Oh Bambino Miracoloso di Atocha!
Volgi il Tuo sguardo sul mio cuore turbato,
porta lontano da me ogni afflizione e disperazione,
tutte le prove e le disgrazie da cui sono oppresso.
Per amor tuo Sacro di infanzia,
mandami ora la consolazione, l’aiuto e la grazia.
#1 Il grande albero magico di Envigado
Coi calzoncini corti pedalavano senza fiato sulla Carrera 49, uscivano da scuola e sfrecciavano su quel rettilineo complanare all’Autopista Regional: Envigado si parava ai loro occhi come un giardino verde steso nella Valle di Aburrá. Bisognava attraversare alcune fincas prima di raggiungere il grande albero al centro della vallata, nell’ultimo tratto la strada era dissestata e puntellata da cattleye colorate.
Il grande albero era lì da sempre, i ragazzi lo onoravano quotidianamente con la loro visita, levavano le scarpe e si sdraiavano alla sua ombra. Envigado aveva un clima più tenue di Medellin, il verde riempiva gli occhi e la fitta radura permetteva a quei giovani di organizzarsi per le loro avventure: ogni giorno Pablo e Gustavo si arrampicavano sulle pendici della valle e raggiungevano i loro nascondigli.
Un pomeriggio di marzo, mentre una pioggia debole bagnava ogni cosa mischiandosi a un’aria umida e appiccicaticcia, si accorsero che al termine della strada c’era una ruspa: l’albero era stato spiantato e giaceva a terra come un Cristo caduto dalla croce.
Quel pomeriggio di marzo una ruspa liberò il terreno per la costruzione di una delle fabbriche più grandi della Colombia: fu come se l’infanzia venisse strappata dalla terra insieme a quell'albero.
Il Realismo Magico si verifica quando in un’ambientazione realistica e minuziosamente dettagliata s’introduce un elemento troppo strano per essere credibile. Principia più o meno così la notissima serie Netflix Narcos. Il Realismo Magico non è nato in Colombia, è stato piuttosto un impianto perfetto, qualcosa di molto simile alla ventura di una piccola macchina francese disegnata e prodotta in Europa nella seconda metà del Novecento, che trovò terreno fertile per trasformarsi in un’auto magica solo dall’altra parte del mondo.
Le auto sono state molto spesso protagoniste della storia generando quel fascino sinistro che poi si riproduce nella liturgia del mito. Alcuni anni fa su un forum neofascista italiano dei giovani cercavano di acquistare la Moto Guzzi con cui Pier Luigi Concutelli, il leader del Movimento Politico Ordine Nuovo, aveva raggiunto la sua vittima, il giudice Occorsio, e da solo l’aveva ucciso; una Lincoln che si credeva appartenuta al gangster Lucky Luciano è stata recentemente venduta negli Stati Uniti a circa duecentomila dollari.
L’impressione delle mani sul volante, la perfezione dei gesti, c’è qualcosa che rende questi mezzi “magici” agli occhi di chi conosce la storia nascosta dietro le lamiere, immagini talvolta tragiche e destinate a rimanere per sempre: la Fiat Croma sulla quale viaggiava il giudice Falcone è tuttora conservata in una teca di cristallo nei cortili della Scuola di polizia penitenziaria a Roma; la A112 crivellata di colpi del generale Dalla Chiesa è esposta al Museo storico di Voghera, nei Musei Vaticani è possibile vedere l’auto sulla quale viaggiava Papa Wojtyła quando Ali Ağca gli sparò. Sono dei monumenti umanissimi estratti dal tempo del consumo, sono lì, immobili, perché nessuno dimentichi quello che è stato. La Renault R4 rossa, il corpo esanime di Aldo Moro nel bagagliaio: un’immagine per tutte.
C’è una R4 bianca che lotta contro la corruzione della ruggine nella tenuta Napoles in Colombia, circa duecento chilometri dividono quel monumento materiale dal luogo dove venne costruito: la fabbrica Renault di Envigado.
Quella Renault R4 rappresenta parte della storia contemporanea della Colombia, sta lì piantata perché nessuno dimentichi quello che è stato.
