Mietta
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Mietta

 

«…lei»

«È lei?»

«Sì, eccola»

«Eccola finalmente…»

«La smetti?»

«Cosa?»

«Di fare il pappagallo!»

«Scimmie, pappagalli, siamo in tema no?»

Mario lo guardò torvo: «La faccio uscire e ci prendi un po’ confidenza, va bene?»

«Ho scelta?»

«Sei venuto apposta…»

«Be’, da vicino è diversa»

«Diversa…?»

«Sì, non me l’aspettavo»

«Cosa?»

«È brutta»

«Brutto sarai tu»

«Fa proprio schifo»

«Hai un maiale in casa, e la mia scimmietta farebbe schifo?»

«Sarà che la ricordavo diversa»

«Ora hai anche un ricordo in merito, sentiamo»

«Sì, i documentari, la televisione, cose così»

«Fonti di prim’ordine»

«Be’, in effetti questa è reale in carne e ossa, e fa schifo»

«Toccala scemo, la puoi toccare eh, non morde mica, è pulita più di te»

«Ne dubito»

«Va’ a vedere al cesso, devo ancora raccattare i peli»

«…ora gli fai anche la doccia»

«Le faccio il bagno, idiota, perché è una femmina, e va trattata con tutti i crismi, come una regina»

«Oli essenziali?»

«Uso lo shampoo. Te lo consiglio»

«Vabbè ho capito te la sei presa perché sono stato un po’ freddo»

«Tiepido, come minimo. Invece guarda lei com’è tranquilla, e non è solo l’educazione, nossignore, vero Mietta? si vede che ha anche apprezzato…»

«Apprezzato cosa?»

«Ci siamo fatti le coccole prima che arrivassi, sul divano. Piccola! chi è questo zoticone venuto a rovinare il nostro focolare domestico?»

Franco tacque, impietrito.

«Le ho raccontato di te mio caro, che siamo amici da quanto? Era molto curiosa sul punto, voleva sapere se sei fidanzato, ha fatto certe smorfiette maliziose al riguardo… poi siamo passati a parlare del fatto che anch’io sono single, e sai com’è, da cosa nasce cosa…»

«Vuoi che vomito?»

 

Franco si fermò anche a cena. Parlarono, mangiarono e come il solito fumarono molto, la scimmietta di per sé trascorse gran parte della serata per conto suo, di tanto in tanto gingillandosi o grattandosi la testa e mordicchiandosi le unghie dei piedi, ma nel complesso sembrava in grado di starsene sola, una creatura autonoma e piuttosto indipendente. Era stata sistemata in una gabbia di medie dimensioni posizionata sul ripiano di un mobile, cosa che, peraltro, mise Mario in dovere di giustificarsi:

«…sì sì lo sapevo che prima o poi avresti cominciato con la storia della libertà, dell’animalismo, che faccio tanto il fricchettone e poi chiudo un animale in gabbia… come si vede che non ce l’hai tu in casa mio caro, tu hai un porco dentro casa, brutto da morire per giunta, che non è in grado di salire sul divano e devi levargli le croste dagli occhi due volte al giorno…»

«Aaah ricominci… ‘sto cane non ti va proprio giù, eh? Secondo me sei invidioso»

«E di che? Guarda com’è snella la mia scimmietta! Non è forse un esemplare ammirevole? Spalle larghe e portamento distinto, fatti servire: Mietta è très chic…!»

Si arresero. Non subito, ma dopo almeno un quarto d’ora di esagerazioni e assurdità simili. Poi ognuno si coricò in una stanza diversa: Mario sul matrimoniale, in camera sua; Franco, che era l’ospite, si arrangiò sul divano. La scimmietta era stata tenuta chiusa sopra il mobile della sala. Prima di spegnere la luce, Mario non mancò di rincarare la dose, facendo leva sull’evidente diffidenza dell’amico: «Dormi bene eh, che stanotte vedi…». Franco, da par suo, aveva accolto l’augurio soffocando una risata contro un cuscino del divano, poi la luce si era spenta per davvero e in men che non si dica tra i due era calato il silenzio.

