Il responsabile del centro di comando e la sua fidanzata
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Il responsabile del centro di comando e la sua fidanzata

 

Datogli uno schiaffo al fulmicotone, Agnese si girò offesa dall’altra parte: che gesto osceno! che volgarità!... da lui non se lo sarebbe mai aspettata... mettersi le mani tra le gambe a quel modo!... in mezzo a tutti, poi! in pieno centro! durante lo struscio domenicale!... mettersi le mani proprio lì, sul pene, sui testicoli, e scuotere forte, con le gambe inarcate... un gesto che aveva visto fare solo alle scimmie! che schifo!... e per che cosa, poi? solo per dire che non voleva venire da mammina a Capodanno!... ma scherziamo? con chi credeva di avere a che fare?...

Le vennero dei dubbi, ad Agnese, lì per lì, se davvero conoscesse il suo fidanzato, se veramente fosse quello che le aveva dato ad intendere di essere, o se non fosse piuttosto lei ad aver fantasticato su di lui, in modo da farlo corrispondere a ciò che in cuor suo desiderava fortemente, più di ogni altra cosa: l’anima gemella da tanto tempo cercata, il partner ideale con cui progettare un futuro insieme, il donatore di seme per fare dei figli splendidi, il compagno su cui poter sempre contare nei momenti di difficoltà che inevitabilmente ci sarebbero stati, l’amico fidato a cui poter confessare qualsiasi debolezza, persino (dio non volesse) un eventuale tradimento, l’uomo forte che avrebbe saputo capire e perdonare, il focoso amante in grado di farla sentire sempre desiderata, anche quando fossero invecchiati, il complice capace di indovinare in anticipo i suoi più intimi desideri e di esaudirli ancor prima che lei stessa potesse formularseli in testa compiutamente... Era dunque lui, quell’uomo? Poteva mai il suo futuro marito assumere un atteggiamento del genere? Era insomma compatibile, quell’atto volgare, se pur non gravissimo, cosa insomma di quelle che gli uomini fanno a volte senza pensarci, da sciocchi quali sono, con la sacralità della donna che lei era e con l’impegno che metteva nel dispiegare davanti a sé l’ampio ventaglio degli sviluppi per loro possibili, valutandone tutti i pro e i contro, per raggiungere infallibilmente un radioso futuro come coppia?

Lo scrutava nel dubbio con la coda dell’occhio, attraverso le ciocche laterali dei biondi capelli mentre, con il mento ben alto e le braccia conserte serrate sotto i piccoli seni, gli dava le spalle volutamente imbronciata.

Gianluigi, intanto, si massaggiava la gota bruciante. E nel frattempo si sgonfiava, come un pallone improvvisamente bucato. Sprofondava nell’imbarazzo per aver fatto un gesto probabilmente fuori luogo. Ma non prima di essere rimasto sbalordito dal fatto che lei non avesse riso di quel gesto, come avrebbero invece fatto sicuramente i suoi amici. E solo dopo essersi vagamente chiesto perché mai dovesse mutare il suo modo di essere a seconda di chi lo accompagnasse, uomini o donne che fossero, cosa che restò per lui assolutamente incomprensibile, pur avendo imparato dal trauma appena subito che quelle non erano cose da fare con una donna e ancor meno con una fidanzata. Per via della gente, poi, che tutto intorno lo stava a guardare trattenendo il fiato, beh, che se ne andassero pure a quel paese: non era affare che li riguardasse! No, la cosa veramente grave era che Agnese adesso era arrabbiata... e ci mancava pure questa! Dopo tutti i problemi che aveva sul lavoro! Cominciati dal momento che gli era stato dato quell’incarico, apparentemente così marginale ed innocuo, ma che ora si rivelava così fondamentale per le sorti dell’intera ditta: maledetto il giorno che lo aveva accettato! Toccava a lui, adesso che i suoi superiori si erano volatilizzati. Non poteva più tirarsi indietro. Troppo tardi! Lo avevano lasciato con il cerino in mano. E sentiva tutto il peso della piramide aziendale gravare su di lui come se fosse la piramide di Cheope che, capovolta, concentrava la sua enorme mole su di un unico punto del suo capo. Quanto avrebbe dato per togliersi quel peso di dosso! Per levarsi quel mal di testa che da tre giorni non lo lasciava nemmeno un minuto, privandolo anche del sonno! E Agnese che se ne usciva a proporre il Capodanno con mammina. Ma quale Capodanno! Lo vedeva lontanissimo, lui, quel giorno, come se non fosse nemmeno sicuro della sua esistenza. Nella situazione in cui si trovava, gli pareva una cosa a cui fosse addirittura proibito pensare: come se commettesse peccato mortale a pensare ad altro che a risolvere il problema che gli avevano scaricato addosso, dal quale non poteva permettersi di togliere la concentrazione per un solo secondo, ancor meno che per pensare a dei festeggiamenti. Figuriamoci! Nemmeno col binocolo era convinto di poterlo vedere, come se il Capodanno fosse un’isola della Polinesia francese e lui stesse ancora doppiando Capo Horn, in balía di una furibonda tempesta. E anche ammesso di superarla, quella tempesta, nella beneaugurata idea di uscirne indenni, lui e tutta l’azienda, e di poter navigare da allora in poi col vento in poppa e il cielo sereno, arrivati finalmente a quell’isola, giunto il momento di festeggiare per davvero, ebbene, l’ultima persona con cui avrebbe voluto farlo era proprio mammina. Questo bisognava dirlo chiaramente perché era la sincera verità. Poteva capire, ora, che per esprimerla avesse usato un gesto magari inappropriato, ma il significato restava immutabile. E questo, Agnese, avrebbe pur dovuto comprenderlo.

