Una carne fatta verbo per “dare voce a tutti i lamenti, a tutti i sospiri, gli aneliti, gli spasimi uditi in tutte le bolge dell’inferno sociale dove sono sceso, e che io raccolsi e rinchiusi nell’urna sacra del cuore”; l’arte intesa come parola degli ultimi. Così scriveva Umberto Postiglione in una lettera indirizzata alla sorella Norina che anticipava la sua missione in vista del rientro in Italia, la missione di mettere gli altri prima di se stesso, come aveva imparato a fare nelle Americhe, come aveva colto nel “Cristo del Vangelo”, il maestro dei maestri.
Postiglione, fuori da Raiano, sua terra natia, e fuori dalla Valle Peligna, forse dall’Abruzzo, lo conoscono in pochi, pochissimi. Di lui, più che delle esigue opere scritte tuttavia, resta l’opera immortale della vita che visse, i semi luminosi che lasciò e che, a cento anni dalla sua morte, ancora raccontano, chiarissimi, di un ragazzo straordinario capace incarnare l’idea folle, e semplice, dell’essere al mondo per il mondo, per il bene collettivo, per gli altri, per i più deboli, per i più piccoli.
Umberto fu, nella banalizzazione biografica, dirigente del movimento operario e anarchico negli Stati Uniti di inizio Novecento, giornalista e portavoce, poeta e autore di bozzetti di teatro sociale e d’avanguardia, e poi, al ritorno in Italia, educatore, pedagogista e maestro, come chiese, di prima elementare. Svolse l’incarico nella scuola di San Demetrio ne’ Vestini per appena sei mesi, dove piombò con la veemenza e l’umiltà dell’apostolo, prima che una polmonite lo strappasse alla vita ma non al ricordo. Enorme è infatti, in proporzione all’esiguità apparente della breve esistenza di questo figlio d’Abruzzo, la mole di studi e di ricerche biografiche accumulate in questo secolo, enormi sono l’impegno e la dedizione con cui la comunità di Raiano, e non solo, ha commemorato e sta commemorando il suo figlio più caro, più amato. Una commemorazione che celebra la vita, le gesta, i racconti passati di bocca in bocca, le testimonianze più che l’opera, come detto, che non ebbe modo e tempo di essere scritta compiutamente.
Restano di Umberto sei poesie dialettali, un bozzetto teatrale, gli innumerevoli articoli sui periodici anarchici americani come Cronaca Sovversiva, Germinal, The Alarm, le tante lettere scritte alla famiglia da Oltreoceano, il sussidiario di scuola elementare La terra d’Abruzzo e la sua gente che gli fu affidato ma che non riuscì a finire, e le riflessioni e i discorsi sul delicato ruolo del maestro, stesi in quel brevissimo lasso di tempo ch’ebbe di incarnare la missione che a trent’anni scoprì essere la più importante: formare, insegnare, non solo i bambini a scuola ma pure gli uomini, le donne, le classi sociali umili, i lavoratori per strada, in piazza, ovunque fosse necessario, in un’epoca in cui l’anarchismo non era una toppa sui blue jeans, il fascismo stava sempre più infestando l’Italia e la sua giovane società e la lotta di classe era missione cogente, sanguinante necessità.
Poi, nel marzo del 1924, il ritorno a San Demetrio ne’ Vestini da Barisciano, un breve cammino di sette chilometri nella neve, nella tormenta, la febbre, la polmonite, gli ultimi giorni al letto, le ultime parole: «avrei voluto vivere ancora per avvicinarmi sempre di più al Cristo del Vangelo»; non al Vangelo di Cristo, dove sono presenti gli echi della teologia di Rabindranath Tagore e del cristianesimo di Lev Tolstoj, suoi punti di riferimento. E una commozione che dilagò dal cuore d’Abruzzo al cuore più proletario degli Stati Uniti, confluita in decine e decine di attestazioni di stima scritte e orali. E poi la fine che per Umberto fu solo l’inizio del percorso di comprensione che si deve a certi esseri umani.
Per il centenario della scomparsa di Umberto Postiglione, la comunità di Raiano, guidata dall’associazione culturale La città del Sole, dall’amministrazione comunale e dalle altre associazioni locali, sta dedicando al maestro due mesi di commemorazione e di ricordo, iniziati a fine marzo e che si protrarranno fino alla settimana principale, l’ultima di aprile. Cerimonie, concorsi letterari, deposizioni di fiori nei luoghi del cuore di Umberto, passeggiate, convegni, concerti, la realizzazione di una serie di murales ispirati alle sue poesie e un trekking letterario sull’ultimo cammino, quello da Barisciano a San Demetrio, in programma il 1° maggio e che vede la partecipazione anche del sottoscritto e di TerraNullius come voci narranti.
E non solo, poiché Postiglione sarà una delle asce che dissotterreremo nella seconda edizione della Festa della Narrazioni Popolari curata da TerraNullius, in programma dal 22 al 25 agosto ad Civitaretenga (AQ).
Chiudiamo questo breve ricordo con un estratto dal sussidiario La terra d’Abruzzo e la sua gente, redatto da Umberto per le scuole elementari abruzzesi e pubblicato nel 1925, un anno dopo la sua morte.
L’Abruzzo nostro
Se tu potessi averlo dinanzi l'Abruzzo e abbracciarlo con uno sguardo solo, lo vedresti come un immenso anfiteatro aperto in faccia al mare, con i monti in fondo e per cupola il cielo.
Se tu avessi le ali e potessi volare, e andare più su delle montagne, in mezzo al cielo, e guardartelo dall'alto e girarlo per lungo e per largo, dalla montagna al mare: che meraviglia!
Come giganti stanchi, accovacciati, coricati per tutti i versi, stanno i nostri monti. E in mezzo, ritto, con la fronte al sole, il Gran Sasso, vigile e pensoso.
E fra monte e monte, sul dorso, sui fianchi, ai piedi di ognuno, gole strette fra rocce riarse e rossicce, che sembran le porte dell'inferno e ti aprono la via a conche e vallate che sono paradisi di verde e di frescura; piani solitari e nudi come deserti; valli ridenti, solcate da fiumi che sembran vene d'argento, tappezzate di campi d'ogni colore (e ogni campo è un quadretto incorniciato da filari di salici e di pioppi); e poggi e terrazze che son messe lì per far godere meglio la vista del mare, che da lontano fa l'occhietto e canta e culla le barche dalle vele variopinte e i sogni dei pescatori.
E addormentati in fondo alle valli, arrampicati su per i pendii, appollaiati in cima alle colline, casolari e ville, paesi e città. E aggrappati su aride rocce come nidi d'aquila, disseminati lungo le vallate come soldati in ordine sparso, torri e castelli. E fra i boschi, per i campi e per mare, nelle officine, nelle botteghe, nei casolari, una gente che lavora e non si stanca, che soffre e non si lagna. È questa la tua gente. È questa la tua terra, o fanciullo! Più imparerai a conoscerla, più sentirai d’amarla. Leggi dunque con animo aperto queste pagine che della tua terra ti indicano le bellezze, che della tua gente ti ricordano la lunga storia di sforzi e di lotte, di sventure e di glorie.