Manina reggi-pene: storia e guida per il collezionista o il semplice amatore
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Manina reggi-pene: storia e guida per il collezionista o il semplice amatore

Come ogni Arte liberale che si rispetti, anche la Persecuzione ed il Massacro hanno avuto da sempre, come fine ultimo, l'espressione del Bello.
E negli sventurati casi in cui non siano riusciti a farlo direttamente – mediante il supplizio, con quella sua sempre graziosa allure – si sono comunque adoperate perché l'umanità non venisse privata del grazioso, dell'urbano, se vuoi, dell'acconcio.
Un esempio su tutti? Se il 18 ottobre 1685 il cancelliere Michel Le Tellier non avesse autografato l'Editto di Fontainebleau, la manina reggi-pene (protagonista di una pagina formidabile della Storia dell'Argenteria) semplicemente non sarebbe mai esistita.

Eterogenesi dei fini: lo stai facendo nel modo giusto:
Per evitare che la polla della tolleranza si ingrossasse fino a tracimare sulle colture del suo “L'état, c'est moi”, Luigi XIV con Fontainebleau revoca l'editto di Nantes. E addio libertà di culto.

So' assoluto, so' ntollerante!
daje all'ugonotto, daje ar protestante!

Ugonotto che, riformulato il vecchio adagio in “restare è un po' morire”, trasmigra in massa verso la Gran Bretagna: uno stormo calvinista che tra i suoi componenti conta numerosi artigiani, e di questi non pochi sono artisti dell'argento.

Il candidato risponda: Quali le conseguenze immediate che ne derivórno? (25 pti.)
Risentendo dello stile oltremanìque del perseguitato, il gusto inglese viene influenzato, traviato, contaminato; si introducono nuovi oggetti di uso comune (se sei un membro di spicco dell'upper class) come versatoi, bacili e zuppiere (non ancora confortate dalla presenza del loro vassoino en suite), fino ad allora poco utilizzati dal britannico.
È questo il brodino primordiale da cui sta per fare capolino la nostra
manina reggi-pene: accessorio maschile di varie fogge, sorta di Atlante d'argento ma con il Membro invece dell'Orbe, usato durante la minzione. In voga tra gli aristocratici a partire dal XVII sec., si compone di un lungo manico (anche 70 cm) con impugnatura sovente decorata, culminante in una pala: adagiatovi sopra, bel bello, il batacchio, essa provvederà materialmente alla sua sorrezione. Decorazione della pala in base al gusto del tempo.

Dalla trapecinàde alla manina, ovvero Gratta & Mingi:
Antenato del nostro serra-nerchia è la trapecinàde, il fregaio, o grattiere, per le Vergogne maschili che il genio di Sinclarieu Atrapeccinì (nato Atrapeccini, da famiglia còrsa) ideava nel 1679.
La storia è nota. Un vicino di casa dell'Atrapeccinì, Aquinchon Aquinchon, si becca una pellagra formato famiglia, diventando fonte di grande imbarazzo per i suoi cari, non riuscendo a trattenersi dallo scarnificarsi, grattandosela pubblicamente, la cute. La moglie dell'Aquinchon (cogn.) era peraltro merlettaia amatrice!: paladina di Grazia e Simmetrie, doppiamente la mortificava il rozzo e sconnesso passatempo del consorte.
In un primo momento Aquinchon (nom.), pur sempre un Marquis, consulta il Della Casa,
'Se scrostaggio deve essere, lo si affronti almeno con decoro',
ma non trova un solo riferimento, neanche en passant, al "Prurito e come gestirlo in società".
Si confida con Sinclarieu, che tanto si prende a cuore quella prurigine da rinchiudersi in bottega e, con quelle sue manine di fata, mettere a punto il primo prototipo della futura trapecinàde.

Partendo dall'idea di un comune rastrello, l'argentiere ne rimpicciolisce il formato, assottiglia il manico delle dimensioni di un cannuccio, lo dota di numero tre rebbi acuminati (il centrale più corto degli altri due). Il resto compete il tarantolato e il di lui olio di gomito. L'oggetto funziona, niente più ravanate bovinesche in pubblico, la merlettaia plaude: sull'onda del successo Atrapeccinì inizia a produrre in serie il rastrello disprudente (fino a 14 rebbi): spopola tra i rognosi, boom di vendite in Picardia.
Un solo esemplare di trapecinàde è giunto fino a noi: mancando però di adeguata punzonatura, è impossibile risalire all'anno di fabbricazione e al suo autore. Il manico misura 37 cm di lunghezza, l'impugnatura è zigrinata, con un pomello finale decorato a coda di pavoncella.
(NB: considerati simboli della mollezza palatina, la Rivoluzione farà piazza pulita delle forchette antiscabbia: fuse senza pietà, vengono convertite in ben più utili gagliardetti commemorativi).

