La camicia nuova

La camicia nuova

 

Federico era un po’ stranito quella sera. Fosse stato un dj competente il pubblico, fosse stato un pubblico competente, se ne sarebbe accorto subito. Ma non era nessuna delle due cose: lui passava dischi a casaccio e tutti uguali, gli altri ballavano senza nemmeno accorgersi del salto da un brano all’altro. Un po’ come quando da ragazzino suonava in un gruppetto punk e, basso a tracolla, strimpellava solo la corda di mi, certe volte senza nemmeno muovere la mano sinistra sui tasti.

Quella sera al Lollypop non c'era comunque tanta gente, per quanto l'evento fosse stato propagandato come il suo grande ritorno dopo i successi milanesi, ma lui non se ne dispiacque troppo. Infatti la serata finì prima, lui incassò il suo assegno – abbastanza cospicuo rispetto alla media nazionale, molto cospicuo rispetto alla media del Lollypop – bevve gratis qualche drink e si avviò alla sua Porsche.

Mentre metteva in moto si chiedeva perché fosse effettivamente tornato. La serata al Lollypop in effetti era stata organizzata dal suo agente solo dopo la decisione di ripassare in paese per qualche giorno. Certo, la festa di addio al celibato di Nino era un buon motivo.

Era sicuro che ci sarebbe stato da divertirsi, e infatti Nicola, sbronzo fradicio, si era lanciato in un allucinante spogliarello incitato da una folla di persone regredite allo stato di primati, Daniele aveva fatto il suo numero di ventriloquo ruttante e persino Franz, dopo molte insistenze, si era esibito nelle imitazioni della gallina e del treno, le due che gli riescono meglio. Federico era contento di poter mostrare agli amici e al resto del paese il suo scintillante successo meneghino, gli abiti lucidi di pelle sintetica, la Porsche, senza contare certi memorabili racconti della movida milanese, accoppiamenti selvaggi con modelline e attricette e cubiste ed ereditiere. E poi aveva una camicia beige lucida appena acquistata che lui trovava splendida.

Non riusciva a concentrarsi sulla guida, focalizzare la marcia adatta a migliorare la prestazione, per lanciare il bolide nero nei rettilinei. Forse era per via di Ylenia. Erano stati insieme tanti anni prima, e vederla sposata gli faceva un certo effetto. Chissà se l’amava, ora ma anche allora. Ma si sa, certi sentimenti sono difficili da percepire, e si confondono troppo spesso con le coliche intestinali. Lei era ancora una ragazzina e lui l’aveva convinta a prenderglielo in mano, dietro le scuole elementari (non che Ylenia fosse così piccola da andare ancora alle elementari eh, quello semplicemente era il posto dove i ragazzi del paese sprovvisti di mezzi motorizzati si infrattavano per fare le cosacce). Si sentiva un po’ sporco per quanto accaduto anni prima, ma non così tanto da giustificare quel suo stato attuale. Anzi, a pensarci bene, non si sentiva sporco per niente, a parte la puzza di sudore provocata dalla serata al Lollypop.

Doveva essere stato senza dubbio quell’incontro in bagno con Ylenia a scombussolarlo. Fino ad allora era andato tutto bene, si sentiva allegro e scherzoso, aveva voglia di ubriacarsi e tirare un mezzo grammo. Invece Ylenia in bagno piangeva, ed era strano visto che era il giorno del suo matrimonio, anche se la prospettiva di sposare Nino (che gli stava sì vagamente simpatico, ma restava uno con l’aria da deficiente) probabilmente non poteva far compiere balzi di gioia a nessuno. Inoltre non si era mai trovato faccia a faccia con una ragazza in lacrime senza che lui ne avesse colpa. O forse ci era rimasto male perché, presa dal pianto, lei non aveva fatto neanche un commento circa la sua camicia nuova.

Arrivato in paese trovò in piazzetta qualche reduce del matrimonio. Nicola e Daniele bivaccavano stanchi, seduti sul solito muretto, sorridendo senza divertimento, a guardare Franz intento a beccare il terreno e a muovere la testa avanti e indietro, come una gallina, in un loop infinito.