 

Sentire certi colpi e udire tante grida, svegliandosi di soprassalto, col dubbio se sia o meno un sogno e la serata ancora annebbia il cervello può dare adito alle interpretazioni più disparate, perfino che ci si trovi nel bel mezzo della giungla, presi d’assalto da una banda di scimmie decise a impossessarsi dei prigionieri di una tribù di cannibali, il pentolone fuma, l’odore delle spezie è inebriante, da poco hanno smesso di suonare i tamburi e la risoluzione è ormai insindacabile: bolliranno degli uomini – o almeno così ti è sembrato dai loro discorsi frantumati – sei tu il primo della lista, prigioniero di tutto rispetto naturalmente, forse un ricercatore sprovveduto o un timido antropologo fregato dalla guida, poco importa, ciò che conta è che te la faranno pagare perché sei stato ingenuo e per loro rappresenti un pericolo – un pericolo culturale, questo lo sai per lavoro, e se non fossi proprio tu a farne le spese sarebbe anche una ragione di orgoglio per un bravo studioso onesto, gettare una nuova luce sulla finezza e la complessità di analisi e di relazioni di queste genti remote… se solo fosse capitato a un altro… ma io, io come mi ci trovo qui? …e mentre scopri che una fune dura ti lega a un palo, che sei stato immobilizzato e presto sarai anche nudo, irrompe l’orrore delle scimmie urlatrici, proprio così, non bastassero la teatralità e il terrore la loro irruenza – più di tutto – solleva ragioni represse, per cui molti dei filtri che hai accumulato negli anni si sgonfiano impotenti, rivelando – cosa? – vaste regioni verdi, floride e inesplorate, le soluzioni ai dubbi che covavi da una vita ed erano lì, pronte dietro strati di buccia, aspettando solo il momento giusto, e – no, no che non vorresti accettarlo – per il momento giusto occorreva tutto questo, cannibali e scimmie, lo stazzo nella giungla… Oh no, no, ti stanno cadendo gli occhiali dal naso, tu che – perché sei qui? – in verità non sai nemmeno di trovartici, dimentico, vigilissimo, incarni tuo malgrado lo spettatore privilegiato di due eventi capitali – il rapimento a opera degli indigeni, l’attacco di una ciurma di primati – pur sempre dal lato della vittima certamente, perché, nel migliore dei casi, se non ti bolliranno i primi sarai fatto oggetto di scambio con i secondi, un baratto uomo-scimmia, prolungamento osceno dello strazio… Dopo gli occhiali, un ciuffo biondo ti cade sul viso, velando per un attimo la vista…

…calma, sono a casa di Mario, sul divano, è stato solo un sogno. …dovevo aspettarmelo, io delle volte non la capisco proprio quella testa di rapa, tenere un animale simile in un appartamento… e sta battendo a tempo, da non credersi…

Franco ci pensò su prima di alzarsi dal divano. Era sveglio, giusto un po’ intontito per via dell’orario; di là Mario sembrava essersi addormentato, ronfava pesantemente. A forza di sbattere, la gabbia poteva cadere a terra e allora sì che la situazione sarebbe stata seria… Si fece coraggio, con fare molto cauto prese iniziativa, sorreggendosi passo dopo passo contro la sponda del divano. La sala era buia e, mancato l’appoggio, ci sarebbe stato da vedersela con lo spazio nero. Ancora alcuni acuti lancinanti accompagnarono i colpi: non era difficile immaginarsi la scena, con la scimmia che aveva impugnato le sbarre a quattro mani per picchiare contro il ripiano… gli tornò in mente un particolare: poco prima, quando grazie a dio stava solo sognando, all’atto di avventarsi sui cannibali le scimmie urlatrici avevano saltellato sulla coda… code elastiche sorprendenti, i cui rimbalzi lo avevano distratto brevemente, alleviandogli il dolore per il proprio destino: doveva essere una specie sconosciuta quella – se solo avesse potuto raggiungere il suo taccuino… – o, al contrario, si trattava di una scimmia già nota ma che all’occorrenza stava mostrando un’abilità rara, limitata a casi eccezionali, qual era senza dubbio un assalto all’ultimo sangue che di uomini non farà prigionieri, e infatti nessuno se la sarebbe cavata, per primo lui stesso… Basta: stava per riaddormentarsi in piedi.

