Insipido
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Insipido

 

1. Stefano

Che angoscia in questo posto, in questa casa: un luogo dove la pace viene sempre meno, dove non esiste neppure la libertà di posare lo sguardo anche su un semplice oggetto.

Io, mamma, mio fratello e mia sorella abbiamo sempre lo sguardo fisso al pavimento, ai nostri piedi incatenati dal terrore. La causa di tutto questo è mio padre: il bassotto, così lo chiamo. Anche se non è docile come un cane, anzi, ha due occhi azzurri come una iena che si nutre delle sue prede ancora vive.

Pur essendo basso, da quando ero piccolo mi dà sempre la stessa impressione: di essere di fronte a una montagna imponente che schiaccia le mie ambizioni, quel pizzico di felicità che mi capita di assaporare raramente, la libertà.

Ecco, comincia a urlare contro mamma. Povera donna, ha quarantasei anni ma ne dimostra sessanta: magrolina, esile, un viso scavato dal dolore, dalla violenza, gli occhi infossati, piccoli, privi di entusiasmo ma colmi di terrore.

Mi si stringe il cuore. Poverina, che ha fatto di male per meritare tutto questo? Mio padre guarda con occhi colmi di rabbia mia madre, le urla contro sparando saliva come proiettili, si alza dalla sedia e fa:

«Quante volte ti dico che devi mettere più sale nella pasta!»

Non ci credo! Sta maltrattando mamma per il sale.”

Prende il piatto di pasta e lo sbatte a terra, si fa in mille frantumi come la nostra libertà.

Mamma, come sempre, non risponde, si limita a chinare il capo, a piangere in silenzio.

Perché tanta ingiustizia? Perché questo mondo funziona così? Perché una buona persona capace di dare amore viene vista come indifesa, come una stupida, come una preda su cui caricare i propri istinti? Non è giusto.”

Il mio sguardo, quello di mio fratello Roberto e di mia sorella Sonia s’incrociano. Tremiamo di paura. Non abbiamo la forza di reagire, alcun appoggio, qualcuno che ci possa aiutare. Nulla.

Egoismo e omertà sono due facce della stessa medaglia”.

Sono colmo di rabbia e voglia di giustizia e il mio sguardo pungente cade su mio padre. Lui se ne accorge e con un sorriso sarcastico mi fa:

«Che hai da guardare? Devo cominciare pure con te! Finiscila di guardarmi!» Le sue urla sono insopportabili, una violenza anche uditiva. La testa inizia a farmi male.

Si alza dalla sedia peggio di un leone ringhioso e mentre si avventa contro di me passa vicino a mamma le tira la sedia da sotto. Mamma cade a terra e sbatte con la testa vicino all’angolo del tavolo, si mantiene la fronte piangendo in silenzio.

Come un orco me lo ritrovo vicino e i suoi occhi azzurri colmi di odio diventano freddi come il ghiaccio. Mi prende per il bavero e mi solleva dalla sedia:

«Questo è il rispetto che hai per tuo padre!»

«Non ho detto niente, cosa ho fatto?» Il mio respiro si fa sempre più profondo.

«Questo è il rispetto che hai per me? Quando non ti sentivi bene chi ti ha portato dal dottore?»

«Tu, papà.» In un attimo non capisco più niente, molla la presa dal mio petto e mi dà un ceffone con un’intensità tale da farmi sbattere a terra. Sono disteso sul pavimento, guardo in alto e ho l’impressione di essere davanti a un gigante cattivo. Mi sento impotente e indifeso.

Il rispetto, parla di rispetto questo mostro, ma non sa nemmeno cosa significhi.”

Mio fratello e mia sorella non reagiscono, sono come paralizzati dalla paura, tremanti con le bocche serrate e lo sguardo basso, con le lacrime che gocciolano dai loro visi.

Vorrei tanto che venisse qualcuno ad aiutarci, tutti sanno. Tutti!”

Mamma è distesa sul pavimento come me: dalla ferita, lungo la sua guancia scivolano gocce di sangue e lacrime, ha la mano insanguinata.

Non ne posso più di tutto questo.”

