Cose dell'altro mondo
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Cose dell'altro mondo

 

Parlo sempre con mio padre e lui mi risponde, ci facciamo delle gran chiacchierate su come gira il mondo, su quanto la gente si crei dei mastodontici problemi riguardo questioni irrilevanti e si lasci sopraffare da cose piccolissime.

Rido e scherzo tanto con mio padre, che per inciso è morto da dieci anni. Non sono mai andata a visitare la sua tomba e non so neanche com’è fatta. Se mi chiedeste dov’è il cimitero non saprei rispondervi. Il concetto della visita a una tomba che contiene i resti di un organismo morto non l’ho proprio mai capito. Perché dovrei sentirmi più vicino a mio padre, mettiamo, oppure a mia nonna Ada (che per inciso è morta pure lei tanti anni fa), stando in piedi davanti a una tomba? Mi sembra anche un concetto molto deprimente, se volete sapere la mia. Ne parlo spesso anche con nonna Ada, che è d’accordo con me. Durante il breve periodo del coma che anticipò il suo trapasso, la nonna fece lunghe chiacchierate con sua sorella, deceduta vent’anni prima di lei, anche se non fu possibile comprendere proprio tutto ciò che biascicava, poverina. Alcuni punti però mi divennero chiari. Innanzitutto morire è una gran seccatura, l’ho capito dall’umore tempestoso che mia nonna si vide precipitare addosso non appena intravide la sorella con la quale cominciò subito a litigare su questioni di eredità e fidanzati contesi, vai a sapere. La seconda cosa che ho capito è che l’intelligenza Superiore che ci ha messi al mondo ha previsto che il viaggio della coscienza verso una nuova dimensione (che poi sono solo parole scritte a caso che non vogliono dir nulla) si possa affrontare solo se ti accompagna qualcuno che si è avventurato prima di te. Sospetto che per decidere chi si debba sobbarcare questa responsabilità venga indetta una riunione e si proceda per alzata di mano, tipo chi si prende zio Giovanni? E allora parenti, amici e eventuali amanti, magari pure ex mogli rancorose, si confrontano per secoli che sembrano attimi o viceversa, chissà, prima di deliberare a chi verrà attribuito il ruolo di traghettatore.

Ma io mi chiedo, nel caso non si presentasse nessuno che ti conosce così bene da assolvere quel compito, diciamolo, abbastanza delicato, chi se ne occupa? Quando l’ho chiesto a mio padre non ha saputo rispondermi, lui parla poco e la nonna Ada è rimasta di un umore plumbeo dal momento del trapasso. Mi sono fatta l’idea che probabilmente ti venga assegnato un accompagnatore d’ufficio che forse sarà entusiasta di venire a prenderti quasi come mia nonna fu felice di farsi il Viaggio con sua sorella. Immagino una scena di imbarazzo, tipo adesso di che parliamo per questi ventimila anni che nella percezione umana sono due secondi, o viceversa?

Comunque posso affermare con sicurezza che conta poco ciò che abbiamo fatto, disfatto, realizzato o sprecato nella vita sulla Terra, come appunto spiegavo a mio padre mentre mi appariva davanti come una visione sfocata, un’immagine dietro la nebbiolina del televisore quando non c’era il digitale terreste e il canale non era perfettamente sintonizzato. Io so che è lui, lo percepisco, anche mentre si perde, si disfa, si sbriciola e sparisce. É il suo modo per comunicarmi che sto un po’ rompendo le palle con le mie altissime elucubrazioni. Insomma ve lo confermo, qualunque cosa facciate nella vostra esistenza terrena arriverete comunque alla medesima destinazione, quindi rilassatevi.

Lo so perché mi è capitato di discuterne col mio fidanzato. Un personaggio, un tipo veramente particolare, un mattacchione direbbero gli amici, ma sarebbe più preciso riferirci a lui come quello che volò sul nido del cuculo.

