Nuovi filantropi
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Nuovi filantropi

 

Quando l'uomo entrò nella banca, era già vuota. L'orologio sulla parete segnava le 19:17, i cassieri avevano abbassato le saracinesche da tempo. Rimaneva solo il direttore, chiuso nel suo ufficio a controllare i registri della giornata. Era una routine che ripeteva da oltre dieci anni, sempre alla stessa ora, sempre da solo.

L'uomo lo sapeva. Aveva osservato l'ambiente per settimane, seduto al tavolino del bar dall'altro lato della piazza, fingendo di lavorare al portatile mentre memorizzava ogni dettaglio: a che ora uscivano tutti gli altri, quanto tempo impiegava il direttore a controllare gli ultimi documenti, quando si alzava per prendere un caffè alla macchinetta, a che ora finalmente usciva a sua volta.

«Buonasera», disse entrando nell'ufficio senza bussare.

Il direttore alzò lo sguardo, sorpreso ma non spaventato. Era un uomo sulla sessantina, capelli grigi pettinati all'indietro, occhiali dalla montatura sottile. «Mi dispiace, la banca è chiusa. Come ha fatto a entrare?».

L'uomo si tolse la giacca. Non indossava un passamontagna, né aveva un'arma. Si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania. «Lei è il direttore, il dottor Necci, giusto?».

Il direttore annuì, mentre un'ombra di preoccupazione gli attraversava il volto.

«Trentadue anni fa lavorava in una filiale di provincia, dico bene? Un impiegato, all'epoca. Una mattina di dicembre, si presentò un rapinatore con una pistola».

Il direttore impallidì. «Non capisco di cosa sta parlando».

«Quell'uomo, forse lo sa, aveva un figlio malato. Gli servivano soldi per un'operazione, all'estero. Ma lei premette l'allarme sotto il bancone, e lui fu arrestato sulla porta».

«Fa parte del mio lavoro dare l'allarme in situazioni del genere. Comunque chi è lei?».

L'uomo guardò fuori dalla finestra. La piazza si stava svuotando, i negozi abbassavano le serrande, intanto che le luci dei lampioni si accendevano una dopo l'altra.

«Quel bambino sopravvisse. Qualcun altro pagò l'operazione. Non suo padre, che fu condannato a otto anni in carcere, ma un anonimo benefattore. Non si è mai saputo chi fosse».

Il direttore si tolse gli occhiali, li pulì con un fazzoletto di stoffa. Le sue mani tremavano leggermente. «Come le ho detto, fa parte del mio lavoro. Premere il pulsante dell'allarme».

«Lo so», rispose l'altro. «Come ora so che è mio compito prendere quei soldi». Indicò la cassaforte alle spalle del direttore. «È aperta, vero? Se non mi sbaglio la chiude sempre alle 19:30, prima di andare via».

Il direttore non rispose. Sembrava stesse cercando di ricordare qualcosa, come se il volto di quella persona gli fosse familiare.

«Se se lo sta chiedendo, sì, ero io quel bambino», disse l'uomo. «Mio padre morì in carcere. Un infarto. O almeno così mi hanno raccontato».

Il direttore si alzò lentamente, come se le ginocchia gli facessero male. Andò alla finestra. La piazza era quasi deserta ora, e un cane randagio vagava annusando i cestini.

«Mi dispiace per suo padre», disse. «Si vedeva che era disperato, ma aveva una pistola. E io non avevo scelta».

«Tutti abbiamo una scelta».

L'uomo si alzò, avvicinandosi alla cassaforte. Era aperta, come aveva previsto. All'interno, mazzette di banconote ordinate per taglio. Non molte, ma abbastanza.

«Prenda i soldi e vada», disse il direttore, senza voltarsi. «Non premerò nessun allarme questa volta».

L'uomo mise i soldi in uno zaino. Non erano per lui, ma questo non lo disse. C'era un altro bambino ora, un'altra cura costosa, un altro padre disperato che stava contemplando di fare qualcosa di stupido. Un collega dell'officina dove lavorava come meccanico. Gli aveva confidato il suo piano un mese prima, ubriaco e in lacrime.

«Sa cosa mi ha tormentato per anni?», disse il direttore, sempre guardando fuori dalla finestra. «Non è stato far arrestare suo padre. È stato non aver fatto nulla dopo. Non aver chiesto come stava il bambino, se aveva bisogno di aiuto. Ho semplicemente dimenticato. Come se fosse stato solo un incidente di percorso, un aneddoto da raccontare a cena».

Francesco si fermò, lo zaino già sulla spalla. «Non fu lei a pagare l'operazione?».

Il direttore si voltò. I suoi occhi parevano lucidi. «No. Non ne avrei avuto comunque i mezzi, ma in qualche modo avrei potuto contribuire. In ogni caso non ho fatto niente».

L'uomo annuì. Sentì una fitta di delusione, ma non sorpresa. Si era immaginavo varie volte quella possibile trama, ma sapeva anche che le persone raramente sono all'altezza delle nostre fantasie.

«Vado», disse.

«La riconoscerò», disse il direttore. «Quando guarderò i filmati delle telecamere. Dovrò denunciarla».

L'uomo sorrise. «Sono entrato senza troppa fatica nella sua banca, spero avrà capito che non sono uno stupido. E ovviamente appena dentro ho staccato le telecamere. In ogni caso lei sarà troppo imbarazzato per ammettere che si è fatto rapinare da un uomo disarmato».

Si avvicinò alla porta, poi si fermò. Tornò indietro, prese un foglio dalla scrivania, scrisse qualcosa. Lo porse al direttore.

«Questo è il nome del bambino. Ha sei anni. I soldi basteranno per il primo ciclo di cure, non per guarirlo. Se vuole rimediare a trentadue anni fa, sa cosa fare».

Uscì senza guardarsi indietro. La notte era fredda, l'aria sapeva di pioggia imminente. Camminò per le strade deserte, lo zaino pesante sulla schiena. Non si sentiva un criminale e nemmeno un eroe, ma soltanto stanco, come se avesse appena chiuso un cerchio che aveva iniziato a disegnare tanto tempo prima.

 

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