#2 Amigo Fiel
C’è qualcosa di magico nelle forme della Renault 4: il dislivello estetico incapace di contenersi in un progetto geometrico definito, il cambio alto, piantato sul cruscotto accanto al volante, così simile per posizione alla cloche di un carro armato, quel portellone del bagagliaio, grande, che si apre verso il cielo e sembra voler inghiottire in un colpo la realtà circostante.
Quella macchina non era nata in Colombia, era stato piuttosto un impianto perfetto, tutto era iniziato in Francia nel 1956 quando il presidente della Régie, Pierre Dreyfus, volle avviare un progetto in grado di contrastare il successo commerciale della Citroën 2CV. La nuova auto doveva essere un’utilitaria pratica per il carico merci e il tempo libero, ma anche una vettura per le signore. Per mantenere bassi i costi di produzione fu necessario adottare un telaio a pianale, le esigenze di versatilità imposero la scelta della trazione anteriore, la carrozzeria si sarebbe disegnata da sola in base anche a ciò che fu imposto dal comparto meccanico: grande e voluminosa in rapporto alla fascia di mercato con un ampio portellone posteriore.
Durante il 1958 vennero realizzati alcuni prototipi da testare su strada e nel 1961 vi fu la presentazione al pubblico: allo stand Renault del Salone dell’automobile di Parigi, fece bella mostra di sé la nuova R4.
Il primo febbraio del 1966 si festeggiò il milione di esemplari prodotti ed esportati in tutto il mondo, dal 1965 al 1967 la società Auto Andes importò in Colombia R4 finite ma anche esemplari smontati da assemblare in loco. Solo dopo il 1967, la Renault fondò la Sociedad de Fabricación de Automotores S.A., con sede a Envigado, proprio lì dove un tempo c’era un grande albero e il terreno intorno era costellato di orchidee selvagge. Con la nascita della Sofasa la R4 diveniva definitivamente un prodotto locale colombiano, come il caffè o le ruanas, gli abitanti di Medellin avevano parenti e amici che lavoravano nella fabbrica di Envigado, in molti avevano sconti per acquistare l’auto, per l’occasione la Renault aveva predisposto particolari sistemi di finanziamento che avrebbero permesso anche alle famiglie meno abbienti di comprarne una, la piccola utilitaria invadeva lentamente le strade diventando l’auto più utilizzata dai paisà.
Dalle finestre aperte delle case non stuccate di Medellin, oltre i mattoncini rossi abbarbicati sulla collina, risuonava per le strade il jingle Amigo Fiel inframmezzato dal rombo in presa diretta dell’auto. L’elemento magico si collocava all’interno di una base reale: la Renault R4 diveniva lo status symbol della classe media lì dove classe media ancora non esisteva, l’utilitaria contribuiva a creare lo stereotipo e a sollevare di rango emotivo i paisà. Tante famiglie che fino a quegli anni avevano utilizzato per i loro spostamenti carri con animali e auto condivise si indebitarono e ne acquistarono una.
Un’auto amica della città, scattante e durevole, in grado di salire le strade sterrate del Dipartimento di Antioquia e di frenare per tempo se un asino le si parava contro. Un’auto spaziosa, in grado di trasportare l’intera famiglia di cinque persone ma anche amica dei migliori amici dell’uomo, con un bagagliaio grande in cui far accomodare cani e gatti. Un’auto per tutte le stagioni, buona nei giorni di pioggia ma anche col sole, per raggiungere il mare e i luoghi di villeggiatura.
La Renault R4 fu per la Colombia l’equivalente del Maggiolino per la Germania o della Fiat500 per l’Italia: economico, robusto e pratico, il “Renaulito” divenne presto un simbolo nazionale.
Lo spot veniva trasmesso da Caracol Network nel 1979 ma la R4 era già venduta in Colombia da diversi anni, quella auto era stata la causa del primo arresto di Pablo nel 1974, quando venne fermato per i saliscendi di Las Penitas e la polizia rilevò che la piccola auto verde era stata rubata.
