Opinel 8: semplicità, affidabilità, efficacia

Opinel 8: semplicità, affidabilità, efficacia

#1 Les essences
Era uscita che intorno allo stadio ancora albeggiava, si stringeva nel bavero del cappotto e nel maglioncino a collo alto, nei pantaloni scuri e nell’aria dimessa di chi ha già programmato la sua giornata. Con passo svelto era entrata nella cabina e aveva già inserito la scheda, aveva il ricevitore in mano quando due poliziotti infreddoliti la fermarono chiedendole i documenti. Rimase calma, si sfilò un guanto e cominciò a frugare nella borsa, la mano tradì i segni di alcune ferite, il poliziotto più giovane la ammanettò con sicurezza.
Daniela si consegnò silenziosa, senza fare resistenza, forse con un ghigno dello stomaco, o forse no. Da quel giorno è reclusa per omicidio. Nella sua borsa trovarono due schede telefoniche e un coltello della marca francese Opinel, il numero 8.
Quel coltello fu il primo creato da Joseph Opinel nel 1890 e viene prodotto in maniera identica oggi, uno ogni sette secondi, per poter soddisfare le richieste che arrivano da tutto il mondo nella fabbrica di Chambery. La famiglia Opinel si occupava della forgiatura di metalli già nel Diciottesimo secolo ma fu solo grazie alla testardaggine del più giovane, Joseph, che iniziarono la produzione di un coltello per i contadini, utile nel lavoro dei campi: un oggetto semplice ed economico che nell’arco di un secolo avrebbe conquistato il mondo intero. L’Opinel diventò presto popolare in tutta la Francia, la mano coronata di San Giovanni Battista, simbolo della regione della Savoia, fu eletta a marchio e la produzione, dal primo numero 8, si allargò a più modelli da 1 a 12. Nel 1909 Joseph registrò il marchio, un emblema che nel corso dei decenni ritroviamo nelle tasche dei più grandi artisti, navigatori, alpinisti, avventurieri, cuochi, ma anche, dato il prezzo e la fattura popolare, in quelle di contadini, cacciatori e malviventi.
Questo è uno dei motivi per i quali Daniela aveva un Opinel in borsa, perché è facile trovarlo in qualunque armeria, perché è tuttora uno dei coltelli più economici in circolazione, perché è preciso, semplice da usare e indistruttibile. Perché è un’arma per la quale non serve porto d'armi: un’arma che può ferire mortalmente, un’arma alla portata di tutti.

#2 L’acier
Deve essere stato questo il pensiero che spinse anche il sottoscritto a possedere un Opinel. Mio nonno era un contadino e ne possedeva diversi, estraeva spesso dalla tasca il numero 10, per scorticare un legno o semplicemente per pulirsi le scarpe, talvolta lo utilizzava per appuntire dei rami che poi lanciavo con il mio arco. Credo spesso estraesse quel coltello anche solo per mostrarmi la lama: era grande e faceva paura, definiva il suo stato di capo della  famiglia e generava un’attrazione indefinita verso la capacità di offesa che quelle mani stanche e segnate dal tempo ancora conservavano.
Ero molto piccolo quando sentii le urla di un bimbo scuotere la mattina nel cortile. Mio padre aveva sgozzato un maiale con il suo numero 11. Non sapevo ne possedesse uno anche lui e non credevo sapesse uccidere con tale dimestichezza. Non sapevo neanche che i maiali quando li uccidi urlano come i neonati. Quel giorno mio padre sostituì mio nonno e io giurai a me stesso che sarebbe arrivato il tempo per me di avere un Opinel più grande e affilato del suo.
La possibilità di avere un’arma in tasca. Forse è stato solo questo. L’eccitazione di poter offendere, di poter scegliere la morte. L’estate seguente arrivò il mercato in paese e tra mille cianfrusaglie dei banchi vendevano coltelli Opinel di tutte le misure. Avevo forse una decina di anni e con i pochi soldi messi da parte mi appropriai di un piccolo numero 4.
Da allora ho un coltello Opinel in tasca, ogni giorno, sempre, mi causa continuamente problemi coi metal detector e nelle perquisizioni che pure mi sono capitate. Negli anni ’90 ha logorato le tasche dei miei jeans stretti e si è perso nei milletasche del nuovo millennio, non me ne sono mai privato, quel coltello è cresciuto con me e dal piccolo numero 4 sono arrivato al numero 8, lo stesso che trovarono nella borsa di Daniela dopo aver intercettato la sua scheda telefonica, quella con cui aveva chiamato più volte la sua vittima. Gli inquirenti utilizzarono la stessa tecnica che li aveva portati alla cattura dei brigatisti esecutori dell’omicidio D’Antona, Daniela aveva usato la scheda telefonica per chiamare anche sua madre e questo l’aveva incastrata.
Da ragazzo ci giocherellavo continuamente, incidevo il legno in maniera sgraziata, magari le mie iniziali e le sue, quelle delle lei che ho amato, sugli alberi di un paesello o sui pini della mia periferia, come in un film romantico e un po’ banale. Nell’ebbrezza giovanile coi compagni ci tagliavamo il fumo, dicevamo spavaldi che l’Opinel era perfetto per quel mestiere e sul muretto dove sono cresciuto tutti ne avevano uno. In età adulta ho smesso di giocarci e l’ho tenuto chiuso, in tasca, come se da un certo momento in poi avessi acquisito la vera consapevolezza dell’offesa che ne poteva derivare.
È ancora lì, non me ne sono mai privato.

