Logica dell'oblio
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Logica dell'oblio

Lo svenimento era stato preceduto da una forma di sogno, un delirio lucido, un ossimoro alla situazione che fattualmente già era.

Gli occhi erano aperti e sembravano fissare un punto imprecisato davanti a loro, la bocca impercettibilmente aperta, nessuna ruga in viso, l’espressione serena, finalmente.

La prima avvisaglia era stata la sua completa incapacità di reagire ad alcunché, quella cosa che stava fissando continuava ad attirare la sua attenzione, era più forte di lei, un incanto interminabile che l’aveva privata di tutti gli altri sensi, tutte le altre percezioni. All’apparenza anche di tutta la sua bellezza.

Il suo corpo era diventato un involucro blindato, l’interno una grande stanza del silenzio.

Poi aveva chiuso gli occhi.

 

Le diagnosi erano molte e parlavano di mille cose diverse. Ciò che si sapeva era che Anna stava bene, il respiro e i battiti lenti come quando si dorme. Assomigliava a uno stato di coma, sopraggiunto in circostanze del tutto prive di ragioni, non c’erano infezioni in atto, né erano presenti danni neurologici o a organi vitali.

La totale apatia e anzi catatonia che aveva preceduto lo “svenimento”, di cui ora già si parlava come di coma, era un altro punto.

Nel corridoio illuminato a gelo attendeva Dario, il tutore di Anna, con cui lei si trovava al momento dell’episodio ed era dunque l’unico in grado di rispondere alle domande dei medici.

Dove vi trovavate al momento del fatto?

A casa.

Cosa stavate facendo?

Io leggevo, lei stava guardando la televisione.

Come ha capito che qualcosa non andava?

A dire il vero, ho solo alzato lo sguardo, e anche se lei era lì, all’apparenza tranquilla, ho sentito che qualcosa non andava, così l’ho fissata e ho visto che non sbatteva le palpebre.

Che altro?

L’ho spostata, le ho girato il viso, la chiamavo, urlavo, ma niente, lei non sbatteva le palpebre e non rispondeva.

Quindi cos’ha fatto?

Ho chiamato subito l’ambulanza.

Ha notato qualcosa di strano nei giorni precedenti?

Lei aveva da poco avuto un episodio depressivo, niente che non avessimo già affrontato insieme in precedenza: anedonia, inappetenza, stava isolata in camera sua, io però la tenevo costantemente d’occhio, in passato ha avuto episodi a rischio suicidio.

E in quel momento era ancora nel mezzo di un episodio?

No, era passato più di un mese dalla fine dell’ultimo e stava meglio.

Il medico di turno, un uomo sulla sessantina, la barba di qualche giorno, camice bianco stropicciato e targhetta identificativa che Dario non si era curato di leggere, annotava tutto con gesto veloce della mano su un blocco degli appunti.

Dario immaginò cosa ci potesse essere scritto: Anna Leri, anni 19, gruppo sanguigno 0 negativo, ricoverata da una settimana e mezzo in stato simil-comatoso, diagnosi…

Il medico si era sporto in avanti: Uno psichiatra è a lavoro con noi, la depressione può dirci di più.

 

I medici avevano iniziato a fare caso alla sua presenza costante: un uomo magro e alto, vestito distintamente che passava la maggior parte del suo tempo facendo avanti e indietro a lato del corridoio quasi strusciando contro la parete per non stare tra i piedi, ogni tanto sedendosi a leggere un piccolo volumetto dalla copertina monocroma.

Ci scherzavano su, ma almeno inconsapevolmente apprezzavano la sua presenza come qualcosa di confortante e vagamente consolatorio, come lo è ogni certezza se pur negativa.

La via della depressione come accennato dal medico poteva essere la strada giusta: lo psichiatra aveva affermato di non aver mai avuto a che fare con un caso del genere, che pure vista la scrematura di altre cause doveva essere presa in seria considerazione: si pensava a un coma auto-indotto.

Ogni giorno la ragazza veniva portata in giro per l’ospedale a fare accertamenti di ogni sorta, gli occhi chiusi in un volto sereno che a Dario suscitava una sensazione mostruosa di sollievo, dal momento che la sua mente la comparava con spontaneità agli sguardi sofferenti che fin troppo spesso Anna era stata capace di rivolgergli.

