Un generale al Bolshoj
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Un generale al Bolshoj

 

L’esplosione fu talmente forte da provocare un vero e proprio terremoto in tutto il quartiere: pare che Sokolov, fingendo di spegnere una sigaretta, avesse dapprima immerso l’ordigno nella sabbia del grosso posacenere che stava fuori dal Рокси bar, e poi, passandogli sfacciatamente davanti, per nulla di nascosto, con addosso anzi una pelliccia di zibellino messa apposta per attirare l’attenzione, ne avesse attivato il detonatore con il piccolo telecomando che teneva nascosto negli slip.

Mikhail Sergeevich Sokolov, ovviamente, non era sopravvissuto al suo gesto. Si erano trovati pezzi di pelliccia fin sotto al bancone del bar e, dall’altro lato della strada, nelle cassette delle lettere del palazzo di fronte, che in quel momento aveva il portone aperto.

Mosca, tra l’altro, in quei giorni era ancora più affollata del solito. I festeggiamenti per l’anniversario del 9 maggio, giornata della vittoria sulla Germania nella Seconda guerra mondiale, avevano richiamato nella capitale un sacco di persone, e la via Arbat, con la sua impressionante varietà di ristoranti e bar, tra cui il Рокси, pullulava di gente. Lo scoppio aveva così causato dodici morti e cinquantasei feriti, di cui tre gravi, e, tra i morti, si annoveravano il generale Grigoriy Kurylenko e il suo assistente che si trovavano lì a festeggiare con degli amici.

Si capì subito che l’attentato aveva come vero obbiettivo il generale e, proprio per questo, fu inizialmente attribuito ai separatisti ceceni come un ultimo tentativo di resistenza nel conflitto, ormai perso, che li aveva contrapposti alla Russia.

Non c’era nulla di più sbagliato. Come si doveva scoprire in seguito, difatti, quella storia era tutta russa, solo russa, profondamente russa.

Cosa ci può essere in effetti di più russo de Lo schiaccianoci rappresentato al Bolshoj, dove i due protagonisti, entrambi russi, si erano conosciuti? E quale arte può rappresentare più di ogni altra lo spirito russo se non il balletto, intriso com’è di contraddizioni?

Serve senz’altro la pelle dura per fare il ballerino, ma altrettanto serve una buona predisposizione alla melanconia; non può mancare in lui un lato selvaggio, ma allo stesso tempo deve essere profondamente spirituale; quando danza deve essere sincero e leale, ma prima sarà superstizioso e confiderà nella buona sorte. Ecco, quindi, cosa doveva aver visto il generale Grigoriy Kurylenko, ammirando danzare Sokolov dal palco del Bolshoj riservato agli alti papaveri delle forze armate: l’anima russa!

Era giunto lì, il generale, a coronamento di una lunghissima carriera. Solo il suo grado, infatti, gli aveva permesso di accedere alla prima di quello spettacolo per il quale è praticamente impossibile acquistare i biglietti, anche mettendosi in fila con un giorno di anticipo e senza badare a spese.

La sua carriera era cominciata, non ancora maggiorenne, fin dalla guerra in Afghanistan, per partecipare alla quale aveva addirittura falsificato i documenti. Il giovane Grigoriy, originario di un villaggio siberiano, si era fatto molto valere durante il conflitto, ben più di tanti commilitoni che erano persino più vecchi di suo padre. Era stato ferito più volte e, per questo, decorato. Oltremodo pericolosa era stata una ferita alla testa che si era procurato durante la battaglia del passo di Maravar: conficcato sotto l’orecchio sinistro aveva ancora il frammento di una granata. Era impossibile rimuoverlo per il rischio di ledere il nervo acustico: lo portava con sé come un trofeo.

Poi, nel ‘92, c’era stato il Tagikistan, dove la Russia era intervenuta per sostenere il governo filorusso contro i ribelli islamisti e le fazioni dell'opposizione, successivamente c’era stato il primo conflitto in Cecenia, dal ’94 al ’96, e infine l’impegno sempre in Cecenia per la seconda guerra, in quel momento ancora in corso.