#3 Le virobloc
In effetti la bellezza e l’unicità di questo coltello derivano proprio dalla storia che ognuno ha avuto la possibilità di scriverci, sia essa di amore o di sangue, tutti quelli che possiedono un Opinel lo sanno. Possiamo innamorarci di una forma, dell’uso degli oggetti, ma questi diverranno veramente parte della nostra vita quando la consunzione derivata dal loro uso vi imprimerà il nostro volto.
L’Opinel ha inciso i ricordi di molti, sul legno, sulla terra, il faggio del manico col tempo è imbrunito ricordandoci tutte le volte che lo abbiamo impugnato, l’avventura ne ha segnato coi denti la lama aguzza. Lo abbiamo usato come unica posata nei pasti frugali in montagna, con esso abbiamo appuntito le nostre matite, realizzato ogni tipo di bastone, lo abbiamo utilizzato nei campi e nei delicati lavori delle vigne.
Dall’anno della sua invenzione l’Opinel non ha subito modifiche, continua a essere prodotto con pochissimi elementi, quattro o cinque al massimo: la lama in acciaio, il manico in legno di faggio, il collare e la spina. Nel 1955, grazie a una geniale trovata di Marcel Opinel, uno dei cinque figli di Joseph, venne apportata un'unica piccola modifica: il “Virobloc”, una semplicissima ghiera che ruota bloccando la lama in posizione aperta e aumenta sicurezza e versatilità del coltello. Il successo mondiale di questo oggetto ha raggiunto l’apice quando nel 1985 il Victoria Albert Museum di Londra lo ha inserito tra i migliori cento prodotti mondiali, affiancandolo agli orologi Rolex e alla Porsche 911. Il coltello dei contadini vicino all’auto e all’orologio dei ricchi borghesi, una piccola rivoluzione popolare, una conquista per tutti quelli che hanno impugnato quel legno di faggio nei più duri lavori quotidiani. Io non ho mai posseduto una Porsche 911 e probabilmente non acquisterò mai un Rolex ma ho un Opinel in tasca da quando sono bambino, ne ho comprato uno nuovo pochi giorni fa, il prezzo continua a non superare le dieci euro, chiunque può comprarne uno.
Potrebbe essere restrittivo e legato a una visione personale e quindi limitata, eppure credo che l’iscrizione degli oggetti nel novero del mito necessiti di questa caratteristica, che debbano essere popolari, ovvero alla portata di tutti. Tutti devono poter toccare la bellezza e sperimentare la grazia. In questo senso il coltello Opinel si attesta nel novero dell’epica: esso è un oggetto universale e democratico.