A partire da un giorno come un altro Dario prese a portare con sé una matita con la quale prendeva appunti sul fondo del suo piccolo volumetto; alla prima pagina aveva scritto rapidamente: Cresciuta senza padre, cresciuta senza madre, un incidente stradale, Anna non si sente nulla, Anna è intelligente, ho promesso che sarebbe stata mia figlia, ma si può promettere di essere genitori? L’ho promesso a suo padre, ed è stato come prometterlo a sua madre. Sono stato un padre per lei e lei ora è qui.

Aveva continuato a prendere appunti ogni giorno che trascorreva seduto nel corridoio troppo illuminato fingendo che gli sarebbero serviti come traccia nel caso si fosse confrontato con un terapeuta, ruolo di cui avrebbe potuto investire anche un amico.

Interrompeva la sua scrittura ogniqualvolta qualcuno si avvicinava a lui pericolosamente da poter leggere il contenuto dei suoi pensieri.

Nel giro di pochi giorni le pagine bianche poste in fondo al volumetto erano totalmente coperte di scritte, scarabocchi, talvolta sovrapposti e illeggibili, al punto che una mattina, quando si rese conto che lo spazio a disposizione era terminato, fu costretto a fermarsi e a leggere.

Si sentì improvvisamente stanco, tanto più che tutti gli interrogativi che vi erano esposti erano fuori dalla sua capacità di risposta.

Sei un logico, sii logico! Aveva scritto a un certo punto. La mente, i pensieri, possono davvero colpire il corpo? Da qualche parte devono dunque avere qualcosa di fisico, di materiale.

Le dita si insinuarono nelle orbite e premettero gli occhi, incuranti che le palpebre fossero chiuse o meno, e fu solo per un riflesso del tutto incondizionato se le aveva effettivamente chiuse.

Premette fino quasi a gemere dal dolore.

Poi reclinò la testa.

Si fece un’ultima cortesia appresa tempo prima dalla terapeuta che da tempo aveva abbandonato, ma da cui era stato a lungo in cura.

Immaginò un’onda infrangersi sulla spiaggia. Espira.

L'onda cominciò a ritirarsi. Inspira.

 

Purtroppo devo informarla che ancora non siamo stati in grado di formulare una diagnosi adeguata. La paziente sta bene, almeno fisicamente, le somministriamo regolarmente nutrienti endovena, cuore e polmoni sono stabili, nessun esame ha rivelato anomalie, l’attività cerebrale sembrerebbe essere alquanto presente, a dirla tutta; questo ha fatto ipotizzare una sindrome locked-in completa, ma non c’è risposta ad alcun tipo di stimolo; speriamo di poterle dare presto notizie più chiare.

Il medico parlava senza quasi prendere fiato, il camice ancora sgualcito, la targhetta storta che esibiva un volto senza alcuna espressione, grossomodo la stessa apatia che la persona dietro la foto esibiva nello sciorinare le sue frasi prive di qualsivoglia conforto. Eppure Dario si era attaccato a quella persona che vedeva spesso aggirarsi nei corridoi, prendere il caffè alla macchinetta, parlare con infermiere e colleghi, che nonostante l’espressione monotona e priva di entusiasmo che mostrava a tutti sembravano averlo a cuore, spendersi per piacergli in qualche modo.

Questa volta ebbe la premura di leggere il cartellino.

TOMMASO GRANDI

MEDICINA DIAGNOSTICA

Il medico aveva altresì scorto il titolo del volumetto di Dario: Compendio di logica formale.

Dario vide baluginare una scintilla di curiosità, o forse stupore, sul viso del dottor Grandi, trapelata da un movimento fulmineo delle sopracciglia.

Fu abbastanza sicuro del motivo che si celava dietro quell’espressione quasi repressa al punto da dire: Insegnavo logica, tempo fa intendo.

Grandi fissò il libro per qualche secondo, poi concedette un cenno d’assenso e si congedò.

