Contro-schermo
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Contro-schermo

 

«Ci hai mai pensato?»

Mario non rispose, era impegnato a riporre la busta dei biscotti su in alto all’ultimo ripiano.

«Fra non molto, cinque o sei anni al massimo, avremo almeno sette o otto fotocamere qui dietro» seduto spaparanzato, Franco giocherellava con la custodia antiurto del telefono. La scalzava appena, le gambe allungate sotto il tavolo.

«E allora?» se ne uscì Mario scendendo dalla sedia, facendo bene attenzione a dove mettere i piedi, «Non ci vedo nulla di strano.»

«Nemmeno io, per come vanno le cose. Qualche anno fa sarebbe stato un lusso possederne anche solo due, di fotocamere, mentre ora siamo già a quattro, o sei non ricordo, ma non è questo il punto…»

«Otto, dieci: il passo è breve, praticamente saranno già in commercio.»

«Tombola» esclamò Franco, e colpì lo spigolo del tavolo col telefono, a martelletto.

«Se ci staranno, sulla scocca… E smettila su, mi rovini il tavolo. Ma poi perché sempre a due a due, in coppia?»

«Cosa? Macché, dai! Semmai, se sarà capitato, è per compensare l’ottica!»

«Nuova regola.»

«Non perdiamoci in chiacchiere. Piuttosto: riempiremo o meno il didietro dei telefoni?»

Mario trascurò la domanda e lasciò la cucina, per poi rientrare subito dopo con un secchio per lavare a terra. «Che palle» si lamentò, «su questo fronte ancora tutto tace: pura manodopera umana, poca intelligenza artificiale proprio, un’autentica fregatura».

«Tutto tace, ma anche tu non scherzi! D’accordo, fai il vago, te lo concedo. Ma davanti, sul davanti dei telefoni invece che hai da dire?» tra l’ironico e l’inquisitorio ostentava il proprio, indicandolo con un dito.

Mario sistemò il secchio all’ingresso della cucina, ma anziché mettersi all’opera mise da parte lo scopettone. «Sai, mi hai fatto venire in mente una cosa proprio adesso. L’altro giorno ero in banca, non ricordo di preciso quando ma dovevo parlare con il consulente e c’era uno già seduto in ufficio prima di me, d’accordo? Be’, il consulente parlava fitto fitto ma non si sentiva niente da fuori, finché a un certo punto ha alzato la voce e ha chiesto al cliente: “Lei vuole davvero abbassare la rata del mutuo?” perciò mi sono sporto e ho guardato meglio anch’io nel suo ufficio. Il cliente annuiva, e intanto lo seguiva con ansia. Allora il consulente che fa? afferra il telefono dal tavolo, scatta in piedi e lo scaglia con tutto se stesso contro una parete. Con tutto se stesso, capisci?» Mario riuscì a malapena a concludere il racconto, perché scoppiò a ridere. Si piegò in due, tenendosi la pancia con le mani. «Scusa, scusa non volevo interromperti ma poi mi dimenticavo».

«E…?» domandò Franco, con lieve sarcasmo, «È sceso Mario Draghi da un’astronave aliena, e dopo i saluti di rito ha presieduto un seminario sull’attuale rapporto tra debito e tasso di inflazione?» ma Mario non raccolse la provocazione, lo divertiva la scena della banca che chissà a quale dettaglio reale si riferiva.

Tornò a concentrarsi mentre dava lo straccio in un angolo.

«Dunque, dicevamo: perfino sul davanti dei telefoni io, carissimo, non mi pronuncio. Però, però è pur vero che lì c’è da vedersela con lo schermo, ed è una sfida tra titani se ci pensi.»

Ora Franco lo guardava con più diffidenza, ma senza capire. Sempre seduto, proteggeva il telefono tra le mani, in un guscio.

«Alzi i piedi lei, grazie. Insomma, mi chiedo: arriveranno o no a contendersi gli spazi? schermo e contro-schermo, voglio dire…»

«Perché contro-schermo?» proruppe Franco. «E per fortuna che non prendevi posizione…».

«Ragiona – e basta fare il pedante: la fotocamera serve allo schermo e non viceversa, ok? cheese: e sei in diretta!» ridacchiò sommessamente. «Ormai non ha proprio più alcuna ragione all’infuori dello schermo: la fotocamera confeziona un pacchetto in modo tale che il pacchetto dia da lavorare allo schermo, stop, lo nutra».