Sono scosso da questa immagine, dove la violenza lascia il segno sulla pelle, sulla carne, nel cuore; in tutto il mio corpo scorre la rabbia: sono fulminato da una forza che mi fa reagire in nome di giustizia e amore. Di scatto mi rialzo in piedi, sono più alto di lui; papà mi dà uno spintone, ma io non cado a terra e reagisco di conseguenza spingendolo. Il mostro barcolla, non si regge e cade a terra. Lo fisso con occhi di sfida e cercando di intimidirlo gli urlo contro:

«Ora basta, la devi smettere!» Mi avvicino a mamma per aiutarla e mia sorella e mio fratello, vista la mia reazione, si sentono pronti ad agire. Più forti.

Non c’è niente di più bello di essere uniti nell’amore, nel bene comune per combattere ogni male possibile creato dall’uomo stesso su questa Terra.”

Da un lato noi quattro che reggiamo mamma per farla sedere sul divano e dall’altro lui che si rialza da solo come un animale rabbioso pronto ad avventarsi contro di noi. Lascio che mia sorella e mio fratello aiutino mamma e faccio un passo avanti come un felino pronto all’attacco.

«Tutto questo deve finire!» Anche lui fa un passo avanti e comincia a minacciare:

«So io come sistemarvi. È ora che impariate l’educazione. Tu sei il peggio di tutti, mi vergogno di te.»

Pensi di offendermi, ma ti sbagli. Sono io che mi vergogno di te, mostro!”

Neanche il tempo di reagire e mi prende di nuovo per il petto. Mi sento come un mancamento, come se le mie membra fossero abbandonate a loro stesse. Non ho più il controllo del mio corpo.

«Quanto ho fatto per te! Un po’ di gratitudine. Non sai nemmeno cosa significa!» Molla la presa e cado a terra. Si gira verso mamma e fa con un tono di rimprovero misto alla rabbia e scaraventando all’aria la tavola apparecchiata:

«Non sei capace nemmeno di dare una buona educazione ai tuoi figli!» E, rivolgendosi a mia sorella e a mio fratello:

«Voi allontanatevi che non siete degni di essere miei figli.»

Rimangono fermi vicino a mamma, non si muovono. Papà prende il telecomando vicino alla tv e lo sbatte contro la testa di mio fratello.

Intervengo, anche se ho le gambe come paralizzate e il respiro che mi viene sempre meno. Con quel poco di voce soffocata che mi rimane in corpo urlo:

«Papà, per favore, smettila!»

Mamma è ancora stordita, mio fratello anche, e mia sorella agendo d’istinto gira dall’altro lato del tavolo evitando mio padre. Apre il frigo e prende il Ventolin, s’inginocchia e m’imbocca per spruzzarmi la medicina e singhiozzando fa:

«Stefano, inspira» continua a incitare:

«Dai, su, fratellone inspira più forte.» Per tre volte fa la stessa operazione e a voce bassa le sussurro:

«Vi voglio bene.» Mia sorella mentre mi accarezza i capelli mi dice:

«Non parlare, non sforzarti.»

 

2. Soli

Comincio a sentirmi meglio, il mio respiro si fa sempre più regolare e mio padre all’improvviso cambia totalmente, i lineamenti del suo viso assumono un’espressione simile alla compassione.

Senza un come e un perché, abbraccia mamma e mio fratello:

«Tutto quello che faccio è per il vostro bene.» Si avvicina e mi aiuta a rimettermi in piedi; lui mi sostiene per un braccio e mia sorella per un altro. Mi fanno sedere sul divano e mio padre mi dà un bacio sulla guancia: il silenzio regna in questa casa. Un silenzio da brividi.

Questa è manipolazione, crede che io non abbia capito. Con un bacio o un abbraccio pensa che sia tornato tutto normale. Ma le ferite, quelle che non si vedono, che ledono il cuore, non si rimarginano.”

Le gambe me le sento bloccate, rigide, ma pian piano passerà, non è la prima volta. E lui, come nulla fosse, dice:

«Angela, esco un attimo.»

Se ne va, finalmente siamo soli. Esce, sale in macchina e parte. Noi quattro ci accovacciamo e abbracciati stretti stretti ci guardiamo negli occhi aspettando che il rombo dell’auto si allontani sempre più.

Ci sentiamo liberi, finalmente.

Mio fratello fa un sospiro di sollievo:

«Finalmente è andato via.» Mia sorella va nel bagno e prende l’ovatta dal tiretto, ritorna vicino a noi e asciuga la ferita di mamma. Per fortuna non è una ferita profonda, ma mio fratello è un tipo premuroso: «Mamma, andiamo dal dottore». E si butta fra le sue braccia.

