Carmelo Barletta era un impiegato statale che si occupava di archivi catastali, ma la sua vera passione erano le schede telefoniche. Ne possedeva circa duemila, tutte conservate in album appositi, foderati di pelle marrone chiaro. Passava le domeniche a riorganizzarle secondo un sistema che lui stesso cambiava in continuazione: per anno di emissione, per valore, per soggetto rappresentato, per rarità. Non si considerava un collezionista qualunque, di quelli tanto per, ma un collezionista che misurava la propria esistenza attraverso il numero di schede possedute.
Per trovare nuovi esemplari per la sua collezione visitava regolarmente mercatini dell'antiquariato, convegni di collezionisti e negozi specializzati. Aveva persino un taccuino dove annotava i contatti di altri amatori in tutta Italia. Si era specializzato nelle schede telefoniche degli anni novanta, quelle con le pubblicità delle compagnie telefoniche, gli eventi sportivi, le commemorazioni storiche. L'odore particolare della plastica di quelle schede lo eccitava e, quando ne trovava una rara che non possedeva, mentre la esaminava il cuore gli batteva forte e le dita gli tremavano leggermente.
La moglie Angelina si era abituata a questa passione. A lei pareva tutto sommato una fissazione innocua, che teneva suo marito lontano dai bar e dalle cattive compagnie. Lo chiamava "il mio telefonino" (espressione che a Carmelo procurava comunque un persistente celato fastidio per l'ostentata incompetenza tecnologica) e lo prendeva bonariamente in giro quando lui si chiudeva nello studiolo (che era un ripostiglio riadattato) per catalogare le nuove acquisizioni. Lei era una donna piccola e rotonda, con i capelli tinti di un castano innaturale e le mani sempre umide di crema idratante. Faceva l'estetista in un centro commerciale e tornava la sera con l'odore di creme e oli che si portava addosso come un'uniforme.
Ogni tanto Angelina gli regalava qualche scheda telefonica per il compleanno o per Natale, ma non capiva davvero la differenza tra una comune e una rarissima. Una volta gli aveva preso una scheda con l'immagine del Colosseo, pensando di fargli una sorpresa eccezionale, ma Carmelo l'aveva ringraziata con un sorriso di circostanza, visto che si trattava di una delle schede più comuni, e lui ne aveva già tre esemplari identici.
A un certo punto però l'ossessione di Carmelo prese una piega nuova, più o meno per caso, durante un convegno di collezionisti a Bologna. Lì aveva incontrato un tale Moroni, un uomo altissimo e magro, con le mani ossute e una montatura di occhiali antiquata. Moroni gli aveva mostrato la sua collezione di pezzi pregiati stranieri: giapponesi, americane, tedesche. Carmelo era rimasto affascinato soprattutto da una particolare scheda tedesca con l'immagine della Porta di Brandeburgo.
"Ne ho diverse copie," aveva lasciato cadere Moroni con noncuranza. "Potrei cedertene una, se sei interessato."
Carmelo accettò immediatamente lo scambio, offrendo due rare schede italiane. Da quel momento, la sua collezione si era aperta agli esemplari internazionali, e il suo appartamento aveva cominciato a riempirsi di nuovi album. In cantina aveva anche installato un piccolo archivio con temperatura e umidità controllate per preservare i pezzi più pregiati e di valore. Angelina si lamentava che la casa stava diventando un museo, ma lui non l'ascoltava.
Col passare del tempo, la mania di Carmelo si intensificò in maniera preoccupante. Iniziò a indebitarsi per acquistare pezzi rari, utilizzando una carta di credito segreta di cui Angelina non sapeva nulla. Le spese diventavano sempre più consistenti. Si era convinto che una collezione completa gli avrebbe dato finalmente uno scopo nella vita, un riconoscimento tra gli intenditori di tutta Europa.
Un giorno aveva trovato su internet un annuncio che parlava di una rarissima scheda telefonica australiana, una delle prime mai prodotte in quel paese lontano. Il venditore, un certo Magnus Keller, era disposto a venderla, ma chiedeva ben cinquemila euro. Era una cifra astronomica per una scheda telefonica, ma Carmelo non poteva resistere. Aveva comunicato via email con questo Keller per diverse settimane, e alla fine aveva preso la decisione di completare l'acquisto.
Keller gli diede appuntamento in un caffè vicino alla stazione di Milano. Carmelo aveva prelevato i risparmi che teneva nascosti e, preso un giorno di ferie, aveva detto ad Angelina che doveva andare a un convegno di archivisti. Lei non aveva fatto domande, abituata com'era alle sue strane passioni.
Il caffè era piccolo e affollato. Carmelo si era seduto a un tavolo in fondo, sudando leggermente per l'emozione. Keller si era presentato puntuale: un uomo sui sessant'anni, con i capelli bianchi e radi, e una valigetta di pelle nera. Aveva un forte accento teutonico e parlava lentamente, scandendo le parole.
"Herr Barletta, è un piacere conoscerla di persona," aveva detto, sedendosi. "Ho portato l'oggetto del nostro interesse."
Aprì con lentezza calcolata la valigetta e ne estrasse una custodia di plastica trasparente. All'interno, protetta da una pellicola, giaceva la famosa scheda australiana. Aveva un colore leggermente diverso da quelle italiane, più tendente al beige, e mostrava l'Opera House di Sydney in un'illustrazione stilizzata.
"Posso?" chiese Carmelo, e Keller aveva annuito.
