Marta Paglia era “quella carina”. Vestiva abiti non adatti alla sua età, si vociferava addirittura che li rubasse alla nonna, inoltre le acconciature si adeguavano a quelle camicine chiassose che solo lei aveva il coraggio di portare a spasso. Abbinava crocchie voluminose di capelli ossigenati a vestitini leggeri con colletto impegnativo Luigi XV. Le unghie erano lunghe e appuntite, forse per difesa personale, e il trucco era pesante come se avesse dovuto nascondere la ricrescita di una barba maschile. Poteva esserci chiunque sotto quegli strati di fondotinta.
Era fidanzata con uno più grande e non faceva che ostentare quel legame cominciando ogni frase con “come dice Stelvio”, incipit che incuteva rispetto e considerazione per qualunque concetto venisse espresso, perché quel suo ragazzo era uno forte, uno che aveva lavorato in fabbrica e poi, quella fabbrica, se l’era comprata.
Marta si era adeguata al fidanzato e aveva trasformato il proprio aspetto per sembrare più grande, perché non era bello uscire la sera e sentirsi dire “il tavolo è pronto, suo padre la sta aspettando”, oppure essere giudicata dai coetanei che la guardavano con aria di riprovazione.
Per fortuna i genitori avevano subito accolto con favore il fatto che Marta e Stelvio cominciassero a fare sul serio, del resto lui aveva già una bella carriera avviata e non è ciò che sperano tutti per la propria figlia? Un bel matrimonio con un uomo che non le faccia mancare nulla, tutto il resto è ipocrisia. La mamma di Marta era tutto un cinguettare Stelvio di qua, Stelvio di là, cosa gli piacerebbe mangiare a pranzo, facciamo Natale insieme, era entusiasta di quella relazione.
«Tesoro, sta tranquilla, la gente parla perché si annoia. Solo tu sai quanto è sincero e profondo l’affetto che vi unisce. Guai a te se ti fai scappare quel fidanzato d’oro.»
«Lo so mamma, figurati se mi faccio influenzare dalla gente. Però sai come dice Stelvio, io sono una persona matura, una donna di gran classe, “la Mercedes del parco auto” dice,» rise compiaciuta «quindi, secondo lui dovrei vestire più elegante, pettinarmi in modo più idionico, ecco.»
La mamma esitò «più? Ah sì, più idoneo, giusto, ha ragione. Ho chiesto a zia Errica quel bel vestitino blu con i pois, quello che indossava per andare a Messa. Lei dice che la fa sembrare più vecchia ma secondo me non lo usa più perché è ingrassata. A te starà un amore.»
«Mamma, per i capelli, forse dovrei tagliarli corti, come li porta nonna Lisetta, che dici?»
«Tua nonna? Quella che ha sposato un metalmeccanico e si fa sistemare il taglio dal barbiere? Tesoro mio, c’è modo e modo di sembrare più adulta. Tra una panettiera e una principessa, non so, Anastasia Romanov, a chi vorresti somigliare?»
«Anastasia Romanov che è morta a diciassette anni? Beh, la panettiera quanti anni ha?»
«Va bene, diciamo Grace Kelly?»
«Grace di Monaco era sui cinquanta quando è venuta a mancare, resterei sulla panettiera.»
«Tesoro, sei un po’ polemica oggi, non metti a fuoco la questione. Ti propongo Kim Novak, esempio di stile ed eleganza, nella versione La donna che visse due volte e lascia perdere la nostra panettiera, per l’amor di Dio, che ha cinquant’anni e li porta male come una gattara.»
Fu così che Marta, ispirandosi a Kim Novak, abbandonò la coda di cavallo o il capello fluente sulle spalle e imparò a tenere le chiome ben avviluppate in uno chignon alto, ma così alto da sembrare Barbara Eden in Strega per amore, che comunque era anch’essa molto elegante e stilosa.
«Ecco nonna Ace» sussurravano in molti quando Marta entrava in aula, e lei lo sapeva, non li sentiva, li percepiva, ma non le importava, “la gente parla perché si annoia” diceva mamma.
Ogni mattina, si accomodava con calma esasperante al suo banco e stendeva uno sguardo panoramico sui presenti, chiarendo così di non temere le prese in giro degli sciocchi. Era superiore, era matura, “la Mercedes del parco auto”.
Sanguinacci aveva l’abitudine di cambiare sempre banco, a volte voleva stare in mezzo al suo gruppetto, poi si sentiva criticato perché faceva troppo il bullo, battute cretine che mettevano in imbarazzo tutti, così lui decideva di trovarsi un posto isolato, ma qualunque fosse l’umore della giornata, si ritrovava sempre nei pressi di Marta.
«Uè zia, sposta la torre di Pisa che non vedo niente» le diceva per metterla in imbarazzo, ridicolizzando quella acconciatura retrò, «oggi viene a prenderti il nonno o ti manda lo chauffeur?»
«Sanguinacci mollami, non sono alla tua portata, ci devi stare.»
«Quante storie, bambolina. Qui se c’è una che ci sta quando le conviene sei te. Guarda che pure io sto raggiungendo un discreto successo, sai?»
Bambolina era esausta di subire ogni giorno frecciatine sessiste e gestacci espliciti da quel residuato di patriarcato del Novecento, ma non intendeva farlo godere del suo risentimento, quindi, un po’ gli dava corda, «immagino in quali affari sarai implicato, roba forte.»
«Hardcore, ragazzina, esattamente. Il mio libro Ti prendo al contrario va fortissimo, bella.»