#4 Le traitement
«Sgozzata con una coltellata alla gola» fu questa la frase maggiormente riportata dalle cronache sui quotidiani di domenica 9 novembre 2003. Una funzionaria di banca, quarantasei anni, sposata con un farmacista e madre di due figlie era stata brutalmente assassinata in un palazzo nel centro di Firenze, a pochi passi da Santa Maria Novella. La vittima aveva aperto la porta al suo carnefice, era sola in casa e non aveva fatto in tempo neanche a urlare, la lama di un Opinel numero 8 le aveva attraversato la carotide, il sangue, proprio come nella concia del maiale, aveva imbrattato il soffitto e i muri circostanti. Trovarono la vittima a terra, in un pantano appiccicaticcio, con la testa quasi separata dal corpo. Gli inquirenti erano certi si trattasse di un omicidio premeditato, il marito della vittima raccontava che la moglie da tempo riceveva telefonate anonime: nessuna parola, nessuna voce dall’altro capo, solo un respiro un po’ affannato.
Nella primavera precedente Daniela passeggiava per il centro e le sembrò di incrociare un volto familiare: si trattava di Paolo, un ragazzo con cui aveva fatto l’università venticinque anni prima. Daniela ricordava quella passione, l’amore non ricambiato verso quell’uomo cui il tempo sembrava aver portato solo felicità, lo aveva seguito a lungo, aveva una farmacia, era sposato e aveva due figlie bellissime.
Fu allora che Daniela smise di seguire Paolo per pedinare la moglie di quest'ultimo. La seguiva nel percorso verso la banca, come se l’accompagnasse al lavoro, ogni giorno, a debita distanza, andata e ritorno. Dall’altra parte della strada una vetrina mostrava numerose armi, era un negozio storico di Firenze dove oltre a oggetti di uso comune e riproduzioni di oggetti medievali venivano venduti coltelli di ogni foggia e grandezza.
Non serve il porto d’armi per acquistare un coltello. Solo una volta Daniela perse la sua vittima in quel pedinamento continuo, fu quando si fermò a osservare quei coltelli con il manico di faggio: erano bellissimi, ve ne erano di molte misure, da piccolissimi a grandi quasi come un avambraccio, tutti avevano una mano coronata stampata sulla lama, le tre dita di San Giovanni Battista di Moriana, fu come una benedizione, quel numero 8 entrava perfettamente nel taschino interno della borsa: OPINEL Savoie - France.
Non era un’esperta di coltelli Daniela e non conosceva la storia della mano coronata, comprò quel numero 8 per la bellezza che riuscì a effonderle. Da quel momento un Opinel numero 8 prese posto nella sua borsa e l’idea omicida cominciò a farsi strada.

#5 Le meulage
Quando la polizia fermò Daniela in quella cabina nei pressi dello stadio, lei capì subito che era finita, la ammanettarono e le presero la borsa, vi frugarono all’interno. Chiese di poter usare un'ultima volta il coltello per strapparsi alla vita. Desiderava morire: con un solo fendente fuggire da quell'incubo.
È reclusa da allora Daniela, e non ha più avuto modo di maneggiare un coltello. Il tempo in cella non passa mai e spesso le capita di pensare al simbolo della mano coronata che tanto l’aveva colpita in quell’armeria del centro. Lo ha letto sui giornali che quel coltello ha compiuto quasi 130 anni, che è un coltello famoso, che in Francia gli hanno addirittura dedicato un museo.
Sfiora con i pensieri l’essenza del mito Daniela, immagina i contadini di ogni dove aiutarsi nel lavoro delle vigne con quella lama, immagina una massaia mentre taglia i fili di pasta appena stesa, immagina un artista al lavoro su un tronco di abete, quelle incisioni sono simili alle sue cicatrici. Pensa a quella mano coronata che le era sembrata una benedizione, al coltello che anche Picasso aveva eletto a proprio temperino.
Daniela pensa a un albero simile a quello dove incisi le nostre iniziali col mio Opinel numero 4: la banalità di un film romantico, una pellicola un po’ superficiale in cui i protagonisti credono di aver trovato l’amore e invece poi, irreparabilmente, arriva la morte.

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