Atrapeccinì è ugonotto, ma per sua fortuna anche fraudolento: nel 1685 viene sorpreso nei pressi di un convento di suore: sta cercando di infestarne gli interni con pulci e bidocchiàme; si sarebbe poi fatto trovare "casualmente" nei paraggi, l'indomani, con una collezione di trapecinàdes pour dames appena appena forgiata. Tutto questo a pochi giorni da Fontainebleau!, motivo per cui, quando si riapre la caccia al calvinista, Atrapeccinì, per evitare il processo, è già ampiamente latitante.

Di lui si perdono le tracce fino al 1697, quando lo troviamo a Londra, assunto come collaboratore dal celebre Anthony Nelme, argentiere apprezzato per gli oggetti da toletta e per i caratteristici distintivi di stile e influenza smaccatamente ugonotta: diretta conseguenza – è cosa oggi riconosciuta – dell'Atrapeccinì a libro paga.

Il francioso ha con sé un ultimo stock di trapecinàdes e in un primo momento prova a rivenderle porta a porta: senza successo.
'Perche grattarsi con un grazioso manufatto in argento, quando si possono usare 5 cm di unghie incolte?' la risposta del gentiluomo inglese-tipo (e porta chiusa in faccia).
Tutto inutile, dunque? Spese invano quelle ore di officina? Quel sudore della fronte zampillato per l'anima del-
MAI!
Si rimette in discussione, "Pensa da maître – si dice – escogita usi alternativi di st'aggeggio grattaminchia!”...

A suo tempo fu un rastrello a condurlo a grandi cose: e se la salvezza si celasse ancora una volta nello stallatico? Ragionando per assonanza di silhouette, c'è il rastrello ma c'è anche il badile... E se il rastrello raspa, la mestola cheffà? Sostiene, solleva. Modifiche ridotte al minimo indispensabile, il manico è lo stesso, giusto due colpi di martello ed eccoti la pala. Un badile in miniatura!, che vada a sorreggere... cosa...?
Ora, quell'Inghilterra lì già da tempo era frizzata dalle teorie di Isacco Newton, con quella sua gravitazione, corpi che vengono attratti verso il basso.
Domanda: di tutta l'anatomia umana quale pars subisce maggiormente il capitombolo inevitabile, per cui più di tutte necessita di un facchino che la sopporti, non necessariamente in metallo prezioso?

Il primo marchio Nelme-Atrapeccinì per argenti reggi-vergogne viene depositato proprio nel 1697 e lo troviamo punzonato su un tipico manufatto delle origini: la pala è a forma di valva di conchiglia – cappasanta, Pecten Jacobaeus – per via del suo simbolico catto-bagaglio cosmogonico e l'analogia aspersoria col pisello. Il manico è invece finemente decorato con l'effige di un apostolo (guarnizione tipica, insieme ai Santi, come in uso per i cucchiai. Tra i più gettonati, San Tommaso (come nel ns. caso) e San Arialdo, martire evirato).
Il manico degli argenti serra-mentula delle origini è corto e tozzo (non oltre 30 cm), andrà snellendo e allungandosi nel corso dei decenni: gli esemplari di fine XVIII sec. raggiungono facilmente i 70 cm di manecchia, da cui l'abitudine, per agevolarne il trasporto, di secretarli sotto i pomelli di bastoni da passeggio (svitati, estratti, usati alla bisogna), o in apposite fodere ad armacollo.