Tu sei proprio pazzo”, gli disse Nicola mentre si approssimavano alla casa degli sposi. Ma era una frase detta senza tono, né rimprovero né compiacimento, come per riempire l'aria. Non riusciva a capire perché stavano andando lì.

Al massimo diciamo che volevamo vedere come andava la prima notte di nozze”, buttò lì Federico, cercando di essere divertente senza riuscirci. Neanche lui riusciva a spiegarsi il vero motivo.

I due amici entrarono dalla porta finestra della camera da letto, senza faticare troppo per aprirla dall’esterno. Nino se ne stava a testa in giù sul letto, steso per traverso, pesante come un macigno, ancora vestito del tight da cerimonia. Russava in maniera spaventosa e non aveva umana possibilità di percepire la presenza dei due che lo chiamavano. Federico e Nicola provarono pure a scuoterlo, a sbatterlo – nel vero senso della parola: alzando cioè la testa di Nino, tirandola per i capelli, per poi schiacciarla contro il letto – e persino a picchiarlo, accompagnandosi con un liquore preso dal mobile bar.

Non si spiegavano però l’assenza di Ylenia, così iniziarono barcollanti a dare un’occhiata in giro. Intanto Federico si rammaricava che nemmeno Nicola aveva notato la sua camicia nuova, mentre Nicola rifletteva che forse Federico non se la passava poi troppo bene a Milano, se era costretto a mettere la stessa camicia per due giorni filati.

Ylenia la trovarono in bagno, stesa per lungo sul tappetino della doccia, il vestito da sposa chiazzato di grosse macchie rosse, più scure in alcuni punti, più rosate in altri, e piccole pozze brune che andavano allargandosi sul pavimento.

Che schifo”, esclamò Nicola.

Ha vomitato”, aggiunse Federico.

Deve aver vomitato tutto il vino”, specificò Nicola.

Federico scosse la testa. ”No, io a Milano l’ho già vista una cosa del genere”, disse con tono da uomo vissuto, osservando le chiazze rosse che si espandevano sul pavimento. “È bile”.

Ci misero alcuni minuti, il tempo di finire la bottiglia e fumarsi una sigaretta, prima di rendersi conto che Ylenia stava morendo lì sotto i loro occhi. Nella concitazione che seguì, Nicola strinse due strisce strappate a un lenzuolo del corredo attorno alle braccia della ragazza, e Federico fece lo stesso, “per sicurezza”, sulle gambe che non presentavano alcuna ferita.

Avvolta la ragazza in uno spesso telo copridivano - per non sporcare la Porsche - partirono a tavoletta verso l’ospedale, lasciando Nino russante e beato, ignaro di quanto stava accadendo.

Più tardi il dottore gli disse di aspettare, che la loro amica era in rianimazione ma probabilmente se la sarebbe cavata, aveva fatto trasfusioni su trasfusioni e una piccola operazione, ma adesso le sue condizioni si erano stabilizzate.

Nicola si allungò sul divanetto della sala d’aspetto, appisolandosi. Aveva avvertito i parenti che adesso si stavano dirigendo in massa verso l’ospedale, come un’orda. Federico andò in bagno per accendersi una sigaretta, pensando che, comunque fosse finita, sarebbe stata una bella storia da raccontare una volta tornato a Milano. Solo che, ragionò, a Milano non aveva poi troppi amici, anzi frequentava solo gente che non lo considerava troppo. Il suo successo in effetti non era proprio un gran successo. Lavorava spesso, ma perlopiù a feste private di figli di papà, in discoteche dell'hinterland e cose del genere. Le ragazze del giro della tv e della moda lui non le incontrava mai, e se per caso capitava quelle non gli rivolgevano mezzo sguardo. I pochi soldi che guadagnava se ne andavano in coca scadente e aperitivi. La Porsche era di terza mano, e lui era già indietro di due mesi sul pagamento della seconda rata.

Con la sigaretta in bocca si cercò l'accendino nelle tasche dei jeans e, volgendo la testa verso il basso, vide la sua nuova camicia beige coperta di sangue rappreso, e non poté trattenersi dal bestemmiare ad alta voce.

 

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