Una R4 color senape fu il primo mezzo a quattro ruote che Pablo e Gustavo comprarono grazie ai guadagni dei loro affari di giovani banditi, sostituì una Lambretta bicolore ormai vecchia ed esausta.
In quell’auto Pablo baciò per la prima volta la giovanissima Victoria, lei aveva solo tredici anni, quella sera osservarono abbracciati le stelle che illuminavano la notte a El Penasco, un parcheggio dove si godeva di una vista molto romantica sui tetti rossi di Medellin.
Un santino metallico raffigurante il Miracoloso Bambino di Atocha, protettore dei carcerati e dei criminali, penzolava dallo specchietto retrovisore e Pablo giurò a Victoria amore eterno, l’avrebbe presto sposata e resa ricca, sarebbe diventato un uomo importante, il Presidente della Colombia forse, o forse no. Sono tanti i sogni e i brutti pensieri che si possono esprimere nell’abitacolo di un’auto, solo alcune vetture sembrano però trattenerli, inciderli come cicatrici sulla carrozzeria, come carezze che macchiano i tessuti interni, segni indelebili che poi durano una vita intera.
Pablo non avrebbe più abbandonato il Renaulito.
#3 La Copa Renault
Erano paisà di Medellin, giovani poco esperti ma pronti al grande salto: decisero di fare il primo viaggio con una R4 mille targata LK 7272. Fino ad allora Pablo e Gustavo si erano occupati solo di contrabbando: sigarette, liquori, abbigliamento, tutto ciò che passava da Panama ed entrava dal Golfo di Uraba passava per le loro mani.
Fu Roberto, detto “ositto”, “orsacchiotto”, il fratello di Pablo, a raccontare della pasta di coca e della rivoluzione economica che si stava preparando attorno a quella sostanza che, dopo essere stata trattata coi solventi, faceva impazzire gli abitanti di “gringolandia”.
Pablo decise di recarsi personalmente in Perù in compagnia di Gustavo. Viaggiarono a bordo della R4, oltre tremila chilometri ma quella piccola auto non demordeva: reggeva bene lo sterrato arrampicandosi in salita come un piccolo mulo, viaggiava serena in autostrada senza dare troppo nell’occhio. Attraversarono l’Ecuador, superarono il posto di controllo di Aguas Verdes e fecero il loro ingresso traballante in Perù per raggiungere l’entroterra di Lima. Pablo e Gustavo intendevano caricare la pasta di coca in Perù per poi raffinarla a Medellin, da qui l’avrebbero contrabbandata negli Stati Uniti utilizzando le stesse rotte delle sigarette e dei liquori.
Fare il primo viaggio con quella macchina era una normale conseguenza dettata dalla necessità, era la macchina con cui i cugini si spostavano quotidianamente, ma era anche una scelta strategica: i parafanghi erano capienti e con dei piccoli accorgimenti avrebbero potuto contenere almeno quattro chilogrammi di pasta di cocaina, uno per parafango, sopra il serbatoio c’era un altro piccolo incavo dove avrebbero potuto nascondere un ulteriore chilo di pasta.
In poche settimane Pablo acquistò direttamente dalla Sofasa altre tre R4, in ognuna appese un amuleto del Niño de Atocha, in questa semplice maniera i cugini iniziarono a trasportare venti chilogrammi di pasta a viaggio. Una volta perfezionata la rotta lasciarono i viaggi in mano ai loro emissari e misero in strada i primi camion.
I due cugini iniziarono in brevissimo tempo ad arricchirsi mentre Medellin diveniva il fulcro di un corridoio che iniziava in Perù e si concludeva per le strade della Florida: fu una R4 a segnare quella che di lì in poi sarebbe diventata la prima parte della rotta internazionale della cocaina.
In pochi anni il paisà di Medellin Pablo Escobar diveniva il “Patron” del narcotraffico e uno degli uomini più ricchi al mondo con un fatturato di gran lunga superiore a quello della Renault francese: la R4 aveva fatto la fortuna dei cugini ancor prima di quella della Regiee quel grande albero di Envigado era ormai solo un ricordo.