E dunque eccolo lì, da poco promosso ai gradi di generale proprio in quest’ultimo conflitto, tronfio e sicuro di sé, seduto in un palco riservato del Bolshoj. Accedere a quel palco era una vera consacrazione e valeva ben più di una medaglia. Un brivido di orgoglio lo coglieva solo a pensare a quante battaglie aveva dovuto combattere per arrivare a sedersi su quella comoda poltrona, a quante volte aveva rischiato la vita.

Spentesi le luci e iniziato lo spettacolo, toltosi l’ingombrante cappello dai fregi dorati e abbandonati gli austeri panni del militare, si era allora lasciato finalmente andare alle emozioni, anche se di nascosto, e, rimasto da solo con la sua intimità, ecco che si consegnava senza saperlo a quel destino che in tutti quegli anni aveva cercato così accuratamente di schivare.

Ma il destino, si sa, è paziente, e te lo puoi ritrovare ad aspettarti proprio sulla strada che avevi scelto apposta per evitarlo.

Per nulla abituato a quel genere di rappresentazione, a cui anzi assisteva per la prima volta, il generale, sprovveduto e inerme al cospetto di quella musica liquefatta, catapultato in una dimensione onirica e stordito dall’enorme quantità dei meravigliosi costumi, cominciò di colpo a chiedersi cosa mai ci facessero in scena dei soldati mischiati con fiori, giocattoli, topi, fiocchi di neve, addirittura fate: cos’era insomma quell’atmosfera di fiaba? E come era possibile che i ballerini, quegli esseri così puri, asessuati, e dai gesti così artefatti, riuscissero a fondere il funambolico virtuosismo con la grazia struggente? la musicalità esplosiva e l’assoluta assenza di volgarità? Tutto, in quello spettacolo, pareva fatto apposta per disorientarlo.

Stranito, quindi, e intimorito al tempo stesso, colto di sorpresa e perciò completamente spiazzato, cercava comunque in qualche modo di ricomporsi, quando, sbucato dal nulla con un incredibile balzo irruppe in scena Sokolov, étoile del Bolshoj e ballerino di fama mondiale. Poter descrivere cosa provò il generale in quel momento risulta impossibile: cosa non fu per lui osservare i poderosi quadricipiti del danzatore, che guizzando deformavano la sottile calzamaglia! La sua imperiosa spaccata, sospeso in aria a sovrastare le palpitanti ballerine!... Quello sì che era volare, altro che i missili balistici! Così si volteggiava, altro che gli elicotteri da combattimento!... Adesso finalmente lo capiva: lui, il generale Grigoriy Kurylenko, c’entrava con la carriera militare come i muscoli di Sokolov c’entravano con la sua calzamaglia: assolutamente nulla!

Rivide un compagno con cui giocava da ragazzo nel suo villaggio di origine, in Siberia; lo rivide saltare un fosso in calzoncini corti mentre correvano liberi nelle campagne; rivide i suoi muscoli contrarsi e lui librarsi in volo, e realizzò che era stato per sfuggire a quel momento che aveva scelto di arruolarsi nell’esercito.

Dopo una notte insonne, il giorno dopo si presentò, in alta uniforme e in ginocchio, al camerino del famoso danzatore.

Sulle prime, non fu per nulla accolto come sperava.

Nevrile e sensibile come un purosangue arabo, étoile di prima grandezza e divo assoluto, Sokolov, scandalizzato dalla volgarità di quella divisa, in un primo momento lo disprezzò: come osava quell’orripilante individuo presentarsi alla sua porta? Come poteva aver avuto l’impudenza di pensare che sarebbe stato ricevuto?… Se ne fregava lui dell’esercito russo, se ne fregava anzi di tutti gli eserciti del mondo!… La sua arte superava ogni cosa e non temeva nulla! E lui non voleva essere disturbato!…

Poi lo guardò meglio e capì che l’atteggiamento del generale non assomigliava per nulla alla tipica boria di un ufficiale dell’esercito russo: quello era solo un uomo in divisa che, pallido e tremante, evidentemente allo scoperto e quindi vulnerabile come forse non era mai stato in vita sua, vinto finalmente, anche se non in battaglia, veniva a consegnarsi anima e corpo nelle mani di un perfetto sconosciuto.