Nel tempo ogni argentiere conferirà il suo personalissimo touch agli argenti ingabbia-fallo, ma l'influenza ugonotta, soprattutto nei primi decenni, rimarrà ben marcata con quell'impronta tutta rococò, in cui abbondano le linee curve e il tutto è arricchito da decorazioni fantasiose a cineseria o di gusto più goticheggiante.
Una caratteristica che invece non conoscerà crisi né cambio di gusti, dunque non verrà mai accantonata dagli artigiani, è la decorazione repoussé, ad argento sbalzato, spinto fuori, cesellato in alto rilievo: il motivo? Semplice, la superficie gibbuta, quell'ondulato, risultava particolarmente stimolante e rilassante per la verga mingens.
All'esuberanza dello stile rococò subentrano, dopo metà settecento, la sobrietà e la compostezza dello stile neoclassico (sono pur sempre gli anni revival dell'arte greco/romana, degli scavi a Pompei ed Ercolano). L'adergi-pìspolo si adegua, ed ecco peni sorretti da urne, anfore, compaiono decorazioni a serto di alloro cingi-glande, immancabili foglie d'acanto; ma anche teste di ariete, bucrani, festoni e ghirlande conferiscono nuova grazia ed eleganza all'urinare.
C'è chi si fa prendere la mano da questa cosa della reviviscenza attica e si spinge troppo oltre: è il caso di Mike Siregar (bottega sita in St. Swithin's Lane): “Se guardiamo – deve aver detto – al pene come ad una trabeazione di dotti e nervi, allora abbisogna di capitello sottostante”. Ed eccone forgiato uno (corinzio) in argento massiccio, con manico spesso tre pollici. Il peso raggiunto è un qualcosa di insostenibile, e usare due mani (facendosi venire un crampo cadauna), solo per pochi secondi di pipì, mica ne vale la pena. Peraltro Quello dovrebbe essere un momentino tutto di riconciliazione con il Creato, a che pro tanta fatica? E la variante capitello massello viene accantonata.

La manina reggi-pene diventa ufficialmente una manina attorno al 1710, durante il regno della Regina Anna (1702-1714), nel momento della sua massima diffusione: è un periodo in generale modesto, ed anche gli argenti di questo periodo hanno forma e aspetto più semplice ed essenziale. “Non lo reggerebbe una mano, il batacchio? Dunque la pala sia a forma di mano, una bella dextera dei, un poco concava, un poco a cuppetiello”.
Da qui il nome con cui verrà consegnata alla posterità.

Tra i cicisbei del regno scoppia la febbre del collezionismo, le manine diventano uno status, il loro utilizzo imprescindibile per ogni galantuomo degno di questo nome: una generalizzata corsa “in fondo a destra” che fa precipitare molti nell'isteria: in più di una lettera Samuel Johnson fa riferimento (biasimandola) alla condotta dilagante nei più giovani di tracannarsi bevande in ogni momento della giornata e impienirsi la vescica nel minor tempo possibile per doversi fiondare dietro ad una fratta, a deliziarsi con l'aggeggino.
Sappiamo inoltre che in tempi di opulenza cospicue somme di monete venivano fuse e trasformate in argenteria reggi-pene (in quella e in graziosi caster spargizucchero o pepaiole). Come se non bastasse, aumentano le denunce per furto, soprattutto tra consanguinei: tutto pur di accaparrarsi la materia prima da fondere, e l'argenteria di mammà sembra essere lì per quello.

Parallelamente alle manine, nascono anche i primi prontuari che ne codificano e insegnano l'utilizzo: la maniera più diffusa e semplice è la Akimbo-urinate: il braccio sinistro è benappunto in posa akimbo, il destro regge il manico e, in base alla sua lunghezza, è più o meno distante dal membro. La posa, già elegante di suo, è resa ancor più raffinata dall'impugnatura retta con i soli pollice&indice, mignolino in fondo ben erto. Altre pose celebri, la Popish plot, la thankspeeing e la Guy Fawkes.
La qualità del design si concilia sempre di più con la meccanizzazione all'avanguardia della manina, fino ad arrivare alla fabbricazione di veri e propri capolavori: è il caso dei reggi-nerchia punzonati con i marchi di Archambo sr., celeberrimo per la maestria in ogni stramaledetto campo dell'argenteria. Inventa la manina “a manico estraibile”, allungabile a piacere grazie a una – sciccherìa – manopolina di fissaggio, così che ciascuno possa personalizzarsi la lunghezza. Per lo stesso principio, ma à-rebours, si può richiudere e riporre comodamente in tasca.
L'orgoglio del possesso spinge i proprietari a decorare le proprie manine reggi-pene con stemmi ed emblemi: la forma più modesta (puah!) è rappresentata dalle sole iniziali, la più pomposa prevede l’incisione in bassorilievo dell’albero genealogico completo.
Per tutti vale la pratica di incidere motti e iscrizioni sulla paletta, tra i più curiosi giunti fino a noi ricordiamo:

QUO, AUREA FONS, BLANDE FUGIS?
Dove fuggi o dorata fonte, sì dolcemente?

STA, INSEMINATOR, CREDE CAPUT MIHI
Fermati, o inseminatore, e affida a me la testa.

