, un’onda di acido le si diffonde nello stomaco. Sono passati pochi minuti da quando quella creatura è entrata in casa ed è già riuscita a fare tutti quei disastri! Per un attimo rimane incerta sul da farsi, se pulire prima l’urina o raccogliere i cocci della lampada, poi decide che, prima di qualunque altra cosa, deve liberarsi di quell’intruso.
Avanza come se stesse camminando sopra a una densa chiazza d’olio, nel tentativo di avvicinarsi senza fare rumore. Ecco perché non ha mai voluto animali domestici!
In giro il furetto non si vede, dev’essersi rifugiato sotto a qualche mobile, come minimo un posto irraggiungibile in cui farà di nuovo i suoi bisogni. Con tutti i guai che ha, ci mancava anche quella bestia!
Passando di fianco all’orologio da parete i suoi occhi registrano l’orario, le tre e un quarto. Stefano dev’essersi fermato al chioschetto dei gelati.
Il furetto non è da nessuna parte. Giulia sbuffa, cambia idea e raggiunge lo sgabuzzino, tira fuori la scopa e la paletta per pulire. Inizia a raccogliere i frammenti di vetro, non può lasciare lì quel disordine. Un intarsio di metallo, tre piccole sfere lucide che decoravano la parte stretta della lampada, finisce nella paletta e il viso le si contrae in una smorfia di frustrazione.
Sente un fruscio alle sue spalle, poi un rumore che non riesce a ricondurre a nulla che conosce.
“Hihihihihi.”
Si volta, il furetto è in piedi sul tavolo di massello. La fissa curioso.
È lui che ha fatto quel verso?
Che ha… riso?
Stende il palmo davanti a sé, come a imporgli di non muoversi, ma lui scappa ancora una volta, di nuovo gracchiando quello strano verso.
Giulia lo insegue lungo il corridoio, brandendo la scopa.
Dannato animale, adesso vedi che succede!
Il furetto vira verso sinistra, si infila deciso nella cameretta di Stefano.
Chissà perché suo figlio ancora non si vede? Se arrivasse, potrebbe almeno aiutarla a catturare quella bestiaccia spregevole!
Il furetto si è arrampicato sul letto, ora zampetta sulla coperta di Spider Man, alla ricerca di un posto dove sistemarsi. Di tanto in tanto si gira a fissarla, sollevandosi in piedi, con le zampe anteriori raccolte vicino al petto e le orecchie abbassate.
Con un gesto lento, Giulia chiude la porta di camera. Ora non scappi, pensa.
Lui allunga il collo, i muscoli sotto al muso si muovono. Sembra che stia compiendo uno sforzo.
Giulia si blocca. Che sta facendo il furetto?
“Mmm” mugola l’animale.
Cosa…?
“Mmmm”, si sforza lui, mentre la pelle del collo trema.
È un suono strano, sinistro.
“MMMMM!”
Sono le narici di Giulia, prima ancora degli occhi, a registrare l’accaduto. L’odore acre le suggerisce cos’è appena successo, e infatti, quando abbassa gli occhi sulla trapunta che ha finito di distendere poco prima, vede allargarsi una chiazza scura.
La mano scatta verso l’animale. Lui la evita con un balzo, finisce sul bordo del letto, scivola giù. Quando impatta sul pavimento, emette un grido acuto.
“Ahiiiiiiiiiiiiiii!”
“Ora basta!”
Il corpo di Giulia si muove prima che lo facciano i pensieri. Impugna la scopa con tutte e due le mani, mentre il furetto rimbalza da un punto all’altro della stanza, saltando sui mobili. Ruota la testa verso la porta in cerca di una via di fuga, ma la trova chiusa, allora salta sul comodino, poi sul davanzale della finestra aperta.
“MMMMMM…!”, mugola di nuovo.
La donna solleva la scopa come una scure, le fa compiere un semicerchio in aria.
Non vede l’animale cadere dalla finestra, ma avverte l’aria che le sferza la faccia, l’impatto, il rumore sordo.
L’ha colpito!
Riappoggia la scopa alla parete, con il fiatone e le gambe che tremano. È riuscita a liberarsene!
Ora può tornare in soggiorno e finire di pulire. Alla fine è un bene che Stefano non sia rientrato prima, avrebbe assistito a quella scena.
Ma dov’è suo figlio?
Giulia si gira a guardare l’orologio da parete. Si sorprende di vedere che sono le tre e mezza, Stefano non ha mai tardato così tanto senza avvertirla.
Esce sul ballatoio, forse riesce a scorgerlo in strada.
Sandra non c’è più, dev’essere già rientrata dentro casa. Strano, di solito si trattiene fuori anche dopo che sua figlia Cristina è tornata. Giulia si sporge dal cornicione, intravede il tendone a righe gialle e rosse del chioschetto dei gelati in fondo al viale, ma non riesce a vedere se Stefano è lì. Scende le scale, si avvicina alla strada. La via si estende per un centinaio di metri, da lì dovrebbe riuscire a vedere suo figlio.
Avrà preso due gelati invece che uno solo, poi si sarà fermato a guardare qualcosa, forse una motocicletta o un insetto. O magari si è trattenuto a scuola insieme a qualcuno dei suoi amici e ha semplicemente dimenticato di avvertirla. Ancora qualche passo e lo scorgerà sul marciapiede…
Ma ciò che vede, quando finalmente oltrepassa il cancello del condominio e raggiunge la strada, le spezza il respiro.
La via è trafficata, è l’ora di punta, quella in cui i ragazzi e i genitori rientrano a casa o ripartono per andare a fare compere, o agli allenamenti, o dai nonni.
Giulia vede una donna camminare sul marciapiede. La riconosce perché ogni mattina la vede accompagnare la figlia a scuola, una bimba slanciata che indossa sempre un cappottino rosso. È quello stesso cappotto che adesso la donna tiene in mano, mentre con l’altra stringe al petto un animaletto dal pelo grigio, che si agita per scendere giù. Le lacrime le rigano le guance.
Poco lontano, la portiera di un’utilitaria verde si apre. Ne esce una bambina dalle gambe sottili, infilate in un paio di ballerine nere con un fiocco argentato sulla punta. La bimba ha la testa piccola e piatta. Da sotto la frangia vaporosa spunta un muso appuntito, fulvo, con striature chiare. Sul sedile dell’auto, una donna fissa la bambina con gli occhi sbarrati.
Più avanti, al chioschetto dei gelati, un uomo si volta per consegnare un cono a un bimbo alle sue spalle. Dai pantaloncini gialli del piccolo fuoriesce una protuberanza pelosa, corta e tozza.
All’uomo cade di mano il gelato, nell’altra stringe ancora il portafogli con cui ha appena pagato.
Giulia si sente chiamare. Alza la testa. Sopra di lei, al terzo piano, Sandra è uscita sul ballatoio e la saluta. Sua figlia Cristina la raggiunge fuori, avvolta in un vestitino azzurro che le aderisce al corpo. Un muso da furetto spunta in mezzo alle trecce bionde.
“Cris, fai ciao a Giulia!”
La piccola la saluta agitando una zampa.
Giulia rimane impietrita. Le gira la testa.
Torna a voltarsi verso la via. Strizza gli occhi, resta ferma, incapace di muoversi, le gambe che a malapena la sostengono, finché tutti, genitori e figli, non se ne sono andati, piangendo e lamentandosi.
La strada davanti a lei rimane vuota.