Il dottor Thelonius Pacione era un uomo dedito agli studi più eccentrici e bizzarri. Nella sua modesta dimora nei sobborghi di Campobasso, circondato da volumi polverosi e strumenti dall'oscura finalità, conduceva esperimenti che avrebbero probabilmente sconcertato anche le menti più aperte.
Un giorno, mentre armeggiava con un antico microscopio a luce radente, il dottore fece una scoperta straordinaria. Osservando infatti un campione di sabbia prelevato dal fondo di uno stagno, notò come i minuscoli granelli non fossero affatto omogenei e casuali, ma sembravano disporsi in forme definite non appena la luce li colpiva con un determinato angolo.
Thelonius sobbalzò e, trattenendo il respiro per l'emozione, seguitò con cautela la sua indagine, per scoprire che le forme che si stagliavano davanti ai suoi occhi non erano semplici geometrie, ma frammenti di esseri viventi. Notò da una parte quella che gli pareva proprio una frazione di insetto, da un'altra una punta di becca d'uccello, e così via.
Comprese allora che ciò che aveva di fronte non erano banali granelli di sabbia, ma - ne era certo - residui di vite passate, cristallizzati nei secoli ma presumibilmente ancora vibranti di un sottile alone vitale. Del resto, cosa sono i fossili se non questo?
Con rinnovato ardore, il dottore si dedicò a collezionare e studiare questi reperti microscopici ovunque potesse trovarli - nelle pieghe dei tappeti, negli angoli bui delle cantine, nelle muffe degli alberi, persino nei solchi polverosi degli antichi libri.
Ben presto la sua casa divenne un vero e proprio museo, e attraverso i vetrini del microscopio Thelonius ammirava quella che gli appariva come una galleria di esseri dimenticati: minuscole fattezze animali alternate a strani ibridi di piante, a volte persino mostruosi agglomerati di forme innaturali. Ogni sabbia, ogni polvere, ogni formazione all'apparenza inanimata gli pareva invece celare un intero mondo di reperti in miniatura.
Il dottore trascorreva le sue giornate chino sul microscopio, cercando di dare un senso a quella bizzarra collezione. Talvolta, fissando a lungo certe forme, avvertiva una strana eco di vitalità pulsare in quelle reliquie pietrificate, quasi potesse udire i frammenti di esistenze remote che ancora vi alenavano dentro.
In un vecchio tomo di alchimia il dottor Pacione scoprì un antico rituale capace, si diceva, di risvegliare la scintilla vitale sopita nelle cose inanimate. Dopo lunghe settimane di preparazione, quando la luna fu piena, l'uomo dispose con cura i suoi reperti su un'ampia lastra di cristallo e iniziò a intonare gli arcani versi. Le sue parole sembravano quasi fondersi con le ombre della notte che si addensavano oltre le finestre.
All'improvviso, un brulichio impercettibile cominciò ad agitare quelle particelle immobili. Thelonius rimase impietrito mentre minuscole forme guizzavano e si contorcevano davanti ai suoi occhi, quasi a voler riacquistare una vita che gli era stata sottratta dalla notte dei tempi.
Il dottore non seppe dire per quanto quell'incredibile metamorfosi si protrasse, eppure quando infine lo stupore lo abbandonò, si accorse che ogni pezzetto aveva ripreso la sua immobilità cristallina.
Nonostante tutto però il dottore avrebbe potuto giurare che quel breve guizzo di soffio vitale non gli era parso un'illusione. Anzi, più osservava ora i suoi reperti, più gli sembrava di scorgervi un tenue alone di vitalità, come se quelle esistenze interrotte avessero davvero assaporato per un istante l'ebbrezza di una nuova speranza di rinascita.
Da allora, l'uomo dedicò i suoi giorni e le sue notti a sedute sempre più prolungate, cercando di penetrare il mistero di quella energia residua che sembrava aleggiare sulle sue collezioni. Disertò presto le lezioni all'università, accumulando una stravagante accozzaglia di polveri e frammenti che seguitava a disporre sui vetrini. Nel chiuso del suo studio, a lume di candele sempre più corte, proseguiva le sue litanie arcane, ossessionato dal desiderio di rendere nuovamente compiuta quella galleria di storie spezzate dal tempo.
Quando infine i vicini fecero irruzione, dopo settimane di sospetto silenzio e inquietante fetore, si dice che trovarono il dottore riverso sul pavimento in un groviglio di polvere e schegge di cristallo. Sulle lastre davanti a lui, un intrico di forme indefinite pareva pietrificato per l'eternità.