E poi, finita la guerra, rimaniamo noi, col dovere di fare i conti con ciò che resta della guerra. Le parole iniziano a farsi più chiare, la loro nettezza abbaglia, sconcerta, si legge. Gli ideali decadono – precipitati chimici – vogliono azione. L’ignavia si smaschera per ciò che non era – mancanza di voglia, pura speculazione.
Eravamo in due, io e questo mio amico di nome Franco; sul terrazzo, a scrutare il cielo delle tre del pomeriggio. Trasognati, arresi alle sdraio, affrontavamo dure questioni di concetto: perché ad esempio starcene all’aperto, quando rincasare sarebbe stato più saggio?
Tra i motivi, certamente, c’era il fatto che fumavamo. La qual cosa, inevitabilmente, portava con sé un’altra ragione, non meno rinunciabile della prima e che, nel concreto, ci vedeva focalizzati sul solo elemento dinamico e perciò stesso in controtendenza nel contesto della città che si incendiava: il lieve e plumbeo propagarsi delle scie degli aerei. Per questo indugiavamo.
Le scie. Cercarne non richiedeva certo granché sforzo – del resto, era termine quantomai orribile e fuori luogo, quest’ultimo… Inermi dunque, calcinati dall’afa, col solo sfogo del fido telefono schierato di fianco, noi due percorrevamo perverse elucubrazioni: fin dove è possibile – ci chiedevamo – fino a che punto è lecito rinvenire un nesso tra quelle e questo? Ne è passato di tempo, eppure una cosa la ricordo per certo, ossia come non solo con quelle ci riferissimo alle scie, ma soprattutto questo, in termini di intrattenimento, rappresentasse una novità di assoluto rilievo.
«Ehi, eh?»
Ecco a voi il nostro “misterioso” – o, per meglio dire, la nostra “misteriosa” – una domanda dritta, da confidente, e purtuttavia venata di allusioni, un invito all’utente perché condividesse contenuti sulla piattaforma sociale di riferimento. Insomma: “Ehi, eh?” con un occhiolino neppure troppo implicito, stava a stimolare il bisogno di sbottonarsi e offrire alla comunità virtuale un saggio delle proprie esperienze.
«Manici di scopa, triplice bastone cotonato» osservai in tono professionale, «fanno un angolo a 45 rispetto all’asse del suolo… dove?» e intanto tendevo un indice all’insù, in attesa che Franco, sollecito come suo solito, ne rintracciasse l’omologo (il nostro giochino pomeridiano? Confrontare scrupolosamente un contributo in rete con la specifica regione del cielo…).
«Ibiza by night!» proclamò lesto il mio amico, senza staccare gli occhi dal telefono, «Ciaone!» chiudendo di fatto la sfida. Quindi, di regola, dopo aver dimostrato intuito e prontezza sollevava il mento, per procedere a una più attenta verifica. E, proprio come adesso, si permetteva perfino il lusso di levare un’obiezione polemica.
«Lo zeppo centrale, però, uno di quei manici lo vedi?» insinuò.
«Ebbene?»
Lo incalzai, perché sentivo crescere dentro di me l’irritazione.
«…ebbene» ripeté distrattamente, «cosa vuoi che ti dica, non ne avrai mica trascurato l’inclinazione? Guarda come si comporta: declina più dolcemente quello al centro, rispetto agli altri due che sono suoi pari…»
«Sono quasi gemelli» protestai stizzito.
«Quasi» assentì lui, «non era facile, per niente» e mi indirizzò un’occhiata risaputa.
Chissà quale sagoma disarmonica disegnavo nel tessuto della sdraio. Considerare lo yoga? forse avrei dovuto perfino spingermi sulla ginnastica posturale… Il calore deformava i polimeri della trama; alzarsi a prendere dell’acqua, molto probabilmente, avrebbe significato lo scendere a patti con lo schienale. Per concedergli, se non pelle, almeno qualche lembo delle nostre maglie sudate…
Franco tornò sul punto: «Lo stecco al centro, la scia che sta nel mezzo, voglio dire… senza insistere, ma a me fa pensare di più a questo» non pago, inclinando lo schermo del telefono a mio favore, stava per mostrarmi un’analogia alternativa a quella che aveva appena delineato – nella fattispecie “Ibiza, ciaone”. Stavolta, infatti, la protagonista di un breve video era la prua lucida di una barca, che inforcava gagliardamente il mare.
«Sai, è proprio come ti dico: il beccheggiare della nave assomiglia molto alla scia che se ne sta in mezzo, quel coso che, ne converrai, è in piena oscillazione…» e intanto andava ondulando la mano su un orizzonte immaginario, per esemplificare l’associazione. Gesto che, peraltro, lo svelava per quel che era: un astuto provocatore.