Il Matto mostrava sempre la sua faccia migliore in pubblico e anche il fatto che venisse da una famiglia benestante non guastava all’immagine complessiva del soggetto. Mia mamma, che adesso sarebbe troppo facile giudicare, chiudeva facilmente un occhio quando il Matto ne chiudeva uno a me, con un gancio, e una volta a casa, che cavolo è successo? Spiegami il motivo di questo gesto. Perché, ci può essere un motivo razionale? Una spiegazione accettabile, mamma? E lei, ma sì, deve essere successo qualcosa, comunque mi avete stufato (Madonna, come si innervosiva), vedi di chiarirti con lui. E certo mamma, adesso mi devo pure scusare io perché mi sono fatta sbattere la testa sul finestrino della sua macchina superfiga e contestualmente mi sono proprio cercata un pugno nell’occhio, che poi i compagni di scuola ci andranno a nozze e vedrai quante volte dovrò raccontare la stessa cazzata a ogni professore, non finirà più questa lagna.

Poi mamma non è che mi costringesse a restare col Matto, intendiamoci, però sembrava ritenere che fosse normale questa dinamica fatta di regali favolosi, ristoranti costosi e soprusi clamorosi. I segni che portavo addosso erano da ritenersi conseguenze della mia incapacità di avere un rapporto maturo con un ragazzo, la dovevo finire di comportarmi come una scema e dare tutte quelle preoccupazioni a casa, cioè a mia madre che era rimasta l’unico genitore dopo la prematura scomparsa di papà avvenuta qualche anno prima.

Alla fine quei drammoni mi piacevano, è ovvio. Lui mi diceva che non potevo uscire con gli amici senza di lui ed è quello che succede in tutte le coppie adulte, basta guardare i film se non volete basarvi sulle fantasticherie che ci si scambia tra ragazze. Ci si lasciava, si raccontava il dolore dell’abbandono agli amici, anni luce di estenuanti telefonate, riferisci questo, ridalle il regalo che mi ha fatto, ci si cercava nei locali, ecco lo stronzo, ecco la deficiente, fai finta di non vederlo, passi vicino “per caso”, si discute, si fa pace, si prende qualche ceffone, si fa vita da grandi insomma.

Cose normali che a volte portano a quel finale che non ti aspetti e che nessuno avrebbe mai potuto prevedere, perché a me è successa una cosa davvero sgradevole. Un giorno ero in macchina col Matto, una di quelle col tettuccio apribile perché era estate, mi ricordo, e andavamo al mare. Mi piaceva tanto andare in spiaggia e fare il bagno e i suoi genitori avevano una casa stra-galattica in una località da vip. Pensate come mi sentivo fortunata a stare con uno che mi offriva quelle possibilità e anche mamma ne era tutto sommato contenta, perché diciamolo pure, lei da sola non è che riuscisse a guadagnare tanto e faceva fatica a pagare le bollette, sebbene vivessimo in un appartamento che ci stava attillato. Però ricordatevi che quell’entusiasta benefattore era pur sempre il Matto e quando cominciò a esprimere contrarietà e nervosismo di fronte al mio bel vestitino prendisole, troppo corto perché io lo indossassi in pubblico, avrei dovuto prendermi qualche ceffone e promettere che mi sarei cambiata immediatamente, appena fossimo arrivati a casa sua. E invece no, vedete come succede? L’imprudenza mi portò a rispondergli a tono perché diamine, ero così orgogliosa di quel vestitino, lo avevo indossato proprio per piacere a lui, nella speranza che lo apprezzasse e invece mi ricopriva di insulti. Ma brutto imbecille, gli dissi, non capisci neanche la differenza tra un abito da giorno e un prendisole? Deve essere corto, deficiente! E quindi il termostato delle meningi del Matto schizzò a livelli allarmanti e lui divenne così furente che il bisogno primario di affondare quegli enormi pugni nelle mie cosce ingrate superò quello di mantenere il controllo del veicolo e quindi un albero ci corse incontro e pose fine a quel match di wrestling, aggiudicandosi il colpo vincente.

Quindi capite? Siamo qui da un miliardo di anni a discutere quel viaggio e io continuo a pensare che fosse stato un vero imbecille mentre lui insiste sul fatto che sicuramente deve essere successo qualcosa, un insetto, un uccello schiantato sul parabrezza, un inconveniente tecnico, un motivo per cui lui aveva perso il controllo del veicolo. Ma che vi devo dire? Qui dove siamo adesso si perde interesse nei confronti dei piccoli drammi dell’esistenza umana.

Ne parlo spesso con papà.

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