Franco aggrottò le sopracciglia, si sentì sul bordo di un corto circuito logico.

«Certo, è anche possibile che schermo e contro-schermo siano già in lotta tra loro» stabilì Mario, strizzando lo straccio nella cassetta. «Per cui, non si può escludere che sia già in atto una contesa, un tiro alla fune debitamente tenuto sotto il tappeto…».

Lì Franco lasciò il suo telefono sul tavolo, e afferrò quello di Mario. Che lo ammonì subito: «Ehi!» si sentì dire, «Che intenzioni abbiamo? Almeno io non ho ancora impegni con le banche, chiaro?» ma Franco non rise, si limitò a sollevare la testa e guardare Mario che si dirigeva nell’altra stanza.

«Che matti che siamo» commentò serio serio.

«Ho sentito bene?» gridò Mario dall’altra parte della parete. «Se parli di matti, qui il primo sono io che mi sono messo a dare lo straccio con questo caldo!»

«Tra un po’» parlò più forte, «tra un po’ se va avanti la storia delle fotocamere, non potremo neanche più tenerlo in mano ‘sto coso. Come dedicarci a una ripresa? …dubbi amletici. Dedicarci: ho appena ucciso una parola, che era così bella e incolpevole… ma forse, forse è già uscito qualcosa in proposito».

«Sarà interessante assistere a come proveranno a venderci qualcosa che non potrà più stare in una mano… Ora che ci penso, a proposito di mano, a me il telefono è sempre sembrato molto simile a… sai cosa? Una selce, cioè qualcosa che richiami molto da vicino i primi utensili per la scheggiatura.»

«Eh, non male, non male davvero. Molto primitivo, ed efficace… o è meglio dire efficiente in questi casi?»

«È un oggetto multiuso diremmo oggi, punto. E anche all’epoca serviva a fare cose diverse. In ogni caso mediava l’azione sull’esterno, proprio come adesso.»

Franco si prese del tempo per ragionare. Teneva il telefono di Mario all’altezza degli occhi, per scrutare alcuni possibili riflessi sullo schermo. «2001» sussurrò inclinando la testa, «…Kubrick».

«Forse…» intervenne Mario scansando col piede il secchio ormai nero, «…e ripeto: come vedi ci sono interi settori dell’attività umana completamente sottratti all’aiuto delle macchine, ma forse il bisogno di rappresentazione, la nevrosi della rappresentazione col passare del tempo potrebbe confliggere con la…»

«Essere o non essere?» mormorò Franco, sostenendo il telefono con un braccio piegato...

«…la memoria» sottolineò gravemente Mario, che non amava essere interrotto. «Paradossalmente – mi segui? – la fotocamera potrebbe entrare in conflitto con la memoria. Lo spazio fisico di archiviazione, dico, non ti sembra che stia già diventando obsoleto? È sempre più un limite, anche per questioni di mercato. Se una buona volta capissimo che è superflua…»

«Cosa, la memoria? Clic: basta il tic» trotterellò Franco con un filo di voce, mentre continuava a perdersi con lo sguardo sulla superficie dello schermo. «Chi ha più il tempo per sfogliare un album fotografico?».

«Eh, hai ragione. Ho passato certe serate da bambino con gli album dei nonni, a guardare i parenti… e tu? Mi piaceva studiare come si mettevano in posa, e poi i primi colori… Ho finito – per fortuna – non ce la facevo più… senti, giusto per concludere, così poi usciamo: a te non preoccupa un po’ questa cosa?»

«Preoccupa eccome» Franco si alzò dalla sedia e la riavvicinò al tavolo, era asciutto a terra, poteva muoversi.

«No, non mi hai capito» disse Mario fermandosi sulla soglia della cucina, di fatto bloccando quella piccola carovana che formavano. «Dico, ‘sta cosa che abbiamo parlato in coro io e te da un certo punto in avanti, non avendo il minimo dubbio o la più piccola divergenza di opinioni».

Franco lo guardò come se si aspettasse quel genere di analisi, erano praticamente faccia a faccia. Mario offriva giusto un po’ i tre quarti, perché era davanti.

«Ho fatto una stima» fu la sua risposta.

«Che tipo di stima?» domandò Mario.

«I miei genitori scattavano foto cinque giorni all’anno, Carnevale la Befana e i compleanni compresi. Forse un rullino alla volta, una media di mezza foto al giorno. Tu?»

Ci fu qualche secondo di silenzio. I due si guardarono, dritti sulla soglia della porta.

 

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