#1 - Giocare con il niente e farne di tutto
Tutto crollava da anni, da decenni: le forme, e il loro significato, venivano consumate dal formalismo; e la vita si riduceva ogni giorno di più a una mera pratica automatica gestita da regole aziendali e teodicee moraliste: la più ottusa e letterale applicazione del concetto di utopia realizzava l’irrealtà, la smaterializzazione gnostica del mondo; tutto, tutto crollava da anni, da decenni, che pareva crollare da sempre, e, poi, ci fu un attimo di silenzio, e, dopo il silenzio, ora, tutto crolla ancora di più.
Ma, io la vedo così: noi siamo rimasti fermi, guardando, con occhi non velati dalla paura, il mondo, seduti sulle rive dell’orizzonte. Noi siamo in una terra di nessuno, dove possiamo giocare con il niente e farne di tutto: si alzano palazzi, a quanto vedo, e templi ben ornati, e le basiliche per i consigli pubblici, e le accademie e le scuole. Gli uomini e le donne, bellissimi, si riuniscono nelle piazze, dove viene raccontata giorno e notte una storia: è la storia del mondo: la storia delle storie del mondo.
#2 – Quando le cose iniziarono a precipitare
Sembrava una giornata come tutte le altre, avevo un vago appuntamento di lavoro a colazione ed era andato anche bene all'apparenza – un vago appuntamento di lavoro è una cosa dove si parla di progetti futuri che potrebbero realizzarsi come potrebbero non realizzarsi ma nessuno lo sa mai e nessuno sa se qualcuno verrà davvero pagato però intanto ci si ragiona e male che va sono una buona scusa per scavallare un altro giorno. Ma uscendo dal bar io e il mio appuntamento di lavoro avevamo intravisto per terra una banconota da cinquanta euro e, dopo una discussione che definire in punta di diritto sarebbe eufemismo, optammo per strapparla in due tenendone metà ciascuno, rimandando a un secondo momento la decisione finale sul da farsi. Quindi quella che era partita come una mattina anonima si distingueva adesso in positivo per almeno venticinque euro potenziali, quando le cose iniziarono a precipitare davvero in fretta. Ripensai a quei vecchi film americani dove mostravano le esercitazioni nelle scuole in caso di allarme atomico, con gli studenti che dovevano nascondersi sotto i banchi come se potesse servire a qualcosa – in ogni caso ora non c'erano banchi sotto i quali nascondersi, ma per quel che contava nemmeno scuole, studenti, allarmi, esercitazioni, bombe atomiche. In compenso in casa i buchi sul pavimento si allargavano a vista d'occhio, al pomeriggio c'era una mattonella spostata e a sera la voragine si era ampliata così tanto da inghiottire il tavolo con le sedie. Dissi a famiglia e conoscenti che avevo bisogno di allontanarmi, biascicando varie scuse qualunquiste che avevo trovato sul web su siti specifici che suggeriscono come giustificare l’assenza. Ogni tanto da lontano mi facevo sentire, sempre con banalità raccattate in giro, nei bar, sugli autobus, dentro i parcheggi interrati dei centri commerciali, e in risposta l'unica cosa che mi riferivano famiglia e conoscenti era che mi cercava questo tizio con mezza banconota in mano.
# 3 – Come maiali sulle strade del destino
Per anni ho sognato, così come mi sembra pure di aver descritto in un romanzo, di trovare un grosso quantitativo di cocaina. No, non era un sogno mutuato da una serie tv, era una coincidenza papabile, una cosa che sarebbe potuta accadere, più che vincere al lotto, più che laurearmi in Ingegneria. Insomma, era un sogno realistico. Quindi ne trovavo una grande busta piena, sotto la sabbia, in spiaggia o dentro una gomma esausta in pineta, che differenza fa? Per gli anni a seguire ero a cavallo.
Avevo anche un altro sogno, sempre afferente all'archetipo del "tesoro", dico archetipo perché chi sogna è narratore, e sognare è un po' come scrivere storie, dicevo, nell'altro sogno ottenevo tanti soldi con un colpo solo, vincendo dunque, non è importante definire dove e come, a quale lotteria, fatto sta che da un momento all'altro diventavo ricco e passavo il resto della mia vita ad arredare una casa in un paesetto sperduto. Ecco, questo sogno potrebbe sembrare più bello del primo, meno faticoso, meno rischioso, forse è per questo che potrebbe essere anche definito "il banalissimo sogno di ognuno", eppure il primo, oltre al fascino criminale che potrebbe esercitare su un quarantenne non ancora giunto all'età adulta, porta con sé tutte quelle componenti legate al potere che la sostanza esercita su di noi ma anche sugli altri. Insomma, sono sincero dicendo che tra i due preferivo il primo.