Raggiunse l’interruttore, ma prima di azionarlo fece ancora delle valutazioni: sì, da un momento all’altro avrebbe finito, era abituale che facesse così in piena notte ma in genere non durava poi molto, era il suo sfogo, uno sfogo esternato con la parte conscia ancora sopita, e per il bene di tutti era senz’altro meglio così, che tirasse fuori la frustrazione, d’altronde, d’altronde non era una scimmia quella? è comprensibile vivendo lì dentro, in un ambiente così poco naturale… Accese. Trovò la scimmietta immobile, al centro della gabbia, seduta con le braccia distese lungo il corpo. Lo guardò fisso negli occhi; per un attimo adombrò un ghigno sinistro, ma forse era la suggestione… Franco restò incollato all’interruttore, senza riuscire a spiegarsi cosa fosse accaduto nel lasso di tempo che aveva preceduto la lampadina. Spense di nuovo, per prova. E il trambusto riprese.

 

«Mario…! Mario!»

«mmh…»

«Vieni!»

«Che c’è?»

«Vieni, è successo un casino…!»

Non appena Franco sentì avvicinarsi i passi, riaccese la luce.

«Che c’è? Cos’è successo?» bofonchiò Mario strofinandosi gli occhi. «La luce è troppo forte, spegni»

Al buio, si sentì solo un’isolata auto di passaggio.

«Che succede? Oh…?»

Franco non parlava. Poi esitò: «La scimmia…»

«Cosa?»

«…sbatte, urla!»

«Stai scherzando?»

«No! Stava per cadere…»

«Cadere? Fra’, io non ho sentito niente, te lo sarai sognato. Andiamo a dormire dai». Poi, vedendo che non reagiva, gli toccò una spalla: «Ti sei impressionato. È colpa mia, non dovevo fare quella sceneggiata ieri sera. È addestrata»

«Posso dormire da te?»

 

La pelle brucia. Avvolgersi e rivoltolarsi nelle coperte come farebbe un cavatappi, mentre fuori è… fuori è estate, si suda, la piuma d’oca solletica le ascelle o forse è l’alloro con cui ti insaporiscono che fa accapponare la pelle… in ogni caso sei al palo, sei nudo, e ti stanno spalmando ben bene neanche volessero prepararti all’avvento delle scimmie urlatrici, con quelle loro grida agghiaccianti… com’è deludente ammettere che il buon selvaggio, il protagonista delle dissertazioni filosofiche, gli indigeni con le capanne e il fuoco al centro del villaggio stiano per mettere la parola fine alla tua vita, e intanto, intanto ai margini dello stazzo, nemmeno troppo confusi dalla boscaglia, due esemplari di piccola taglia si stanno accoppiando, estranei, non strafottenti, semplicemente non si sentono coinvolti dalla vicenda… un truce energumeno ha quasi rischiato di staccarmi una guancia, mi tiene dal mento perché – mi piace pensare – io veda il cielo, e sebbene mi strozza e mi provi coi denti non perdo l’occasione di registrare un’altra impressione interessante, e cioè che quei due un po’ appartati laggiù, che copulano anziché battersi coi loro simili, stiano ansimando… ahimè, anche questo dettaglio non finirà mai sul mio taccuino – “nessun effetto apprezzabile sul nostro sistema nervoso” avrei annotato diligentemente: seppure la femmina gema, e nel tumulto farebbe pensare a una don… – no, ma che razza di oscenità vado farneticando? …non capita così spesso che due scimmie lo facciano alla svelta, alla presenza dell’uomo…

 