«No, sto meglio. Passerà anche questa.» E non capisco per quale motivo mamma aggiunge:

«Lui fa così, ma è buono. Aveva ragione, la pasta era insipida.» Io con le gambe indolenzite le rispondo:

«Mamma, questi non sono modi, questa è violenza gratuita.»

Nel frattempo mia sorella butta l’ovatta macchiata di sangue nel secchio dell’immondizia e rassetta tutto il disastro causato da mio padre, poi si gira verso di noi:

«Stefano, è inutile che discutiamo, l’importante è che noi siamo uniti.» Si gira verso mio fratello e aggiunge:

«Roberto, tu devi essere più reattivo, devi reagire. Tutti dobbiamo reagire.»

«Sonia, come devo reagire, cosa devo fare? Dobbiamo avere pazienza, può darsi che col tempo cambi. Hai visto, alla fine se ne è dispiaciuto.»

Intervengo. «Roberto, papà fa sempre così. Prima ci tratta male e poi fa la parte di quello che ha un cuore. È solo una sua recita.»

Interviene mamma. «Stefano non parlare così, lui ci vuole bene.»

Mia sorella si adira ancora di più. «Mamma, ma che dici! Apri gli occhi, lui non ci vuole bene!»

«Sonia non dire questo, lui lavora per noi, fa sacrifici per noi, vi ha cresciuti. È vostro padre.»

Arriva, è già tornato. Scende dalla macchina, entra in casa e noi siamo seduti tutti e quattro sul divano. Si gira verso di me e fa:

«Ti senti meglio, ti fanno male le gambe?»

«No, mi sento meglio.»

Poi si gira verso mamma. «Ti fa male la testa?»

Mamma sorride. «Sto bene.»

A mio fratello e mia sorella non fa alcuna domanda, si siede vicino al tavolo e ci rivolge le spalle guardando la tv come se nulla di particolare fosse accaduto. Come se non ci fosse stata alcuna discussione, alcun affronto, alcuna violenza.

Noi quattro ritorniamo nel silenzio con lui che decide e vigila su ogni nostro movimento, sul pensiero e sulla libertà di parola.

Nessuno al mondo ha il diritto di controllare, di violare quella parte intima e segreta di ognuno di noi. Bisogna lottare per Amore, combattere senza ledere il prossimo, in virtù di quel piccolo, quanto minuscolo angoletto d’animo buono che pulsa nel cuore dell’umanità.”

 

3. La porta

«E no, è il momento di agire diversamente per amore di una madre, di un fratello e di una sorella: per amore del prossimo. Adesso basta! Non può comportarsi sempre allo stesso modo; agire sulle nostre vite come cazzo gli pare, non possiamo essere vittime della sua mente contorta. Non è la prima volta che fa così, ora basta! Vado fuori!»

Tutta l’adrenalina che ho in corpo mi fa scattare come una molla, apro la porta ed esco; davanti alla porta del garage, per terra, c’è un martello manicato da un kilo. Mi avvicino, lo impugno e mi avvento contro la sua macchina, una Fiat Punto grande. Rompo a suon di martellate il parabrezza, come un dannato.

«Brutto schifoso, bastardo ti rompo tutta la macchina!»

Sbavo come un cane rabbioso.

Sono completamente fuori controllo.

Faccio saltare i retrovisori, sfondo i finestrini e mentre sto per dare martellate sul cofano lui esce.

«Che cazzo fai? Questo vorresti fare a me, vero? Prendermi a martellate?! No, no, tu non hai le palle per farlo! Sei una femminuccia psicopatica!»

Al solo sentire il rude tono della sua voce, mi sale dai piedi sino alla punta dei capelli un’immensa rabbia. Ringhio come un cane, stridendo con i denti, le vene del collo mi pulsano a un ritmo sfrenato, le sento battere talmente forte che è come se stessero per esplodere.

Non devo ascoltarlo, non devo! Altrimenti vado contro ogni morale insegnatami da mamma. Sono contro la violenza. Non devo.”

Gli lancio uno sguardo pieno di odio e, senza pronunciare alcuna parola, mi avvento con il martello contro il cofano.