Dario aveva portato un taccuino da casa, su cui aveva scritto una trentina di pagine chissà quanto tempo prima, per poi rifilarlo in un cassetto della scrivania del suo studio.

In quelle trenta pagine per lui c’erano certezze, perlopiù: appunti per i suoi paper, i contesti opachi, atteggiamenti proposizionali, appunti sul concetto di denotazione di Russell per un ciclo di lezioni, commenti ad alcuni passaggi di Nome e necessità di Kripke, alcune analisi di logica modale, un elenco di titoli di filosofia della mente.

Saltò due pagine bianche per dare discontinuità e si fermò, indeciso su cosa scrivere.

 

A volte la vita trasforma le linee curve in rette, diventa come guardare un film e leggere un romanzo, rendere un cliché la regola, terribilmente prevedibile, e infatti pioveva quella sera in cui stava seduto nel suo studio, nel momento in cui il telefono aveva suonato: Dario sono io, devi correre qui in ospedale, ti aspetto all’ingresso. Sbrigati!

Non c’è un passo che io abbia fatto che non si sia rivelato falso. Lui continuava a chiedermelo, Se succederà qualcosa a me e a sua madre, ci sarai? E ogni parola ha poco peso al di fuori dei fatti. Principio condivisibile con la logica? Al di fuori dei fatti, nell’astrazione, le cose sono fin troppo limpide. La descrizione della realtà per astrazione ne esclude una componente fondamentale.

Quando era arrivato all’ingresso dell’ospedale correndo sotto la pioggia Alessandro lo aspettava. Si era parlato di incidente ma la dinamica aveva fatto baluginare nella mente dei soccorritori e degli operatori medici un sospetto di altra natura che Alessandro non aveva esitato a fargli presente.

Lei era morta all’istante, il colpo di frusta le aveva spezzato il collo, lui era sopravvissuto ancora per alcuni istanti e aveva fatto il nome dell’amico e quello di Dario, e alla domanda dei soccorritori su chi stesse cercando di chiamare aveva risposto solo col nome di Alessandro Trevi.

Lui era corso immediatamente sul luogo, ma l’altro era morto pochi istanti dopo aver pronunciato le sue ultime parole.

Gli ho parlato, ha detto che avevate un patto.

Non aveva nessun altro che potesse stargli vicino.

Ne sono al corrente, nessuno, a quanto pare, eravamo le uniche persone a essere così in intimità con loro.

Non so se fosse un patto, ma a ogni modo non credo di potere.

Sai quali sono le alternative, sono pienamente disposto ad aiutarti, a dividere questo peso.

È per lo più mio, troverò un modo.

Non aveva letto dietro alla fenomenologia di quell’evento, qualcosa di volubile, controfattuale.

Scrive: La controfattualità si scontra con la necessità, non rispetta in alcun modo le sue condizioni semplicemente perché non dovrebbe essere.

L’impressione era che tutto ciò che ricadeva sotto il termine “umano” subisse questa regola.

 

RESOCONTO PERIZIA PSICHIATRICA DI ANNA LERI, ANNI 08, AFFIDATA LEGALMENTE ALLE CURE DI DARIO CARII A SEGUITO DELLA MORTE DEI GENITORI IN INCIDENTE STRADALE PROBABILMENTE CAUSATO INTENZIONALMENTE DAL PADRE

La bambina presenta evidenti sintomi depressivi, quali mutismo e accessi improvvisi di pianto accostati ad atti di autolesionismo di entità da moderata a grave (passa dal graffiarsi con le forbici a disposizione per le attività didattiche, che usa sotto stretta sorveglianza della tutrice temporanea che infatti provvede immediatamente a sottrargliele, ad attacchi d’ira incontrollata durante i quali si scaglia contro muri e finestre procurandosi traumi o contusioni, arrivando al tentativo di gettarsi dalle scale).

Non risponde alla psicoterapia convenzionale.

Da tenere sotto stretta sorveglianza prima del ritorno all’ambiente domestico del signor Carii.

Terapia farmacologica in via di definizione.

Dott. Carlo Altei

 

Non riesco quasi ad aprire quel foglio, ancora ricordo quando l’abbiamo riportata a casa, insieme, è la cosa migliore che tu abbia fatto in tutta la tua vita.