Non ho più ripreso sonno. Sono sdraiato di fianco a Mario, che già russa di nuovo. Qui si sta un po’ stretti in due, su questo letto che lui si ostina a chiamare matrimoniale… ma in ogni modo, come oso recriminare? È stato un angelo: ero davvero spaventato prima. Eppure, le cose non sono andate poi tanto meglio: non ho chiuso occhio lo stesso, almeno credo. In compenso non si è sentito fare un fiato, per cui ne ho dedotto che, qualora non me lo sia inventato, ammesso che non sia stato il prodotto di un sogno o di un’allucinazione, la scimmietta debba essersi riaddormentata…

Franco si sollevò sul letto e provò a stare seduto. Dopo un po’, vedendo che non migliorava, decise di accendere l’abat-jour per recarsi in cucina. Passò intorno al letto; uscendo, notò gli adesivi appiccicati sulla porta. Dovevano risalire all’infanzia, a quando Mario aveva collezionato interi album di figurine; tra tutte, almeno una aveva resistito, integra e a colori: Tigro, il personaggio del cartone animato, la cui peculiarità consisteva nello spostarsi sulla coda, saltellando come una molla…

Azionò l’interruttore. Cercò di oltrepassare la sala senza voltarsi, sgattaiolò lesto in cucina. Qui aprì l’acqua corrente e riempì un bicchiere. Si guardò intorno. Quella scritta sulla lavagnetta appesa al frigorifero – “Mietta”, provvista di un affettuoso musetto divertito – era la conferma migliore del rapporto che si era instaurato: malgrado tutto, malgrado un certo innato sarcasmo, Mario era un tenerone. Finalmente andava meglio, quella scoperta inattesa l’aveva risollevato; ora avrebbe potuto perfino riaddormentarsi. Bene: bere dell’acqua in certe serate è legge, le angosce basta riequilibrarle con l’apporto di liquidi e… uscì dalla cucina e tornò con più sicurezza verso la camera da letto. Passando in sala, non poté fare a meno di indirizzare uno sguardo verso la gabbia, uno sguardo che, per la prima volta, voleva essere amichevole e aperto. C’era una gran calma, tutto taceva, il che lasciava supporre che la scimmietta stesse per davvero...

…in piedi, aggrappata alla gabbia, fletteva il bacino ripetutamente, in un gesto molto vistoso: che stesse inscenando un amplesso, un atto di natura sessuale? Situazione doppiamente incongrua se, parola di Mario, Mietta era femmina: cosa diavolo le saltava per la testa? Tratteneva il respiro, perciò non si sentiva volare una mosca, erano scatti precisi e nervosi nel perfetto silenzio. D’istinto Franco si appiattì contro la parete, senza riuscire a distogliere gli occhi dalla scena. Mietta sembrava assente, guardava nel vuoto, era paonazza e ciononostante agiva con foga, come se davanti a sé, in tutto e per tutto, ci fosse un altro corpo…

La luce si spense, per poco Franco non restò senza fiato.

Si sentì afferrare a una spalla: «Sei ancora qui?» gli chiese una voce assonnata, venata di rimprovero, «…vieni, su andiamo a letto» e una mano lo prese per condurlo verso la luce flebile della camera. Era atterrito, avanzava meccanicamente; vedeva poco e, come prima, faceva molto caldo. Il solo pensiero che gli passò per la testa, allora, era relativo a un ricordo: la strategia che usava da bambino per scappare da un incubo, quando, trovandosi in situazioni di vita o di morte senz’altra via d’uscita, si sforzava di immaginare una lunga inferriata, quella che, nella realtà, aveva visto una sera fuori da uno stabilimento, passando in auto col padre… e dunque, afferrandone un palo, peraltro così simile alla rete di una gabbia di metallo…

«Ora che mi sveglio sarà tutto finito…» pronunciò Franco, non sapendo bene dove trovarsi.

«Come?» domandò la voce di Mario, stupita.

Prima di arrivare a letto, Franco allungò un braccio e fece per afferrare qualcosa. Voleva essere un palo, ma era una faccia, che a sua volta protestò e allontanò la mano.

Quando aprì gli occhi, si trovava aggrappato a un palo conficcato nel suolo. L’odore delle spezie profumava l’aria…

 

>> Luca Scacchetti

 

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