Parimenti fiera, l'incisione (ricordata anche da Walter Scott):

REST NOT RUST
Riposa, (tanto) non arrugginisce.

Ethelberta Grundreeg, di Dublino, regala al figlio Fenton una manina con scritta monitoria (a ragion veduta, stante l'esuberanza ghiandolare del secondogenito?):

RESPICE FINEM
Bada allo scopo (con cui mi adoperi).

E ancora:

FECIT POTENTIAM IN MANINA SUA
Fece potenza della sua manina.

PLUS ULTRA
Più oltre.
(Evidentemente già in voga l'abitudine goliardica di agoni tra sodali a chi arrivasse più lontano col getto).

Per il collezionista: le iscrizioni coeve all'oggetto ne aumentano il valore.

Falsi, modifiche e contraffazioni si contano, ahimè, anche nel mercato delle nostre manine: con l'esperienza il collezionista sarà in grado di riconoscere le proporzioni caratteristiche di ogni epoca, i dettagli di ogni argentiere, così da distinguere un falso.
Parlando di patacche, non possiamo congedarci senza aver prima ricordato il “Caso Plymouth”, città in cui gli argentieri si sono sempre e categoricamente rifiutati di forgiare reggi-pene. ATTENZIONE! quindi: sono da considerarsi contraffatti tutti gli argenti scroto-sospensori punzonati con lo stemma cittadino: la Croce di Sant'Andrea con i quattro castelli. Se poi un Esq. di Plymouth, non potendo contare sull'artigianato locale, ma non volendo neanche rinunciare all'ebrezza dell'orinata con ausilio, nella solitudine della sua magione abbia usato impropriamente un comune mestolino da salsa, un sontuoso cucchiaio da portata o un elaborato scaldabrandy, la cosa riguarda solo la sua coscienza; sappia però che mai e poi mai lo giudicheremmo un sudicione.

Epilogo:
Più ci si inselva nel XVIII secolo, più la Storia dell'Argenteria si fa prodiga di oggettini che cicciano fuori da ogni uso&costume della vita quotidiana, più in generale da ogni dove.
Quando tè, caffè e cioccolata diventano bevande alla moda, ecco comparire teiere, caffettiere e cioccolatiere.
Ma si contano anche salsiere, tabacchiere, cow creamer, entrée dish (o legumiera), coppe di gare ippiche... un florilegio di chincaglieria, una grandinata immane di prendipolvere, che distrae sempre più l'attenzione del signorotto dal proprio batacchio, avviando la manina al suo tramonto.

Compromette ancora di più la situazione il fatto che, a partire dal 1780, più di un pamphlet viene pubblicato a Londra dall'uomo di chiesa di turno che si scaglia contro la manina e mette in guardia i giovini dalla turpe usanza. La tesi di fondo, gira che ti rigira, è sempre la stessa: e se trovando piacere dal contatto membro-pala, il giovane iniziasse ad adoperarlo per fini auto-fornicatori?

Detrattori ne spuntano anche tra gli uomini di scienza: nel 1791 Alvian Hardison pubblica un opuscolo in cui demonizza la manina per i danni che provocherebbe alla salute: esonerando l'arto superiore destro da una sua abituale funzione, lo si conduce all'impoltrimento, perde di tonicità ed è un attimo che poi rattrappisca.

L'ultima apparizione attestata della gruccia pudibonda la troviamo in una pagina del diario di Minnie Waller, una borghese che nell'ottobre 1881 incassa l'eredità di uno zio defunto, scapolo. Tra le varie chiappolerie d'argento, riconosce “the John Thomas' handler for the gentleman's aide” della buonanima, un esemplare di stampo uralico, datato 1815 e punzonato a marchio Sheripov. Non sapendo che farsene (sic!), decide di portarlo a fondere per – uditeudite – ricavarne un cucchiaio da strawberry.

Dall'inizio del XIX secolo, la fragola è diventata un frutto coltivato sempre più su larga scala: andrebbe bene un qualunquissimo cucchiaino, ma vuoi privarti dello sperpèrio di dedicargli una stoviglia apposita? Infatti.
La stragrande maggioranza dei cucchiai da berry in circolazione sono stati ricavati da manufatti più antichi, arricchiti poi con decorazioni a tema frutti&fiori, più in generale d'ambiente silvano.
Sappia il collezionista che, a differenza di altri argenti, i sorbi-fragola a decorazione tarda hanno un valore superiore a quelli lisci.

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