È anche l’unica cosa che conta nella mia vita Alessandro.

Alessandro, maglione rosso mattone e jeans scuri, orologio al polso, marca illeggibile dalla prospettiva abbassata di Dario, seduto sulla sedia del corridoio.

Dovresti andare a casa a riposare, oppure entrare a trovarla, hanno detto che si può.

Si può ormai da diversi giorni.

E perché non sei entrato?

Non ne ho il coraggio, o la forza, o non so magari sono la stessa cosa.

Dovresti riposare.

Non riesco, ormai è inutile.

Hai ripreso le pillole?

No, non più da allora.

E di notte che fai?

Scrivo, leggo, non mi resta molto altro.

La verità è che non riusciva a smettere di pensare alla sua vita precedente, mentre ultimava gli studi, quegli studi che erano il suo biglietto per uscire dalla situazione in cui si trovava e che portava avanti rosicchiando via ore di sonno o di riposo e che affidava alla sue mani da operaio, rovinate, mentre scriveva tesi sulla logica aristotelica. E poi dal terzo anno su quella di Quine, di Kripke, dei suoi mondi possibili, per giunta stipulati, come dei mondi possibili di Nozick, e con quelle stesse mani che manovravano paranchi, sostenevano travi, fondevano barre di stagno in fessure di zinco, appuntava su un quaderno un disappunto: che tutto succedeva qui, un qui delle dimensioni cosmiche che doveva pur bastare a conferire necessità a ciò che accadeva.

E poi senso o meno era arrivato lì, era lì, e già prima che arrivasse Anna quel problema gli si era in qualche modo palesato innanzi, nella forma subdola di un uomo ben vestito ma in fin dei conti poco curato, cui aveva raccontato di aver provato a legarsi una cintura intorno al collo per vedere cosa si provava con un piede nel vuoto, e uno ancora sulla sedia a sentirsi stringere la vita così preziosa, e si era risolta con un flacone di pasticche e una donna di bell’aspetto e curata cui doveva raccontare ogni cosa rilevante.

In Anna leggeva tutto, ma lei doveva imparare a farlo su di sé, così le regalò un diario e le insegnò: Scrivi prima sinteticamente gli avvenimenti più rilevanti della giornata, senza alcun giudizio; poi scrivi tutte le cose che ti hanno soddisfatta di te, di come ti sei comportata in relazione a quegli eventi, di ciò che hai provato, di ciò che hai pensato; dopo di che fai l’opposto, tutto ciò che di te ti ha delusa o sconfortata; infine la parte più lunga, qui scriverai scavando più che puoi, esponendo tutte le conclusioni che sei riuscita a trarre.

Lui ora scriveva:

Anna, la bambina sorridente, che gioca con gli altri bambini.

Anna, Anna ama Luca.

Anna che non smette di chiedermi di leggere i libri.

Anna che non si vuole alzare dal letto.

Anna che si filma mentre racconta le trame dei libri che ha letto ed espone le sue riflessioni.

Anna che mi chiede come si fa a capire se si ama davvero qualcuno.

Anna dice che qualcuno di notte si sdraia nel letto accanto a lei e le dice cose orribili.

Anna mi abbraccia e mi dice che mi vuole bene.

Le professoresse dicono che Anna è brillante, ma troppo sola.

Anna mi dice che starebbe a parlare con me per ore.

Anna ha lasciato di nuovo le sue cose in giro nel bagno.

Anna pulisce ossessivamente la sua camera.

Luca è venuto anche oggi a trovarla, stanno crescendo insieme, si fanno del bene.

Gli assorbenti di Anna nel cestino del bagno.

Un testo di Seneca accanto al suo letto.

Sento Luca e Anna fare l’amore in camera.

Le maniche dei vestiti di Anna sporche di sangue.

Anna ride con Sara, mi bacia quando rientra in casa.

A colazione parliamo di filosofia, mi dice che non ha senso ciò che inculco ai miei studenti, almeno sta sorridendo.

Una lametta di Anna è nel cassetto della sua scrivania accanto a un flaconcino di alcool.

Anna non si alza più, non esce più.

Luca la chiama.