Si chiamano origini. Se sei stato molto povero, se hai desiderato per tutta la vita di diventare ricco e potente, se poi ci sei riuscito, ci sono degli oggetti che ti legheranno indissolubilmente con quello che eri, perché nessun uomo vuole dimenticare da dove viene. Puoi possedere le migliori auto del mondo, le vetture più belle e lussuose ma nessuno potrà privarti della prima macchina che hai guidato perché l’avevi rubata e le chiavi erano lì, in bella vista. La stessa auto con cui ti arrestarono la prima volta, quella in cui giurasti amore eterno alla madre dei tuoi figli.
«Tra i dilettanti spiccano Lucio Bernal di Bogotà, Pablo Escobar, Gustavo Gaviria e JuanYepes di Antioquia. Escobar è un pilota in ascesa, si piazza secondo nella classificagenerale a tredici punti dal capolista».
Era il 1979 e il quotidiano «El Tiempo» di Bogotà commentava con un articolo la Copa Renault che si stava disputando nell’autodromo internazionale di Toncacipa, fu il primo quotidiano colombiano a nominare Pablo Escobar: non si trattava di narcotraffico, ma di una gara dilettantistica di R4.
Pablo non era nuovo alle competizioni sportive e quando venne annunciato che alla tradizionale Copa Renault potevano partecipare anche i dilettanti a bordo di R4, non attese un attimo e si iscrisse insieme a Gustavo: la competizione tra i due nata da quelle corse in bicicletta sulla Carerra 49 sarebbe continuata nel circuito di Bogotà.
Tornarono dove un tempo c’era il grande albero e ora sorgeva la Sofasa, Pablo acquistò dieci nuove R4 in contanti e assunse il miglior ingegnere presente perché le preparasse. Pablo e Gustavo si iscrissero alla Copa Renault con le squadre sponsorizzate da Bicicletas Ositto, il negozio di biciclette di Roberto e Depósitos Cundinamarca. Pablo per l’occasione comprò un furgone carico di ricambi che avrebbe occupato uno dei più grandi box dell’autodromo e affittò un intero piano dell’Hilton per un anno. Avevano preso la cosa in maniera molto seria e d’altro canto era un modo come un altro per spendere i proventi del narcotraffico.
In quegli anni molti narcotrafficanti finanziavano o avevano acquistato squadre di calcio e altre associazioni sportive, era un modo per investire il contante ma anche una malcelata maniera di comunicare all’esterno il benessere raggiunto. Oltre a Pablo e Gustavo molti altri narcotrafficanti di Medellin e di Cali parteciparono alla gara, la Copa Renault divenne l’occasione per confrontarsi, definire i relativi campi di azione e parlare di affari. La nascita dei cartelli colombiani deve molto a quella competizione, molte cose vennero decise e organizzate in quei giorni e su quella pista.
Alla gara parteciparono anche Fabio e Jorge Ochoa, Pablo conosceva bene i fratelli, erano allevatori e narcotrafficanti di Medellin, gareggiarono con una squadra sponsorizzata dal loro ristorante e si presentarono con un autobus di due piani mai visto prima, neanche nelle gare professionistiche.
Il 25 febbraio 1979 Pablo scese in pista per la prima gara ufficiale con una vistosa tuta arancione e una R4 bianca su cui apposero il numero 70 e si piazzò subito al quarto posto. Gustavo, col numero 71, rimase alcune posizioni indietro, all’ottavo posto.
Quella sera molti dei partecipanti andarono a cenare al ristorante degli Ochoa poco distante dall’autodromo. Il ristorante Las Margaritas sembrava il set di una pellicola ambientata nel Vecchio West: con costruzioni in legno, fienili e cavalli. La sala centrale era ricavata da un granaio e divisa in due da un corridoio in cui sfilavano dei cavalli bellissimi con le criniere ornate di piume, sul fondo si intravedeva una grande cucina dove erano impegnate più di trenta donne in grembiuli bianchi e rossi. A sinistra della cucina un complesso alternava tanghi, boleri e musica carrilera. Nel tavolo più grande e meglio allestito insieme ai cugini Escobar, si accomodarono i fratelli Ochoa e Gonzalo Gacha, detto il Messicano.