«Quando hai finito, non mettere più piede dentro la mia casa. Tu sei pazzo!» Lo dice, improvvisamente, con un tono di voce talmente pacato da farmi paura.

Non m’importa, continuo.”

Continuo a distruggergli la macchina.

«Adesso chiamo i carabinieri» fa lui. «Solo così capirai come funziona nella vita.»

Continuo a martellare, do sfogo a tutta la rabbia che ho in corpo da quando ero bambino.

Lui prende il telefono e digita un numero.

Non ci posso credere, il bassotto che chiama i carabinieri. Assurdo!”

Intanto, mamma, mio fratello e mia sorella non hanno il coraggio di uscire. Hanno troppa paura.

«Stanno arrivando.» Lo dice in un modo tale da farmi riprovare un senso di angoscia: il senso di colpa. Lascio scivolare il martello tra le mani, cade a terra.

Lui, mi gira le spalle e mi chiude la porta in faccia, sbattendola.

Rimango fuori, solo, davanti alla porta di casa e, mentre rimugino, penso a come mi sia fatto prendere da una pulsione incontrollabile.

«Non permettetevi a parlare, altrimenti so’ guai per voi» mormora lui, rivolgendosi a mamma, Roberto e Sonia. Sento mia madre piangere e mi sale di nuovo la rabbia.

«Ancora che minacci, bastardo!» E nell’istante in cui comincio a dare calci alla porta, arrivano i carabinieri. In due.

Mi guardano da dietro il finestrino della gazzella come fossi un malfattore.

Scendono e uno di loro, sicuramente il maresciallo, mi dice:

«Si allontani dalla porta! Mi favorisca i documenti!» Si avvicina e allunga la mano, estraggo dal portafoglio la carta d’identità e gliela porgo.

«Stefano Perri, è stato lei a fare questo?» mi chiede mentre mi riconsegna il documento.

Chino il capo per la vergogna e con voce sommessa rispondo:

«Sì, sono stato io.»

«Alzi la voce! È stato lei?»

Alzo lo sguardo e lo fisso negli occhi, rammaricato. «Sì, sono stato io!»

Intanto, dietro la porta sento gli scatti della serratura. Si apre la porta ed è lui con un sorriso da farmi rabbrividire.

Come fa a essere così subdolo, ingannevole, falso? Come?”

«Buongiorno, non volevo arrivare a questo punto, ma non ne posso più di mio figlio. Va di matto. Guardate che ha combinato alla macchina.»

Il maresciallo e il collega rispondono all’unisono:

«Buongiorno».

«Stia tranquillo risolveremo tutto» dice il maresciallo. Poi si gira verso di me. «Guardi me, non suo padre! Sa che lei è tenuto a rispondere a ogni mia domanda? Sa, in caso contrario, a cosa va incontro? Perché ha ridotto la macchina in queste condizioni?»

Mio padre s’intromette: «Perché è pazzo!».

«Non le permetto, verso suo figlio, di usare questi termini» lo redarguisce il maresciallo. «In casa sta solo lei?»

Lui gira lo sguardo in basso a destra. «C’è mia moglie, solo che non si sente bene. Ha la febbre e sta sul letto che riposa!»

«Non è vero, mamma non ha la febbre. Ci sono anche mio fratello e mia sorella.» Ed aggiungo, fissando diritto negli occhi il soggetto: «Perché hai litigato con mamma?».

Non mi risponde.

Mi giro verso il maresciallo per cercare di spiegare la faccenda: «Maresciallo, le spiego il motivo. Per il sale! Solo perché la pasta era insipida. Per un pizzico di sale in meno è successo tutto questo». Fermandomi a osservare la macchina distrutta da me, aggiungo:

«Non ne posso più di lui. Ci maltratta per niente.»

Il bassotto rimane in silenzio, ma un ghigno sul suo viso si fa sempre più evidente. Al punto che il maresciallo si accorge che qualcosa non torna. «Capisco!» E aggiunge: «Posso entrare?».

Il maresciallo con il carabiniere dietro avanza verso l’entrata della casa. Mi accorgo subito che lui non vuole, infatti si mette come una guardia svizzera sulla soglia.

«Voi non potete entrare dentro casa mia.»

Il maresciallo indietreggia e il bassotto punta il dito verso di me. «Neanche lui deve entrare, finché sarò vivo non metterà mai più piede in questa casa.»

