A cena a casa di Marcello Dario ci era andato volentieri. Aveva il desiderio di stare qualche ora con gli amici, e con quelle persone si trovava a suo agio. La serata era facilmente immaginabile, come tante altre serate invernali, pizza a domicilio, un film in streaming, cazzeggio a volontà. E poi sarebbe venuta anche Stefania. A Dario piaceva molto, e per questo si sentiva in imbarazzo, a parlare con lei. Però quando Stefania non usciva col resto della compagnia lui aveva come una sensazione di vuoto, e quindi preferiva sentirsi in imbarazzo.
Vederla gli dava piacere. Lei era sempre così allegra e sorridente, disponibile, intelligente, pronta ad affrontare un discorso serio così come a scherzare sulle più ovvie scemenze. E poi era una bella ragazza, cosa che non guasta mai.
Anche Stefania provava qualcosa per lui, ne era certo. Però non ne aveva la sicurezza totale, e forse averla avuta lo avrebbe solo impaurito maggiormente.
E proprio di questo si rendeva conto benissimo: aveva paura. Paura di cosa? Non lo sapeva di preciso. Paura di non piacerle, paura di avere interpretato male certi gesti, certe parole. Ma non si trattava solo di questo.
Non riusciva a confidarsi con gli altri, che pure gli volevano bene. Luna aveva intuito il suo sentimento, ne avevano parlato ma solo per pochi minuti, in cui lui si era ostinato a negare nei confronti di Stefania qualsiasi trasporto che non fosse un’affettuosa amicizia.
Per assurde ragioni che non riusciva a comprendere temeva che il suo gruppo di amici avrebbe tentato di interferire nelle sue vicende personali, forzandolo a fare cose di cui non era sicuro. Ma non era vero. Perché in realtà il suo vero timore, nascosto negli antri più oscuri e remoti del suo cuore e del suo cervello, era un altro, e molto più terribile e, sotto un certo aspetto, più minaccioso di un improbabile rifiuto di Stefania. Aveva paura che fosse adatta per lui, aveva paura di trovarsi troppo bene insieme a lei.
Già solo parlarci, scherzarci, vederla ridere, già solo questo lo faceva sentire al settimo cielo, sereno e rilassato, leggero come su una nuvola. Se questo già bastava per credersi quasi felice, un’eventuale relazione sarebbe stata un apice di sentimenti altissimi, di sensazioni forse mai provate. Ma credeva pure che tutto questo sarebbe stato davvero troppo per lui, che non si sentiva abbastanza adulto e maturo per intraprendere una relazione stabile e, chissà, duratura.
Per quanto la trovasse attraente, e lo era, se ne accorgeva dagli sguardi degli altri ragazzi della compagnia e anche degli sconosciuti incrociati per strada, Dario non riusciva ad avere pensieri sessuali su di lei, né a desiderarla fisicamente. Gli sarebbe invece piaciuto abbracciarla, in una maniera lenta e dolce, a lungo, per inalare a fondo nei polmoni, vicino al cuore, l’odore del suo profumo, del suo collo, del suo maglione, dei suo capelli.
Non aveva mai provato qualcosa del genere nei confronti di una donna, e ne era terrorizzato. Forse era questo l’amore? Non avrebbe potuto dirlo. Non ricordava altri sentimenti analoghi, forse solo in certe primavere innocenti durante la prima adolescenza, ma si trattava di momenti lontani e dimenticati, e lui comunque era diventato un’altra persona.
Quella sera, guardando il film in salotto, si era trovato seduto sul tappeto accanto a lei, un po’ per caso e un po’ no. Stando bene attento a non avvicinarsi troppo e a non sfiorarle nemmeno la mano che lei aveva abbandonato verso di lui forse di proposito forse no chi poteva dirlo, immaginava quanto sarebbe stato bello uscire assieme e passeggiare, andare a cena, abbracciarsi. Eppure non trovava il coraggio neanche per sfiorarla, nel timore che il suo gesto potesse essere equivocato come un qualcosa che andasse oltre l’amicizia.
Stefania ogni tanto lo guardava di soppiatto, cercando di non farsi notare da lui, speranzosa che prima o poi riuscisse a dirle qualcosa, a sussurrarle quanto le sembrava e sperava. Dario era simpatico e intelligente, ma soprattutto era un ragazzo dolce, uno di cui potersi fidare. Lei aveva sofferto troppo dietro a persone immancabilmente sbagliate, per come era, per il suo carattere indomito ma nel contempo generoso. Invece Dario era diverso, così gioviale in compagnia, così poco disposto a parlare delle sue cose nei momenti più seri. Anche lui doveva aver avuto parecchi problemi, pensava Stefania.
Loro due sembravano completarsi a vicenda, ma lei non trovava il coraggio di fare il primo passo: e se poi Dario non si fosse rivelato come appariva, ma solo uguale a tutti gli altri uomini che aveva conosciuto? Se fosse stato solo un altro ragazzo superficiale e vuoto? Certo, lo conosceva abbastanza bene, e ci avrebbe quasi potuto giurare su quanto fosse gentile e sensibile, ma nessuno le poteva offrire una certezza preventiva. Se invece non fosse stato affatto innamorato di lei, se i suoi modi di fare rappresentassero solo il segno di un’amicizia profonda, come avrebbe resistito alla vergogna di un primo passo imbarazzante?
Finito il film, mangiata la pizza, terminate le chiacchiere, bevuto il vino, i ragazzi iniziarono a salutarsi prendendo ciascuno la strada di casa. Dario, accompagnati Luna e Alessandro, si ritrovò solo in macchina con Stefania. Non rimasero in silenzio, ma parlarono e parlarono, senza però mai soffermarsi sulle cose che pensavano l’uno dell’altra e, soprattutto, sull’idea dolce di loro due assieme.
Dario sbagliò anche strada apposta, per rimanere più tempo con lei, nella speranza che forse una forza esterna potesse intervenire e risolvere la questione, obbligando a uscire fuori dalla loro bocca le parole che non riuscivano a dirsi. Invece giunsero sotto casa di Stefania senza che nulla accadesse. Si salutarono a voce, senza nemmeno sfiorarsi.
Lei, girando la chiave nella toppa, pensò senza voltarsi alle frasi che teneva nascoste nel suo cuore, in un cassetto di cui non trovava la chiave. Lui la guardò aprire il portone ed entrare nel palazzo, quindi rimise in moto e, lungo la strada, alzò il volume della radio per provare a coprire i suoi pensieri, proprio nel momento in cui una voce dolce e cupa cantava più o meno and in the darkened underpass i thought oh God, my chance has come at last, but then a strange fear gripped me and i just couldn’t ask.