«Certo!» mi ritrovai a esclamare. «Considerate le altre due, che sono parallele… sopra e sotto» precisai frettolosamente, «il nostro manico trova i suoi limiti, che sono appunto le due scie, quasi gemelle…»
«Il cielo e il mare» constatò lui, sempre più lontano. «Mentre al centro… al centro c’è lui, il nostro coso, la nostra barca che indefessa affronta l’ignoto…»
Di fronte a tanta eloquenza, non potei esimermi dal dire: «Il cielo e il mare, che banalità! Piuttosto, dovresti dire la profondità dei due…».
Dopo ogni confronto, calava per un po’ il silenzio. Assorti, ci davamo a delle lunghe e pensose boccate di fumo. Passata la guerra, c’era da cavarsela: chi di noi - per esempio - ce l’avrebbe fatta? Io per me vedevo solo fuoco. Più metodico, forse meglio in arnese, Franco non si sarebbe lasciato cogliere impreparato: anziché alla prua in mare aperto, lui piuttosto incarnava lo scandaglio. Tant’è che, forte delle sperimentate immersioni, si lasciava andare; e con che sicumera, per giunta, si dava alle sue supposizioni! Sapeva il fatto suo; mentre tutto intorno infuocava, lui teneva i piedi saldamente a terra. Era sua l’ultima parola, perfino nei territori dove il surrealismo e l’irrazionale la facevano da padroni; era lui a decretare il nesso che intercorreva tra le idee sottese a “Ibiza, ciaone” e se, come presumevamo, il binomio fosse anche in grado di dialogare con qualcosa che fosse molto più in “alto”... Cos’aveva a che fare, di nuovo, con le scie lì fuori? Qualcosa ne permetteva il reciproco rispecchiamento – per cui ciò che viene detto in rete, fatalmente, si sdoppia lassù? L’elettromagnetismo, insomma, di cui si fa un gran parlare, sarà mica influenzato dal didietro degli aerei – che impunemente scorreggiano? E infine, per arrivare alle persone, gli ufficiali di bordo, costoro che in effetti sì, secondo questa ricostruzione avrebbero del potere sulla rotta dei nostri “stati sociali”, chi o cosa demanda loro il compito di modellare, lì dove tutto è possibile e rarefatto, modi e tempi della risposta all’ormai ben noto: “Ehi, eh?”, l’interrogativo malizioso e che dissimula un occhiolino?
Solo chiacchiere, pretestuose illazioni.
La faccenda è lineare, e ve la spiego: impone delle responsabilità il fumare in agosto, se per giunta all’aperto, col sole a picco. Come potremmo mai incolpare il comandante di una tratta aerea per un fatto squisitamente nostro, se l’occhio errante è reo e briga e pianifica laddove tutti – tutti i nostri contatti, perfino gli amici! – sembrano impegnare il pomeriggio in rientri logori da un qualche locale estivo, al ritmo dei vuoti di gin che trotterellano sull’asfalto?
Mentre qui e là il mondo non mancava certo di mostrarsi nudo (provocando meraviglia, stupore, necessaria rappresentazione, a ben vedere gli stessi effetti ascrivibili a un parco a tema) noialtri ci trastullavamo, come visto, col provare le occasioni di svago a spasso nel cielo – realizzando, seriamente, un raddoppiamento di astrazione, un vuoto al quadrato. Sicuri del fatto che, per trovarci nel mezzo, tra i due fenomeni, fossimo nella posizione ideale per coglierne una relazione. “Il determinismo dei motori a reazione”: ne parlavamo in questi termini nella città di cristallo, perché vietata alla vita.
E sbarravamo il passo ai dubbi: «Mai visto prima d’ora un “Come sbarazzarsi della cellulite in tre mosse” a tal punto rappresentato» fece Franco con spirito accademico, rompendo il silenzio. Cosa che, intanto, stava allungando il ditino.
«…levigatissimo» mi scappò detto tra i denti. «Problemi di erezione? » sogghignai birichino. «Pende a destra!»
C’eravamo. A giudicare dall’intensità dei fenomeni, prevedibilmente, di lì a poco, si sarebbe squadrato lo sfondo turchese. E infatti: «Il solito!» esclamai, scimmiottando il fare da bar, «Ecco che arriva…» (si nota tanto la familiarità, ditemi, traspare molto l’attaccamento?).
Imitando una ricetrasmittente, Franco annunciò a sua volta con voce atona: «Baluginio-accecante incrocia Ombra-di-sera. Aquilotto-borioso ne trancia la rotta, si interpone, è in mezzo…» al che seguirono attimi sospesi. «Attenzione: non può nulla, come non detto… Povero aquilotto, si trova almeno settemila chilometri sotto!».