«Devo parlarti», le disse.

L’aura nefasta di quelle parole si abbatté su Agnese come la mannaia sul collo di un tacchino. Solo una donna, infatti, conosce bene il peso specifico e la gravità di quella semplice frase. Invasa già dal disgusto, lei si preparò all’imminente confessione di un tradimento. E, come un tacchino appena decapitato, la sua immaginazione cominciò a correre all’impazzata da tutte le parti: chi poteva essere la puttana che si veniva a mettere tra loro come un sasso negli ingranaggi di una macchina ben oliata? Una collega, forse? Una ex tornata all’attacco?... Chi era dunque la cagnetta, la poco di buono, la procace baldracca?... E quale colpa imputare, d’altronde, ad una donna che poteva far valere solo il suo fisico, perché era chiaro che su quello poteva contare, e su nient’altro?... Era tutta di lui, la colpa! Che ci era cascato, il porco!...

Lui, nel frattempo, il presunto porco, presala con decisione sotto il braccio, la faceva entrare in un bar.

Si sedettero e ordinarono: lei un caffè macchiato, lui una grappa.

“Una grappa, quindi! Bene!”, pensò lei. La cosa dunque era veramente grave, visto che non gliel’aveva mai vista bere. Magari era stata proprio quella zoccola ad avviarlo all’alcolismo!

Agnese, abbassato ora decisamente il mento, con lo sguardo raccapricciato che, perforando la frangetta, puntava dritto sulla bocca di lui, era ormai pronta a cogliere le abominevoli parole che da lì era certa stessero per uscire. Non gliel’avrebbe perdonate, mai e poi mai. Potesse crepare secco lì sul posto, ma no. Le dita della mano destra già cercavano l’anello che era sull’altra, pronte a sfilarlo e a gettarglielo orgogliosamente in faccia, per quanto le piangesse il cuore di dover rinunciare al bel brillante che vi era incastonato. Certo era uno schifo. Gli uomini, una continua delusione.

In attesa delle bevande, Gianluigi pensava intanto a come cominciare, e già sudava all’idea di dover esporre tutta la complessità del grattacapo lavorativo in modo da renderlo comprensibile all’anima tanto innocente quanto cocciuta che gli sedeva di fronte. Non gli sembrava affatto facile. Pur semplice nella sua essenza, il problema poteva risultare ostico da comprendere per chi non fosse avvezzo al quotidiano giogo della formalità procedurali di una grande azienda. Per lui, era come dover spiegare a parole come si fa il nodo ai lacci di una scarpa. D’altra parte, non riusciva più a sostenere da solo il peso in una magagna che, qualunque cosa lui facesse, pareva ingigantirsi a vista d’occhio, e non vedeva l’ora di scaricarlo almeno in parte su un’altra spalla che, se non altro spiritualmente, lo aiutasse a portarlo.

Arrivata infine la comanda e andata via la cameriera, sicuro dunque di non essere più interrotto da chicchessia, bevuto un bel sorso di grappa, trovò finalmente il coraggio di cominciare a sciogliere il groppo che da qualche giorno gli chiudeva la gola.

Prese la spiegazione dal principio, cercando di procedere con ordine e senza lesinare sui particolari.