Per Sokolov, istrionico fino alla megalomania, fu come sentirsi lo zar e vedere l’intera Armata Rossa che si prostrava umilmente ai suoi piedi: non seppe resistere e acconsentì al colloquio.

Ne nacque una casta ma tormentata amicizia. Se infatti il generale non poteva in alcun modo compromettersi, dall’altro lato vi era un estremista del sentimento che concepiva i rapporti umani solo in modo totalizzante. D’altro canto, se la nuova consapevolezza del generale non gli impediva affatto di continuare a far bombardare villaggi, anche solo per abitudine, per l’artista l’idea stessa della guerra era assurda è assolutamente inaccettabile. Tutto ciò li faceva litigare furiosamente, per poi subito riappacificarsi, con entrambi disposti a fare delle vere follie solo per vedersi di nuovo. Si scontravano spesso e violentemente, eppure si incontravano ogni volta che potevano, e questo nonostante il generale fosse impegnato in una guerra e il ballerino in una tournée nei più importanti teatri d’Europa. Era una relazione molto profonda, turbolenta e appassionata, eppure non si sfioravano mai nemmeno con un dito. Il generale si schermiva ricordando all’artista che in Russia, e in particolar modo nel suo ambiente, certi comportamenti sono considerati “criminali”, e nella sua posizione doveva tenere assolutamente nascosto il suo orientamento sessuale. Ciononostante, per l’eccentrico ballerino, dei due il vero prepotente, anche se solo per le questioni di cuore, la cosa era praticamente impossibile da mandar giù. Il suo ambiente non era quello del generale: questo lo capiva benissimo. Ma un conto è capire, un altro è farsene una ragione; cosa che non gli riusciva affatto, anche perché percepiva che forse c’era dell’altro. Non riusciva ad afferrare di che si trattasse, ma sentiva che c’era qualcosa che il generale non gli voleva dire, o che magari non riusciva a confessare nemmeno a sé stesso. Lo vedeva tentennare, eppure non cedeva. Sembrava a volte sul punto di lasciarsi andare, ma poi sul più bello fuggiva. Quando gli venivano richieste spiegazioni era come se non trovasse le parole. E allora tornava ad accampare le solite scuse. Ed ecco che le liti ricominciavano.

Che ne fosse consapevole o meno, la verità era che il generale lo aveva talmente idealizzato da risultarne bloccato. Per lui, avere un rapporto fisico con Sokolov sarebbe stato come entrare all’Ermitage con i suoi carri armati: una profanazione di cui nessun russo si macchierebbe mai, nemmeno il più folle dei dittatori.

Tuttavia, anche il generale era fatto di carne. Così, quando la guerra in Cecenia finì e rientrò a Mosca per festeggiare il 9 maggio, saltò fuori che per tutto quel tempo aveva avuto un compagno, spacciato per assistente personale, con cui andava tranquillamente a letto.

La beffa delle beffe per Sokolov fu poi scoprire che, anche se nessuno ne parlava, tutti sapevano. Tutti all’infuori di lui, ovviamente.

L’artista andò su tutte le furie: come poteva un insignificante soldatino aver ottenuto così facilmente ciò che a lui, Mikhail Sergeevich Sokolov, étoile del Bolshoj e vertice assoluto della danza, era sempre stato negato? A questo, dunque, erano valse tutte le sue rinunce a insistere, la sua abnegazione, il suo stoicismo?

Al solo pensiero si sentiva impazzire: non lo poteva accettare, e non lo accettò.

Venne a sapere che il generale si trovava al Рокси bar, guarda caso con il suo “assistente”, e non ci pensò due volte. Procuratosi non si sa come l’ordigno, si presentò davanti al locale praticamente nudo, con indosso solo la pelliccia di zibellino che proprio il generale gli aveva regalato. Fece in modo che quello lo vedesse. Si gustò fino in fondo i suoi occhi sgranati, la sua patetica espressione di imbarazzo e di terrore, e poi... BUM!

 

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