In quel tavolo, mentre i cavalli piumati sfilavano e il complesso eseguiva una rumba popolare, erano seduti quasi tutti i membri di quello che sarebbe passato alla storia come il Cartello di Medellin: la più imponente organizzazione di narcotrafficanti al mondo.
#4 La tomba magica di Napoles
Una R4 bianca è ancora seppellita lì, nella tenuta Napoles, in quel paradiso in terra lasciatoci in pegno da Pablo Escobar. Giace come un rottame appollaiata su quattro mattoni bianchi, si vedono le sospensioni divelte, manca la mascherina anteriore e la ruggine ha iniziato a divorare il paraurti. È esposta insieme alle altre auto possedute da Pablo, come una statua in un museo un po’ grottesco o come una lapide in un cimitero abbandonato.
La R4 ha in un certo senso segnato la storia della Colombia soprattutto attraverso le gesta di quell’uomo che mise in ginocchio l’intera nazione con i suoi atti osceni di terrorismo, lo stesso che da povero paisà divenne uno degli uomini più ricchi del mondo per poi venire ucciso come un criminale qualunque su uno di quei tetti rossi di Medellin.
La storia di Pablo e quella dell’auto hanno continuato a intrecciarsi, anche quando la sua parabola criminale volgeva oramai al termine e dovette negoziare la resa col governo colombiano per allontanare il pericolo dell’estradizione negli Stati Uniti e per questo gli venne concesso di costruire la Cattedral, la sua prigione dorata. Pablo decise che il luogo ideale sarebbe stato proprio lì a Envigado, nel centro della Valle di Aburrá, a pochissimi chilometri dalla fabbrica della Sofasa dove un tempo si ergeva il grande albero dell’infanzia.
Pablo non abbandonò mai la sua R4, neanche dopo essere diventato ricco, possedeva una vera e propria collezione di autoveicoli nella grande tenuta di Napoles, alcuni sono ancora lì, al centro del grande parco tematico costruito dal governo dopo la sua morte: una limousine verde militare che era stata del suo socio in affari nazista Carlos Lehder e che prima ancora era stata di un alto funzionario tedesco della Seconda Guerra Mondiale, una spider nera della Mercedes, diversi fuoristrada Toyota e Nissan, un’auto ibrida che assomigliava a quella di Bonny & Clyde, una Cadillac v6 del 1930, lo stesso modello che veniva utilizzato da Al Capone, e la sua R4.
Pablo amava così tanto quell’auto che spesso regalava altre auto costose a parenti e amici in cambio delle loro R4 malmesse.
Dev’essere stato difficile capire esattamente come trattare l’eredità del signore della droga quando la tenuta Napoles è diventata uno dei parchi tematici della Colombia dopo anni di abbandono e saccheggi.
Napoles era il ranch, la fortezza di Pablo: la tenuta si estendeva per circa venti chilometri nel territorio tra Medellin e Bogotà e comprendeva una casa coloniale spagnola, un parco di sculture, un piccolo aeroporto e uno zoo completo.
Oggi al suo interno sono molto rare le menzioni del Patron, si tratta di un passato controverso e ancora difficile da elaborare: ci sono persone che lo venerano come un santo, come colui che ha investito parte delle sue ricchezze per dare una casa ai poveri di Medellin, altri sono già riusciti a elaborare il mito ridefinendolo all’interno degli atti sanguinosi che hanno caratterizzato la carriera criminale e terroristica di Escobar.
Una delle poche menzioni dirette del Patron nella Hacienda Napoles si trovano oggi al centro del parco, nei pressi della casa coloniale ormai distrutta e nelle didascalie che raccontano il suo rapporto con le auto, lì dove, tra arrugginite vetture di lusso, fa bella mostra di sé una R4 bianca.
Un santino del Niño de Atocha penzola ancora dallo specchietto retrovisore: quell’auto è l’unica a non aver ceduto completamente alla corrosione della ruggine, l’unica destinata a descrivere pienamente un uomo, le sue colpe e le sue passioni. Come una statua in un museo un po’ grottesco o come una lapide in un cimitero abbandonato.