«Immagino che tu sappia», disse, «che in una azienda grossa come la nostra debba per forza esserci un comitato di crisi. Capirai che risulta fondamentale essere pronti a fronteggiare situazioni di emergenza quali possono essere un evento catastrofico, o una crisi tecnologica, o del personale, o qualunque cosa possa bloccare le attività dell’azienda o comprometterne la reputazione... »

Agnese, avendo captato da tutto il discorso soltanto la parola “crisi”, dato che era l’unica incasellabile nella terribile confessione che le sue orecchie pretendevano ormai di udire, non mosse un solo muscolo. Impettita e a braccia conserte lo osservava come il gatto guarda il topo dibattersi dopo averlo chiuso in un angolo: era inutile che menasse il can per l’aia, tanto al dunque ci doveva arrivare, il vigliacco!

«Bene», continuò di slancio Gianluigi, scambiata la catalessi della fidanzata per un silenzio-assenso, «Tieni allora presente che da qualche mese mi hanno affidato il ruolo di responsabile del centro di comando, che è proprio uno dei compiti da svolgere all’interno del comitato di crisi. Ti dico subito che non è un vero e proprio lavoro, ma è solo un incarico che rientra nell’ambito di ciò che già faccio e per il quale io non prendo un euro in più. Tanto è vero che non lo volevo nemmeno fare, ma poi ho detto di sì, non so nemmeno io perché: d’altra parte Gabrielli insisteva... »

Già in procinto di incartarsi nella spiegazione, Gianluigi si passò nervosamente una mano tra i capelli.

“Che fanfarone! Che lurido schifoso!”, pensò Agnese vedendolo annaspare a quel modo, “Che vano sforzo di indorare la pillola con dei paroloni!”

L’anello, estratto ormai quasi del tutto dall’anulare, già ballava sulla falangetta.

«Comunque sia», riprese lui, fatta una brevissima pausa, come per far mente locale, «il mio incarico è quello di mantenere attivo il centro di comando, che poi non è altro che una stanza in una sede separata dall’azienda, e assicurarmi che tutte le attrezzature, le forniture e le utenze al suo interno siano disponibili e funzionanti. Non sono io il responsabile della comunicazione, seguimi bene: quello è Scarpato; non sono io il leader del comitato di crisi, quello è appunto il dottor Gabrielli; men che meno sono il responsabile delle risorse umane o il responsabile legale, no! Il mio ruolo è esclusivamente quello di assicurarmi che, in caso di una crisi, il centro di comando funzioni e al suo interno si possano riunire quelli che la crisi la devono gestire, chiaro? Non ne so nulla, io, del piano di gestione delle crisi, nemmeno so com’è fatto! Te lo ripeto: io devo solo accertarmi che la sede del centro di comando sia sempre accessibile, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e sia provvista di energia elettrica, rete wi-fi, connessioni telefoniche e un forte segnale cellulare. È chiaro fin qui?»

Travolte da quell’ondata di astrusi tecnicismi, le certezze di Agnese questa volta si incrinarono: cominciò a sospettare che Gianluigi non avesse nulla da confessare. Dopo tanta rabbia inutilmente repressa ci restò addirittura male, e l’ombra di una vaga delusione le passò sul volto, peraltro subito rasserenato dall’idea che il brillante potesse rimanere al suo posto.

Gianluigi, al contrario, prendeva vigore, come se, per il principio dei vasi comunicanti, una volta cominciato a travasare il problema nelle orecchie della sua fidanzata, lui se ne stesse già alleggerendo e lei se ne dovesse sentire sempre più caricata.

«Ora, tenuto presente questo», continuò, «devi sapere che mercoledì di questa settimana hanno cominciato ad arrivare diverse segnalazioni di malfunzionamento per un componente che produciamo da tempo, ma è stato da poco modificato. È un aggeggino piuttosto semplice, ma il fatto è che rientra come componente di base in quasi tutte le nostre piattaforme... Con tutti i prodotti che vendiamo in giro per il mondo, capirai la mole di segnalazioni!... Il dottor Gabrielli non era in azienda. Lo chiamo. “Sono a un funerale”, mi dice, “Prenda tempo”. E riaggancia. Che faccio? Prendo tempo, come mi ha detto lui! E questo è stato il primo errore, secondo me: in queste situazioni bisogna essere molto rapidi a rispondere. Il comitato di crisi dovrebbe servire apposta per quello, no?... »

Agnese, mutata ora radicalmente l’atmosfera in cui si trovava ad ascoltarlo, accomodatasi anzi sulla sedia con un certo agio, poteva adesso dedicarsi con piacere all’osservazione della bella bocca di lui, delle sue labbra così carnose, mentre si muovevano per pronunciare quelle incomprensibili parole: che carino che era! E come gli stava bene la barba che teneva corta e ben curata: che aria virile, gli dava!