Il maresciallo non insiste. «Lei ha ragione.» Si gira verso di me e con un tono di voce autoritario m’impone:

«Lei, venga con me, dovrà rendere conto di quello che ha fatto!»

Il carabiniere sale nella gazzella, mette in moto e intanto, mentre vado verso la loro auto, il maresciallo dietro di me mi poggia la mano sulla spalla; apre la portiera dietro e mi fa salire poggiandomi l’altra mano sulla testa.

Mi sento come un condannato.”

Il maresciallo apre la portiera davanti, al lato passeggero, e sale anche lui.

Mentre mi portano via, mi giro verso il parabrezza posteriore e incrocio il suo sguardo attraversato da una soddisfazione malefica. Mi fa l’occhiolino con in faccia stampato un sorriso grondante sarcasmo; si porta la mano al collo e fa un gesto strano, si dà una leggera stretta, stringendo di poco la mano. Come se volesse dirmi che vuole fare del male a mamma, Roberto e Sonia.

I carabinieri non si sono accorti del suo gesto.

Non so che fare! Devo far presente al maresciallo il gesto di quella belva. Sicuramente non mi crederanno. Come posso fare?”

«Giri a sinistra!» fa il maresciallo rivolto al carabiniere alla guida.

«Scusi, non dobbiamo andare in caserma?» chiede il guidatore.

«Posso darti del tu, Stefano?» Il maresciallo si gira dietro e mi fa un cenno di sorriso.

«Certo, maresciallo!»

Improvvisamente, i suoi modi nei miei confronti cambiano: è gentile. Non capisco se fidarmi o no, se lo fa apposta credendo che io debba svelare un qualcosa che in realtà non c’è.

«Chiamami Sandro! Vedi, Stefano, noi sappiamo tutto di tuo padre. Sappiamo che fa uso di violenza nei vostri confronti. Il paese è piccolo e le voci girano.»

«Come?!» Rimango sorpreso, felice; non riesco a credere che qualcosa cominci a cambiare. Il maresciallo continua: «Se… sei d’accordo, per iniziare, devi denunciare tuo padre per violenza domestica. Poi il resto verrà da sé. Mi dai la tua carta d’identità?»

Gliela passo.

«Grazie, ora ti portiamo dai nonni materni, poi torneremo a casa tua per andare a prendere tua madre Angela, Roberto e Sonia.»

Mi viene da piangere per la felicità. Per la prima volta capisco cosa significhi il senso di libertà. Ritrovarci tutti insieme dai nonni con persone che veramente ci amano, che veramente ci vogliono bene, senza che interferisca il male in carne e ossa.”

Mi sposto un po’ in avanti in mezzo ai due sedili anteriori e comincio a indicare la strada per casa dei miei cari nonni.

«Vi indico la strada, alla prossima traversa dovete girare a destra.»

Il carabiniere sorride. «Tranquillo, sappiamo dove abitano i tuoi nonni. Da casa tua dista circa sei minuti di macchina. Come ha detto prima il maresciallo, vi conosciamo tutti.»

Intanto, il maresciallo scrive e, giunti dai nonni, si gira dietro e mi passa la penna e il foglio da lui scritto. «Prima di scendere, firma.» Mi indica la parte dove firmare. Non ci penso due volte, firmo all’istante.

«Hai appena firmato la denuncia per violenza contro tuo padre. Ora scendi. Torniamo subito.»

Neanche il tempo di scendere e ringraziarlo che partono in volata verso casa.

Esce nonna, mi ha visto scendere dalla macchina dei carabinieri. Al solo vedermi, capisce che è successo qualcosa di brutto a casa, cominciano a tremarle le mani, i suoi occhi sono colmi di terrore e mentre con una mano si mantiene la fronte, mi chiede con voce tremante:

«Stefano, perché sei venuto con i carabinieri? Cos’è successo?»

«Ciao nonna, papà per l’ennesima volta ha dato di matto contro di noi!» Mi avvicino a lei e le prendo le mani tremanti. «Nonna, stai tranquilla, va tutto bene. Ora vengono anche mamma, Roberto e Sonia.» Mentre l’abbraccio accarezzandole la fronte chiedo:

«Nonno, dove sta?»

Lei singhiozzando mi risponde: «È andato a comprare il pane».

 

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