Breve storia di una lampada
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Breve storia di una lampada

 

La lampada sul comodino destro del letto matrimoniale sa molte cose che non dovrebbe sapere. Non è stata progettata per accumulare conoscenza, ma solo per illuminare una porzione limitata della stanza nelle ore in cui il sole non è disponibile o non è gradito. Questa lampada ha un paralume color crema, leggermente ingiallito agli orli, con una piega quasi impercettibile sul lato orientato verso la finestra – conseguenza di un trasloco avvenuto sei anni prima, quando una mano distratta l'aveva stretta con eccessiva decisione. Il suo piedistallo è di ottone brunito, con una patina opaca che suggerisce una storia più lunga di quella che ha effettivamente vissuto. La lampadina al suo interno è stata cambiata quattordici volte, l'ultima delle quali tre mesi fa, quando la giovane donna del letto – così la lampada la definisce nei suoi pensieri – ha deciso che una luce più calda avrebbe giovato alla lettura serale.

La lampada osserva, immobile, come si conviene alla sua natura. Osserva i due corpi che occupano il letto, talvolta vicini, talvolta separati da uno spazio che sembra molto più ampio della sua reale misura. Osserva il cuscino destro, che conserva l'impronta di una testa che si volta e si rivolta, alla ricerca di una posizione impossibile. Osserva la parete davanti a sé, che di giorno è di un bianco neutro, e che nelle ore della sua veglia assume sfumature variabili a seconda dell'intensità con cui il suo interruttore viene ruotato.

Sa di essere stata accesa e spenta duemilaottocentoquarantasette volte dalla sua collocazione sul comodino. Sa che la mano che la accende è quasi sempre la stessa, una mano femminile con un anello all'anulare che riflette la luce in modi sempre diversi. Sa che, nei primi anni, la luce rimaneva accesa più a lungo, talvolta per ore, e che durante questo tempo si parlava, si rideva, si discuteva, si faceva sesso. Sa che, col passare del tempo, la durata dell'illuminazione si è ridotta, fino a diventare una breve parentesi tra il momento del congedo serale e l'effettivo sopraggiungere del sonno.

Questa lampada ha ascoltato conversazioni che dovevano rimanere private. Non per sua volontà, naturalmente – non ha alcun interesse nelle faccende umane – ma per la sua inevitabile presenza. Ha ascoltato progetti, sogni, confessioni, recriminazioni. Ha illuminato pagine di libri, lettere, fotografie, documenti che non avrebbe dovuto vedere. Ha osservato lacrime asciugate furtivamente, sorrisi non condivisi, mani che nel sonno si cercano ma non si trovano.

Una sera di tre anni fa la lampada è stata testimone di una conversazione diversa dalle altre. Il giovane uomo del letto – così la lampada lo definiva, per simmetria – ha parlato di una decisione presa, di un cambiamento necessario, di una nuova vita che attendeva altrove. La giovane donna del letto ha pianto, ma in un modo contenuto, controllato, come se avesse già intuito, già compreso. Quella sera la lampada rimase accesa tutta la notte, illuminando una veglia silenziosamente disperata. Il mattino seguente, il giovane uomo del letto ha preparato una valigia e ha lasciato la stanza. La lampada notò che aveva dimenticato un libro sul comodino sinistro. Il libro è rimasto lì per settimane, immobile quanto lei, finché un giorno la giovane donna del letto non l'ha preso e riposto in uno scatolone che in seguito fu portato via.

Per alcuni mesi la lampada aveva illuminato una sola metà del letto. Il cuscino sinistro era rimasto gonfio, intatto, come in attesa. La lampada sapeva che l'attesa era vana, ma non aveva modo di comunicarlo. D'altronde, non era affar suo. Il suo compito era illuminare, non consolare.

Poi, gradualmente, qualcosa è cambiato. La giovane donna del letto ha iniziato a occupare entrambi i lati, a volte dormendo al centro, altre volte sul lato sinistro, come se cercasse di abituarsi a nuove prospettive. La lampada ha osservato questo lento spostamento con la stessa attenzione impassibile con cui osserva ogni cosa.

Una sera la lampada fu spettatrice dell'arrivo di una nuova persona nella stanza. Non il giovane uomo del letto che conosceva bene, ma qualcun altro, con una voce diversa, con mani diverse che toccarono l'interruttore con una cautela che tradiva estraneità. La lampada fu accesa e spenta in modo inconsueto quella notte, con ritmi che non conosceva. Al mattino, quando la luce del sole rese superflua la sua presenza, la lampada  constatò che il letto era occupato da due corpi, ma non erano i due corpi che conosceva, non nelle loro somma almeno. Uno era la giovane donna del letto, l'altro un estraneo. La lampada non ha formulato giudizi – non è nella sua natura – ma ha registrato la novità con la precisione meticolosa che la caratterizza.

L'estraneo è tornato altre volte, ma mai con regolarità, mai con la prevedibilità del giovane uomo del letto. Talvolta rimaneva per l'intera notte, altre volte solo per poche ore. La lampada ha notato che la sua presenza corrispondeva a un utilizzo diverso della luce: più breve, più intensa, come se l'illuminazione fosse un preambolo necessario ma non centrale.

Un giorno, la lampada è stata spostata. La giovane donna del letto l'ha sollevata con cura, ha staccato la spina, l'ha avvolta in carta da giornale e l'ha deposta in una scatola. Per un tempo indefinibile – la lampada non ha modo di misurare il tempo quando non è in funzione – è rimasta nell'oscurità più completa. Quando è stata estratta dalla scatola, si trovava in una stanza diversa, più piccola, con pareti di un colore che la lampada non sapeva definire. È stata collocata su un comodino – un piccolo e unico comodino – accanto a un letto singolo.

In questa nuova collocazione la lampada ha ripreso la sua funzione. Illumina una porzione più limitata di mondo, ma con la stessa costanza, la stessa affidabilità. La mano che ora la aziona è sempre la stessa, la mano della giovane donna del letto, anche se adesso è un letto diverso. La lampada ha notato che la lettura serale si è allungata. Talvolta la luce rimane accesa fino a ore molto tarde, illuminando pagine di libri che un tempo sarebbero rimasti chiusi sul comodino.

Questa lampada non sa – né le interessa sapere – se la sua nuova collocazione sia migliore o peggiore della precedente. Sa solo che il suo compito non è cambiato: illuminare quando richiesto, rimanere in attesa quando non lo è. Eppure, se un osservatore attento esaminasse con cura il riflesso della sua luce sulla parete, noterebbe una qualità diversa, come se la lampada avesse trovato, nella sua nuova solitudine condivisa, una radianza che prima le era estranea.

In certe notti particolarmente silenziose, quando la giovane donna del letto si addormenta dimenticando di spegnerla, la lampada rimane accesa più a lungo del necessario, illuminando la stanza vuota. Non lo fa per negligenza o per ribellione – concetti che le sono estranei – ma perché ha imparato, nel corso della sua esistenza di osservatrice immobile, che la luce ha un valore intrinseco, al di là della sua utilità immediata. La luce esiste perché esiste l'oscurità, e viceversa, in un equilibrio che la lampada comprende meglio di chiunque altro. 

 

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