«Insomma», proseguiva intanto lui, sempre più spigliato nella spiegazione, «Passa un giorno e siamo ormai letteralmente sommersi dalle segnalazioni. Chiamo Scarpato, il responsabile della comunicazione: non mi risponde nemmeno al telefono. In azienda mi dicono che è in ferie. Chiamo di nuovo Gabrielli. Gli è morto il suocero, la voglio capire sì o no? Mi dice chiaro e tondo di non rompergli i coglioni. Sono l’unico componente del comitato di crisi presente in quel momento: tocca a me, insomma, prendere in mano la cosa. Tieni conto però che io mi occupo dei sistemi informatici dell’azienda: non so niente di come si trattano queste faccende. E infatti credo di aver combinato un pasticcio...»

Alla parola pasticcio, la coscienza di Agnese, inspiegabilmente, si risvegliò: «Perché?», chiese, «Che hai combinato?»

«Ho improvvisato un comunicato dicendo che secondo i nostri controlli interni il componente funziona come dovrebbe.»

«Che bravo!», esclamò lei.

«Eh, no invece», disse Gianluigi, «Mi sa che non era la mossa giusta da fare. Gli utenti hanno cominciato a incavolarsi di brutto, dicono che neghiamo l’evidenza, che mettiamo la testa sotto la sabbia. Sono intervenuti anche degli influencer: una valanga di lamentele che non ti dico, su Facebook, Twitter, Instagram, fai tu! Tutti i nostri canali social pieni zeppi di proteste, a volte anche feroci, piene di insulti... »

«E allora?», fece lei.

«E allora stai a sentire», disse lui, «Rispondo con pazienza a tutti quelli che posso dicendo che, se ritengono che il prodotto acquistato non funzioni, possono sempre chiedere il rimborso. C’è un modulo apposta, spiego, lo possono trovare in alto a destra nel nostro sito... Non l’avessi mai fatto! Si lamentano che non lo trovano, oppure che non riescono a inviarlo, o ancora che è troppo complicato da compilare. Ma con un’arroganza, ti dico! Una maleducazione!... A quel punto mi han preso i cinque minuti. Lo sai come sono impulsivo. Lo hai visto anche prima... Scusa, a proposito...»

Lei gli sorrise amabilmente: dopo lo spavento che si era presa, eran bazzecole ormai.

«E che hai fatto?», chiese.

«Ho cominciato a rispondere a tono», disse lui.

«Cioè?», fece lei già divertita.

«Aspetta», disse lui ringalluzzito, tirando fuori il telefono, «Te ne leggo qualcuna.»

Aprì il profilo Twitter aziendale e fece scorrere un po’.

«Ecco!», disse finalmente, «Prendi questo, per esempio... sosteneva che non fosse chiaro come chiedere il rimborso... Gli ho risposto: Se non è troppo preso a fare i balletti su TikTok può scaricare il modulo di rimborso e compilarlo. CE LA PUO’ FARE! HO FIDUCIA IN LEI!»

Agnese emise una risatina acuta, una specie di squittio, coprendosi la bocca con la mano.

«Ah, senti quest’altro», proseguì Gianluigi sull’onda dell’entusiasmo, «Minacciava che ci avrebbe chiesto i danni... Gli ho scritto: Mandi tutte le richieste danni che vuole. Ne abbiamo già qui una pila bella alta. Ci finirà in fondo... E poi questa... questa è bella!... A una cretina che non capiva come compilare il modulo: Mi rendo conto che spiegare le cose a lei è come insegnare il burraco a una capra. È UN PDF EDITABILE! CI DEVE SCRIVERE DENTRO! Non stamparlo e compilarlo a penna...»

Agnese squittì di nuovo.

«Il burraco a una capra!», disse ridendo, «Ma come ti vengono?...»

Gianluigi fece spallucce e bevve un altro sorso di grappa. Poi corrugò la fronte e si grattò la barba.

«Mi sa che domani, quando rientra, Gabrielli mi licenzia in tronco», disse.

«E che te ne frega?», disse lei, «Con tutte le persone che conosce, figurati se mammina non ti trova un altro posto.»

Lui le prese teneramente le mani, sul tavolo, e le sorrise con gratitudine.

«Allora, che ne pensi?», disse Agnese, «Andiamo da lei a passare il Capodanno?»

«Certo, topina», disse lui.

 

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