Infine, nell'archetipo "gloria" troviamo il terzo e ultimo sogno, sempre antecedente all'età adulta, sempre legato alle condizioni di zero fatica e massimo risultato. In questo, con un romanzo scritto senza sforzo, vincevo un grande premio letterario. Lo andavo a ritirare con la testa rasata e le maniere scortesi, tracannando il liquore sponsor davanti a tutti ma poi, con la cortesia di un amante, il mare negli occhi e il sale che mi scendeva sulle guance, dedicavo la vittoria alla mia periferia, quella che tutti conoscono solo per la testata data da uno zingaro a un giornalista.
Il sogno è già archetipo, è già narrazione, non serve scrivere il romanzo perfetto, tantomeno vincere un premio inventato da una famiglia aristocratica. No, qui il sogno è la narrazione di una vendetta adamitica, di un riscatto, del ritorno dal cattivo passato di una terra che i più hanno già crocifisso.
Con questi tre sogni mi sono presentato al domani ancora giovane e allegro. Ancora quarantenne. Poi è arrivato il buio: il caos, la solitudine e la noia, mi hanno quasi obbligato a pensare, a fermarmi per riflettere. Sbadatamente entravo nell'età adulta da solo, nella confusione di uno smarrimento globale in cui i miei sogni sembravano ancora più banali: in una temperie divisiva che li sfilacciava fino a farli scomparire del tutto.
Ho pensato ai carcerati che escono e d'un tratto si accorgono di essere vecchi, ai vecchi che si sentono come i carcerati quando capiscono che non c'è più tempo per inseguire sogni banali. Ho pensato alla mia periferia, sempre più desolata, sola. Ho pensato alle storie, ai sogni per i quali sono ormai troppo vecchio.
Mi sono chiesto se le persone adulte hanno sogni o se procedono come maiali sulle strade indicate dal destino.
#4 - Un singhiozzo durante il pasto dei lattanti
Forse il nodo della scarpa destra è troppo stretto. Ci sono sassi sulla pista e le radici si infilano da sotto come un singhiozzo durante il pasto dei lattanti. L’elastico in vita stringe e l’orologio si impunta sotto il polsino. Il fastidio di tutto sarebbe un alibi perfetto se non dovesse rivelare la paura di non trovare più fiato. La luce è forte e non ho gli occhiali da sole. Tornare indietro sarebbe la resa. Dalla curva viene trotterellando un vecchio. Ha un buon passo. Lo saluto con cortesia ma lo odio. Mi consola soltanto vedere che sulla fronte gli colano più rughe dell’ultima volta. Stabilisco il punto della partenza, appena più giù, al tronco di pino. Manca poco. Sempre meno. Forse meglio aspettare il prossimo albero. Dunque, è deciso: la sfida si sposta al tiglio. È cresciuto, sembra fare più ombra. Sei metri ancora per infilare la tentazione di lasciar perdere, poi, solo fatica. L’erba alta è arrivata a nascondere la panchina. Apro il diaframma per respiri profondi. Si sente di nuovo la puzza dalla tangenziale. Forse non dovrei correre qui. Anche la prudenza sarebbe un alibi perfetto se non avessi così bisogno di tornare a sudare. Il tiglio si è avvicinato: due metri. Uno solo. Inizio. Sono pesante. Espiro abbaiando catarro. Non so quanto durerò, intanto respiro, respiro più forte.
#5 - Avranno bruciato il vecchio accampamento
«Stanno tornando gli indiani»
«Cosa?»
«Sì, erano spariti, ma ora sono vicini»
«E dov’erano andati?»
«Lo sai tu?! Si può solo ipotizzare: avranno bruciato il vecchio accampamento e seguito i grandi branchi di bisonti oppure hanno speso molto tempo ad interrogare gli Yé’ii Bicheii, ma questo solo in caso siano dei Navajo»
«Interrogato chi?»
«I nonni divini, i Navajo non muovono foglia senza chiedergli consiglio. Il loro Hatalii, il loro sciamano, sviene per qualche tempo e quando si sveglia sbava ovunque e poi riferisce alla comunità il messaggio dei vecchietti. Oppure può darsi che per tutto questo tempo abbiano seguito il corvo!»
«L’Uccello?»
«Certo! Grande simbolo di trasformazione»
«Sai veramente un sacco di cose sugli indiani. Ma tornano per restare?»
«Valli a capire tu gli indiani! Anche quando attaccano non capisci da dove finché non ti trovi esangue.>>
«Ma poi tornano anche i Cowboy»
«I cowboy hanno già perso. Sono dei nichilisti sfigati. Hai presente i tizi con i giubbottini di pelle che se ne stanno dietro ai divani alle feste con il bicchierino in mano sperando di farsi guardare? Non sono timidi, ma stronzi! Il ragazzo mucca aspira solo a passare la vita a lucidarsi la propria stella di latta. La sua, se noti, è sempre quella più grossa; ti farebbero anche tenerezza se non li schifassi».
«Ma quando dovrebbero cominciare le riprese?»
«Se non smetti di farmi domande e non mi aiuti a smantellare questo set, a togliere gli arazzi e la finta cristalleria, mai! Tu te li immagini gli indiani a cavallo dentro il palazzo d’Inverno?».