«Sanguinacci, ti prego! È autoprodotto e sta in classifica tra i più regalati perché la gente lo usa per prendere per il culo gli amici, fammi il piacere.»
«Vedo che mi segui sui social. Che fai? Mi spii per vedere se posto foto in costume?» accompagnando la domanda con un gesto di una volgarità formidabile, indice e medio a formare un V dentro la quale faceva sgusciare la lingua con un movimento isterico.
Andava avanti così da sempre. Lei, la ragazzina che una volta postava foto su Instagram con i bei capelli biondi e selvaggiamente liberi sulle spalle, i bikini, gli occhi esplosivi senza un filo di trucco, la bocca sorridente a metà che suggeriva un messaggio stuzzicante, sono una birichina, vieni a vedere perché. La giovane donna che a un certo punto aveva cominciato a frequentare uno che con quel mondo non c’entrava niente e aveva plasmato sé stessa, creando una forma nuova che si adattasse a lui, una bambina che gioca a camminare con le scarpe della mamma, una ragazzina vecchia.
Da quel fidanzamento Marta aveva ottenuto numerosi vantaggi, esoneri speciali per assenze ingiustificate, possibilità economiche che a quell’età sono riservate solo ai figli dei potenti, e si comportava come un capobranco, senza essere maschio, particolare che uno come Sanguinacci non era in grado di accettare.
Marta era uscita dal gruppo, un “corpo estraneo” e come sappiamo, quando l’organismo ne individua uno, lo identifica come un pericolo da abbattere. Marta era un tumore da ridimensionare con una terapia specifica: la chemio-mortificazione.
In qualche modo si giunse alla resa dei conti, un giorno come un altro che si apriva con le solite burle adolescenziali tra maschietti, frecciatine a sfondo sessuale, e tu sei ricchione, portami tua sorella e vediamo, finché Marta non fu esasperata e disgustata da quelle spacconate che udiva da troppo tempo.
«Ma non vi stufate mai di tirarvi l’uccello a vicenda? Scusate ma qua non si riesce a sentire niente con voi che fate casino.»
Sanguinacci si bloccò di colpo e subito non capì se si sentiva oltraggiato da quella femmina utile solo a scaldare il sedile posteriore di un bacucco o esaltato dal fatto di essere riuscito finalmente a irritarla per bene. Si apriva la possibilità di una bella lite come piaceva a lui, finalmente poteva trascinarla sul proprio campo da gioco, quello viscido, infangato da rivoltanti immagini sessiste e citazioni delle peggiori commedie sexy anni ‘80.
«Perché, sennò che mi fai?», ripetendo il gestaccio della lingua tra le dita.
«E cosa vuoi che ti faccia, poverino?» rispose gettando un’occhiata impietosita sul cavallo dei pantaloni di lui.
«Guarda, se ti prendo sotto, ti faccio vedere com’è un vero uomo.»
«Sì, vabbè, senti Coso, sono due anni che mi… no, riformulo… che CI abbuffi di come sono maschio io, sono uno stallone, e le femmine devono stare in cucina e io sopra di loro, e i negri non ce l’hanno più grosso di me (scusa Said, ma questo ci ha veramente frantumato tre quarti di organi interni).»
Said sorrise «no no, tranquilla, io non mi offendo quando “Coso” mi chiama negro, che c’è di offensivo nel mio colore? Essere un troglodita ignorante, questo sì, sarebbe un dispiacere.»
Quindi Marta riprese a mitragliare «ci hai fatto tutta la compilation di disavventure tue mentre vai in cerca di patata, ci si potrebbe fare una linea di bambole: Sanguinacci in discoteca adescato dai trans, Sanguinacci in tram importuna un nero per sentire se ce l’ha lungo», rapida occhiata verso Said che assentì, «uh, e non dimentichiamo Baby-Sanguinacci che gioca con le pistole “perché è un gioco da maschio”. Basta, facci questo piacere, sigillati l’ano che hai sotto il naso e finiscila di cagarci i tuoi pensieri.»
Un campanello cominciò a suonare furiosamente, «Sanguinacci? Allora?»
Ma lui non intendeva lasciare in sospeso quella discussione, nossignore.
Rosso in volto, sudato per la tensione, si portò rapidamente le mani sulla cintura dei pantaloni e fece il gesto di aprirla, come fosse una minaccia, «ah sì? Vuoi vedere se sono un uomo? Eh? Te lo faccio vedere?»
La campanella continuava a sbraitare, alcuni uomini si stavano precipitando per sedare quella confusa agitazione e una voce insisteva «ma insomma, Sanguinacci, dov’è? Che succede là in fondo?»
Vuoi vedere? continuava lui, sfidando gli occhi indolenti di Marta, vuoi vedere come sono uomo?
«Guarda che Pontana ti sta chiamando, scemo» disse lei prima di allontanarsi da quel consesso imbarazzante.
Sanguinacci si richiuse la patta, unica trasgressione che avrebbe concesso a quella messa in scena e si guardò intorno alla ricerca di sguardi complici da parte degli altri compagni, ma nessuno lo appoggiò. Era la solita sanguinacciata.
La campanella continuava a urlare con isterica urgenza, ah sì, la campanella, Pontana stava chiamando da cinque minuti buoni, cercava lui. Eccomi, arrivo.
«Ah eccola Sanguinacci, ma porca miseria, stiamo discutendo il suo provvedimento a favore della Omo-Transfobia, se si degna di prendere la parola…»