Carmelo prese la custodia tra le mani tremanti. Era la prima volta che vedeva dal vivo un esemplare simile. Aveva studiato quella scheda sulle riviste specializzate e sui cataloghi online, ma averla davanti rappresentava un'emozione diversa. Aveva aperto la custodia per toccare delicatamente la scheda con la punta delle dita.
"È autentica, vero?" chiese, più per scrupolo che per reale diffidenza.
"Naturalmente," rispose Keller con un sorriso. "Possiedo il certificato di autenticità, se desidera vederlo."
Ma Carmelo non ne aveva bisogno. Riconosceva un pezzo autentico quando lo vedeva. Estrasse dalla tasca interna della giacca una busta contenente i cinquemila euro in contanti e la passò a Keller sotto il tavolo, con discrezione. Keller controllò rapidamente il contenuto e annuì.
"Spero che aggiungerà questo pezzo a una collezione degna," disse Keller alzandosi. "È stato un piacere fare affari con lei."
L'uomo era uscito dal caffè, mentre Carmelo rimase seduto, con la preziosa scheda tra le mani. Si sentiva euforico. Aveva ordinato un caffè per festeggiare e aveva ammirato nuovamente la scheda. Era l'acquisto più importante della sua carriera di collezionista.
Tornato a casa, aveva deciso di non dire nulla ad Angelina. Nascose la scheda nel suo studio, in un cassetto chiuso a chiave. La sera stessa, dopo cena, si rintanò nel ripostiglio con la scusa di catalogare alcuni documenti. In realtà voleva ammirare nuovamente la sua nuova acquisizione.
Aveva aperto la custodia con cura, ma qualcosa non andava. La scheda appariva diversa. I colori erano più vivaci, la stampa più nitida. Si era avvicinato alla lampada per esaminarla meglio. Con orrore, si rese conto che si trattava di una copia, un falso ben fatto ma riconoscibile a un occhio esperto. Il colore della plastica non era quello originale e, guardando bene, si potevano notare piccolissime imprecisioni nella grafica.
Carmelo sentì il sangue gelarsi nelle vene. Era stato truffato. Cinquemila euro per un falso. Provò immediatamente a contattare Keller, ma l'indirizzo e-mail risultava inesistente, e il numero di telefono che gli aveva dato era già stato disconnesso. Il signor Magnus Keller era sparito nel nulla, insieme ai cinquemila euro che gli aveva consegnato quel pomeriggio.
Per giorni Carmelo fluttuò in uno stato di disperazione. Non poteva denunciare la truffa senza che Angelina venisse a sapere dei soldi spesi, e non poteva confidarsi con nessuno. I suoi amici collezionisti lo avrebbero deriso per essersi fatto ingannare così facilmente. Si sentiva umiliato e stupido.
Una sera, mentre Angelina guardava una fiction in salotto, Carmelo si chiuse nel ripostiglio-studiolo e aprì nuovamente la custodia con la scheda falsa. La fissò a lungo, con rabbia crescente. Poi, in un impeto di follia, la spezzò in due con le mani tremanti. Il rumore secco della plastica che si rompeva gli offrì un momentaneo sollievo.
Ma quel gesto non bastava a placare la sua rabbia. Aveva deciso di vendicarsi. Non di Keller, che era ormai irraggiungibile, ma del mondo dei collezionisti che lo aveva deluso. Aveva così iniziato a sua volta a creare dei falsi, utilizzando vecchie schede comuni che modificava con pazienza certosina, applicando nuove immagini, alterando i numeri seriali. Scoprì di avere un certo talento per la contraffazione.
All'inizio si disse che lo faceva solo per sé stesso, come una forma di rivincita personale. Poi però prese a vendere online gli esemplari che creava, a collezionisti inesperti di tutta Europa. Non chiedeva cifre esorbitanti, solo quanto bastava per finanziare la sua collezione. Con i soldi guadagnati riusciva a comprare nuove schede autentiche, e i suoi raccoglitori aumentavano più rapidamente che mai.
Angelina non si era accorta di nulla. Per lei, Carmelo era sempre "il suo telefonino", l'impiegato statale con la passione innocua per le schede telefoniche. Non sapeva che nel loro appartamento, nello studiolo dove lui trascorreva tante ore, era praticamente installato un piccolo laboratorio dedito alla falsificazione.
Inoltre Carmelo avvertiva un certo piacere perverso nel sapere che le sue finte schede telefoniche circolavano per tutta Europa, ingannando altri collezionisti come era accaduto a lui non molto tempo prima. Certamente rimaneva un impiegato statale che si occupava di archivi, ma ora aveva trovato un altro scopo nella vita. Non era più solo un collezionista, era diventato un creatore.
Un giorno però ricevette una strana e-mail. Era firmata M.K. e conteneva solo una frase: "Belle le sue riproduzioni, signor Barletta. Quasi quanto le mie."
Carmelo sentì un brivido lungo la schiena. Cancellò immediatamente il messaggio, ma quella notte non riuscì a dormire, e neanche in quelle successive. Si chiedeva se Keller lo stesse osservando, se avrebbe mai provato a smascherarlo, a ricattarlo, a sbugiardarlo. Da allora, ogni volta che partecipava a un convegno di collezionisti, si guardava intorno con sospetto, temendo di vedere l'alta figura dell'uomo tra la folla. Ma non lo rivide mai.
Intanto la sua collezione continuava a crescere, un misto di schede autentiche e falsificazioni, alcune sue, altre di sconosciuti falsari come lui. A volte, riordinando gli album, non riusciva più a distinguere quali fossero quelle vere e quali quelle false. E in qualche modo questo lo faceva sorridere.