 

Non voleva entrare nella stanza perché un pensiero che si era insinuato nella sua testa da quando Anna aveva cominciato a muovere i primi passi con i suoi, la vita di lei sincronizzata con la vita di lui, ora si era fatto ancora più persistente; non era in grado di stabilire se ciò accadesse, e avesse cominciato ad accadere, per via del fatto che aveva amato la madre di Anna prima che lei morisse, ed era anche stato la persona più legata a suo padre, odiando come loro si amassero; e in un certo senso ora amava Anna come fosse sua figlia carnale perché in fondo era figlia della donna per cui aveva provato tali sentimenti, ma sentiva un’angoscia crescente, sempre subdola e ben celata, cauta, quasi confortante come segno di un legame, ogni giorno che passava, angoscia che era data dal pensiero che quello fosse un giorno in più che sua figlia aveva vissuto, e ciò che era fatto era fatto; solo la logica non si poneva il problema del tempo, o meglio, prima ancora della logica, la sua struttura, i suoi presupposti, la sua condizione di esistenza, che era la più assoluta astrazione.

Infine Anna aveva un giorno in meno da vivere, e si doveva vivere quest’altro al meglio delle proprie possibilità, e ironicamente provava questi sentimenti nei confronti della vita di lei prima ancora che della sua, quasi fosse un custode del valore intrinseco della sua esistenza.

Ora avrebbe avuto oltre che la consapevolezza, anche la prova tangibile che la vita di Anna stava sprofondando in un oblio di cui lui non aveva controllo e cui non era in grado di stabilire una causa. Tutte quelle volte in cui stanco aveva rinunciato a caricare sulle proprie spalle la bambina per farla trottare in giro per casa, o per una sua forma di soggezione rinunciava a portarla fuori personalmente chiedendo favori alla donna di casa o talvolta ad Alessandro, quando si limitava ad abbandonarsi sul divano e fissarla giocare da sola per ore, o ancora quando persino si innervosiva e la rimproverava, e da adolescente per alcuni periodi si parlavano appena, di sbieco, limitandosi ad aiutarla a studiare, serio e assorto, a volte, dalla stesura di qualche articolo o dal protrarsi delle sue ricerche.

Quello non era stato contravvenire alle sue intenzioni nei suoi confronti e ai suoi doveri di custode del valore di significanza della vita di Anna?

Alessandro gli sedeva accanto, in silenzio dopo essere uscito dalla stanza della ragazza. Dario non aveva chiesto e lui non aveva risposto.

Poi Dario si era limitato a chiedere: Da quando sono in questa situazione ho messo in discussione tutto ciò che per me era importante e aveva senso, voglio dire, come spiegherebbe la logica tutto questo?

Non ne ho idea, immagino che una spiegazione ci sia.

Se hanno ragione i medici, se lei è in una sorta di coma depressivo, allora dovrei seriamente cercare di fare chiarezza sul fatto che se anche il pensiero sottostà alle leggi della logica, è possibile che nulla in fin dei conti sia libero e quindi contingente.

Cosa intendi dire?

Che tutto, ogni singolo istante vissuto da me personalmente, e da Anna personalmente, e da me e lei insieme doveva portare qui, e la sua mente tira le redini o forse è il mezzo di questo, eppure, non so questo a cosa debba portare.

Dario sembrava tremare come per un gelo interiore, di spossatezza.

 

Non si è mai sentito di un computer che abbia deciso di staccarsi la spina da solo. L’esame neurologico per la ricettività dei neurotrasmettitori ha dato risultati nella media per una persona sofferente di episodi di depressione, quindi a determinare il coma depressivo, se accettiamo questa tesi per vera, non è stato un problema meramente chimico; Anna non è una macchina biologica, nessun virus ha infettato il suo software se vogliamo usare questa terminologia, né ci sono traumi al suo hardware, al suo cervello, a meno che non ammettiamo che l’emotività possa essere un virus per il software, una sofferenza atroce che ha spinto la macchina a suicidarsi biologicamente. Non posso pensare sia sufficiente, e Anna non è un calcolatore, ha mai calcolato davvero qualcosa? Non è una stanza cinese con un manuale di istruzioni che a un certo punto ha codificato una serie di informazioni che stavano per “SMETTI DI FUNZIONARE”. Devo supporre che la mente di Anna, che Anna stessa come l’intero che trascende la somma delle sue parti, abbia avuto necessità di cessare di vivere senza avere il desiderio o la possibilità di togliersi la vita?