Era il mio turno: «Bimba-carlinga e Bullo-fusoliera si corteggiano dai due lati della griglia. Si studiano, puntano il muso, è un duello!». Il tono cresceva in enfasi: «Che dico? è un flirt in piena regola, ma a novecento chilometri l’ora! Oh amici» ero in radiocronaca praticamente, «amici: qui ce n’è abbastanza per schizzi e scintille!».
Baluginio era il volo che apriva le danze: comparso lui, prendeva il via il disegno più complesso e suggestivo del pomeriggio. Come se un gessetto invisibile tracciasse di proposito il campo da gioco; o all’opposto fosse stata una lametta da barba ad agire, suggerendo i possibili sguardi dietro. In ogni modo, siccome la qualità della luce produceva effetti singolari quasi ogni giorno, ci sentivamo legittimati, dal canto nostro, nel leggere le notizie dei quotidiani di volta in volta in modo diverso.
«…che luce» osservai affascinato, perché era quasi il tramonto.
Franco annuì: «Qui ci vuole qualcosa di splendente».
Non ci volle poi molto. «Senti qua: “Affiliato di Al-Qaeda muore investito, stava salvando un cucciolo di cinghiale sul ciglio della strada: in aumento le vittime della strada”; l’occhiello: “Sul sedile dell’auto, alcuni pacchi di cannucce di plastica farebbero pensare alla fabbricazione di un ordigno esplosivo”. In plastica!» sottolineò inorridito. «Riesci a crederci?»
«Gli ambientalisti insorgeranno!»
Franco spiegò le braccia: «Baluginio, oh bestione iridescente! Onorati, esulta: il paragone è ardito, il respiro internazionale!» e trattenne a stento le lacrime.
«I finestrini brillano. Sembrano tante dita alzate a dire: “io io io io!”. Fa il grand’uomo adesso, lasciamo che si prepari all’atterraggio… Che ne pensi di questa: “Chi ci crede alla Meloni romanista, se una zia giura che tifava solo per far dispetto al padre?”» e ciò detto rivolsi all’aereo un sorriso sghembo. Il velivolo, guarda caso, se procedeva sicuro di sé in pieno sole, si inoltrò tra le nuvole scivolando in secondo piano.
Si affacciava un sinistro perturbamento. Era il momento che un altro, solo annunciato finora, si mettesse al centro. Calava Ombra-di-sera, il cui cupo rimbombo, nelle giornate favorevoli, arrivava fino a noi. Non ce lo lasciammo sfuggire: «“Confindustria gela: le attuali tecnologie consentiranno un notevole efficientamento, ma al primo posto deve esserci l’uomo”. Da quando in qua i Rettiliani si preoccupano per noi?».
«…per voi!» proruppi festoso, e lo scandii bene: «Io sono dei loro!»
D’altronde, sollevandomi appena sullo schienale, ne diedi immediata prova: nulla di cui potessi meravigliarmi, lo stato era pietoso, avevo le squame.
Di nuovo il mio amico, stavolta più schifato del solito: «Bimba-carlinga la faccio reagire così, senti: “La cantante rivela in esclusiva di essere incinta, e per l’occasione si concede ai fotografi senza veli…”».
«Contenuto riservato agli abbonati?»
«Naturalmente. Scommetto però che al solo nominarla, qualcuno sta già virando a tutta forza» fece Franco con aria civettuola. «Senti il profumo? Chi sarà mai che, in barba allo stallo, si sta gettando in picchiata e ormai cavalca alla volta della gentil donzella?».
«…Bullo?»
«…che lampo dalle ali, e come inarca il timone, nota lo sguardo: un muso virile inevitabile! Per me fa scopa con questo, leggo: “L’atleta, noto influencer, è stato rapinato dell’orologio mentre lasciava una boutique in pieno centro…”. Eppure, correggimi se sbaglio, sembra già che sia in vena di rifarsi: a giudicare dai giornali poco gli importa del furto subito, d’altronde lui è una grossa fusoliera e insomma, ha già in mente il pancione dell’artista, è elettrizzato, di pacche nuove ne comprerà domani o al massimo riceverà l’agente di un noto marchio svizzero – altra pubblicità – proprio domani quando peraltro si verrà a sapere che tra i due bolle già qualcosa in pentola: sono stati avvistati a cena, lui e la cantante (ci sono le foto rubate da dietro un muretto, lei che sussurra nel di lui orecchio, lui che ride)… Ma poi no, poi no poi no poi no guarda che disdetta, che delusione: i due divergono, prendono le distanze, si dirigono altrove. Bingo, ci siamo illusi, il bullo è in bianco e come sempre è un nulla di fatto…»
E così, illusione per illusione, lampo dopo lampo, l’una dopo l’altra si congedavano le nostre storie – “come in cielo così in terra…” – di loro non restava che un presagio, una scia, la fuga.
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Già ci confondeva una nuova foschia.