 

Non poteva non comparare il suo dolore a quello di Anna, a quello che aveva visto in lei prima che si fossero trovati entrambi in quella situazione.

Aveva guardato a dire il vero con curiosità e pur con comprensione quella che aveva ritenuto una depressione adolescenziale, non per questo da sottovalutarsi, tutt’altro. L’aveva conosciuta lui per primo, ma sapeva che per la stragrande maggioranza degli adolescenti che sopravvivono a quella forma di dolore, alla fine il dolore stesso si calcifica, o per usare termini più affini al suo ambito di studio, diventa una costante, così come lo era divenuto il suo di dolore, qualcosa di continuo, un ronzio che da voce possente e disperata che si protende in un grido diviene un suono di unghie sulla porta del cervello.

Il medico non era più ricomparso, al suo posto un altro, giovane, sempre sbarbato, il viso dai lineamenti puliti, eleganti, appena l’espressione dei suoi occhi, su cui Dario non si era mai concentrato in modo tale da poter dire di che colore fossero, tradiva segni di cedimento e stanchezza.

Pareva non portare alcun tesserino di riconoscimento.

Era Alessandro che ora si alzava ogni volta e gli si faceva incontro.

Il medico parlava in modo chiaro, con voce forte così che nonostante ogni volta Alessandro gli ripetesse le novità, Dario aveva in realtà già sentito tutto.

Pare ci siano picchi di attività cerebrale, nella zona del cervello adibita alla memoria e al sogno, gli aveva riferito l’amico subito dopo il congedo del medico.

E questo cosa comporta?

Non ne ho idea.

Ma non ci sono dubbi sul fatto che sia viva, giusto?

Alessandro lasciò che trascorresse appena un istante tra la fine della domanda di Dario e l’inizio della sua risposta, e questo a un orecchio attento avrebbe corrisposto a una risposta mendace. Era lo stesso Alessandro che più di una volta durante le discussioni portate avanti con Dario in merito ai più svariati temi, cogliendo nell’intonazione o nell’atteggiamento dell’avversario segni di insicurezza o cedimento, gli aveva detto che la fisicità tradisce le parole, e vale più delle stesse.

Certamente, rispose.

Quello che Alessandro stava pensando era che la zona della memoria e del ricordo pare sia la sede dell’ultima impressionante attività cerebrale che avviene, per pochi secondi, in un individuo che sta esperendo la morte.

La morte, pensava Alessandro, che tutti si figurano come uno sfolgorio confuso, o una ghigliottina nera che cala sugli occhi e sulla mente, è nella realtà qualcosa di simile a un torpore in cui la mente vive, esperisce ancora, in un certo senso, e pensa, pensa la vita.

Se di norma era questione di secondi, nel caso di Anna poteva essere di giorni? Ormai non ci sarebbe stato da stupirsi vista l’assurdità generale della situazione.

Cosa direbbe la tua logica? Pensava rivolto a Dario seduto accanto a lui.

Qualcosa nel fatto che il cervello sembrasse adottare questa ubriacatura onirica come ultimo gesto di vita nell’atto di morire gli suggeriva un’idea di meccanicità, per puro paradosso.

Che queste facoltà essenziali, sogno e memoria, assumessero una tale importanza nell’affrontare l’evento più fondante della vita dopo la nascita stessa, lo trovava uno strumento difensivo, e lo schema, la comunanza nell’adozione stessa dello schema, una prerogativa di una macchina.

Strano, avrebbe pensato, non sono mai stato determinista.

A dirla tutta la morte, nel fascino della profondità di pensieri che riusciva a far scaturire dalla sua contemplazione, era qualcosa che rifuggiva con accanimento da quella sera.

Aveva visto coi suoi occhi i corpi mentre venivano estratti dall’auto che miracolosamente non era in fiamme, aveva visto il sangue copioso di un rosso così vivo che sembrava finto, e non riusciva a credere che in grandi quantità avesse effettivamente quell’aspetto, che nessuna rappresentazione visiva o letteraria aveva mai realmente descritto. Aveva sentito la voce di un amico un’ultima volta, aveva visto i tentativi di rianimazione, aveva intuito fratture attraverso la pelle livida o le pose scomposte, esseri umani di pezza, così gli erano parsi.

Gli era capitato di comparare quella sensazione scaturita dai ricordi a un passo di Canetti cui un tempo non si era trovato affine, in cui manifestava il suo totale rigetto per la morte e per di più si accaniva su un autore come Bernhard che in quella invece indulgeva.

Alessandro provava verso la morte un’avversione frutto di consapevolezza e non di rabbia o rifiuto intellettuale.

Non aveva potuto incolpare Dio di quello che aveva visto, perché era stata opera di un uomo. Eppure un atteggiamento simile ancora sfuggiva a qualunque logica.

Sfuggire alla logica è una semplice espressione del parlato ma per lui era assurta a messa in discussione della logica filosofica che insisteva a sfiorare tangenzialmente, senza mai centrare il punto, troppe cose.

Possibile che in ciò che comunemente si ritiene inspiegabile ci fosse una regola? Una contro-fattualità, che si tramuta in atto e viene giustificata dalla sua necessità ed è reale e parte del mondo, tangibile e piena di significanza, una prescrizione di cui sfugge alla comprensione il peso.

Forse, pensava, non c’è reale discriminante tra senso e non senso, se non la nostra ragione.

Il baratro del senso e del significato si apriva davanti alla condizione definitiva dell’essere umano, la vacuità, il fatto di sprofondare nell’oblio. L’oblio che saremo, aveva letto un’opera con questo titolo, e mai titolo fu più azzeccato. Che senso e che regola potevano celarsi dietro ciò che stava accadendo ad Anna? E che peso poteva avere infine quel senso? Che spiegazione poteva dare quella logica? Canetti asseriva l’inattaccabilità del nome, persino quello di un nemico quale Dio; i nomi non scomponibili che la logica insisteva a scomporre, e scomporre con loro ogni cosa fino a farla sparire, fino a rendere tutto particelle di senso pronte a essere spazzate via dal sonno.

Pensò ancora a una parola: determinismo. Aveva assistito al riconoscimento dei corpi dei genitori di Anna, e a lui gli inquirenti si erano rivolti nell’esprimere le loro perplessità circa la dinamica che avevano definito probabilmente volontaria. Esisteva ancora un’altra possibilità, la genetica. Volse lo sguardo fuori dalla finestra; il vento stava scuotendo i rami di un faggio con violenza.

Accanto a lui Dario si era girato a sua volta: Pare si stia alzando un temporale, aveva detto senza alcuna sfumatura della voce.

Gli alberi gli avevano sempre suscitato un dubbio, quel dubbio che nulla dipenda da qualcosa che proviene da dentro di noi. Gli alberi non compiono, sembrano solo subire, e il fatto che l’uomo pensi è forse la discriminante, eppure può essere solo apparente.

 

NOTA NUMERO 35

Circa le procedure da attuare in merito alla situazione della paziente Anna Leri, ricoverata da sessantasette giorni in stato comatoso senza che siano state rilevate anomalie di alcun tipo.

Come da nota 27, l’attività cerebrale è presente in quantità notevole, e localizzata sopratutto nel ponte, nella corteccia e nell’ippocampo. Impossibile determinare cosa stia esperendo la paziente.

Mi rendo conto che si sta facendo strada in me l’angoscia circa le ricadute etiche che questo caso può andare a sollevare. In assenza della possibilità di stimare le probabilità di una ripresa, sopratutto in assenza di conoscenza circa le cause di questa condizione, è impossibile determinare una terapia, quantificare l’importanza del ricovero e consigliare il suo tutore di conseguenza.

Non so a chi rifarmi; anche il direttore brancola nel buio, e Tommaso Grandi è per tutti colui che dovrebbe sapere come muoversi, ma la verità è che non ho idea di cosa fare.

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